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Complotto contro Carter: con l’ex presidente in fin di vita escono i testimoni

L’ex vicegovernatore del Texas Ben Barnes ha parlato al New York Times

Marco GiustinianibyMarco Giustiniani
Former President Jimmy Carter Receiving Hospice Care at Home

Former US president Jimmy Carter - ANSA/EPA/ERIK S. LESSER

Time: 3 mins read

Si era sempre sospettato e, alla fine, uno di quelli che aveva preso parte al complotto per far perdere le elezioni per il secondo mandato al presidente Jimmy Carter nel 1980 ha parlato: il rilascio dei 53 ostaggi americani catturati a Teheran fu concordato tra gli uomini della campagna elettorale di Ronald Reagan e gli ayatollah. 

L’ex vicegovernatore del Texas Ben Barnes, fido assistente del governatore John Connally, con cui viaggiò in Medio Oriente nell’estate del 1980 per stipulare questi accordi, lo ha raccontato al New York Times ricostruendo il viaggio attraverso sei paesi del Medio Oriente – Giordania, Siria, Libano, Arabia Saudita, Egitto e Israele – e di essere stato testimone mentre Connally, in nome di Reagan, chiedeva a vari leader di trasmettere il messaggio all’Iran. 

Barnes ha detto al NY Times che Connally, che quell’anno perse la nomination repubblicana alle primarie proprio contro Reagan, sperava di aiutarlo a vincere le elezioni presidenziali per assicurarsi un posto nella futura amministrazione.

Ben Barnes ha rivelato che Connally informò William J. Casey, allora direttore della campagna elettorale di Reagan, del viaggio e dei contatti avuti. William Casey, opo che Reagan vinse le elezioni, venne nominato direttore della CIA.

Ben Barnes – Wikimedia

Il New York Times ha notato che non ci sono conferme oltre alle affermazioni di Barnes, ma quattro persone con cui Barnes si è confidato nel corso degli anni hanno affermato che la storia che ha condiviso con il giornale è coerente con ciò che ha detto loro. 

Sia Connally che Casey sono morti. Il viaggio di Connally e Barnes in Medio Oriente nell’estate del 1980 è riportato da documenti conservati alla Reagan Library. Non ci sono prove che Ronald Reagan abbia autorizzato la missione o anche che fosse o meno a conoscenza degli incontri. C’è stata solo una telefonata tra l’ex presidente e Connally durante questo viaggio.

Nel 1979, i militanti iraniani presero d’assalto l’ambasciata americana a Teheran catturando 53 americani accusando gli Stati Uniti, che da poco avevano dato asilo allo Shah Reza Palhavi, delle indebite influenze sulla politica del loro paese. Dopo il rapimento ci fu un anno e mezzo di negoziati tra la Casa Bianca e i seguaci degli ayatollah senza trovare una soluzione per il loro rilascio. Jimmy Carter autorizzò una missione di salvataggio nell’aprile del 1989 tragicamente fallita. Durante l’operazione, una tempesta di sabbia rese inservibili tre degli otto elicotteri. La missione venne quindi annullata, ma durante la ritirata un elicottero andò a sbattere contro uno dei sei aerei da trasporto C-130, uccidendo otto militari e ferendone cinque. Il giorno successivo, un cupo Jimmy Carter tenne una conferenza stampa in cui si assunse la piena responsabilità della tragedia. Gli ostaggi non vennero rilasciati per altri 270 giorni.

Fino ad allora i sondaggi davano il presidente in carica in leggero vantaggio sullo sfidante Reagan. Questo fallimento dei negoziati nel far rilasciare gli ostaggi dopo 444 giorni di prigionia prima delle elezioni generali venne definito da William Casey la “sorpresa di ottobre”. I prigionieri vennero poi liberati dal governo iraniano pochi minuti dopo che Reagan era stato insediato alla Casa Bianca.

Il New York Times tuttavia osserva che non ci sono prove che la richiesta di Connally fosse stata autorizzata da Reagan e due commissioni d’inchiesta della Camera e del Senato hanno concluso che non c’erano prove che qualcuno associato alla campagna presidenziale di Ronald Reagan avesse tentato di ritardare il rilascio degli ostaggi. 

Barnes ha detto al New York Times che ha deciso di raccontare questa vicenda dopo aver appreso che Jimmy Carter è in fin di vita.

“La storia deve sapere che è successo”, ha detto Barnes, che ora ha 85 anni, al New York Times. “Penso che sia un fatto significativo e immagino che sapere che la fine è vicina per il presidente Carter mi abbia spinto a raccontare questa vicenda”.  

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Marco Giustiniani

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