La partita più grossa della vicenda russo-ucraina, paradossalmente, è quella africana. Perché? Il motivo sta nel ruolo che svolgono, in primis, il debito e le materie prime.
Teniamo conto di una panoramica essenziale: gli Usa, la Russia, la Cina, il blocco europeo, il continente Africano. Si anche quest’ultimo. Non menzionabile il Paese di Re Carlo III al momento (e si spiegherà più avanti il perché).
Partendo dalla Cina, che ha proposto recentemente un piano di pace per la risoluzione della guerra russo-ucraina, si tratta di un Paese che con gli Usa ha un rapporto speciale: quest’ultimo è il primo Country verso cui esporta e il terzo da cui importa secondo l’OEC (Observatory of Economic Complexity). Ciò sta a significare che Washington è indispensabile per Pechino. Ma vale anche il contrario perché per la federazione dei 50 Stati la Cina è il primo Paese da cui si importa ed il terzo verso cui esporta.
Se, ora, si passa sul fronte russo-ucraino si può prendere contezza di un’altra dimensione. La Russia, sino al 2020 (e sempre in base ai dati OEC), esportava maggiormente verso Cina, UK, Olanda, Bielorussia e Germania, mentre, a rovescio, importava sempre da Cina, Germania, Bielorussia, Sud Corea e Italia. L’Ucraina, dal canto suo, era posizionata in questi termini: Cina, Polonia, Russia, Turchia ed Egitto per le esportazioni; Cina, Russia, Polonia, Germania e Bielorussia per le importazioni.
Richiamati questi dati ufficiali, è intuibile come ci sia una forte dipendenza verso la Cina che in minima parte può tramutarsi anche in una circolarità di rapporti tale per cui possa parlarsi di interdipendenza. I dati espressi sinora sono al 2020 e dal 2022 in poi lo scenario è diametralmente cambiato: l’isolamento russo e la distruzione ucraina hanno determinato giochi di forza-mercato nuovi dove Usa e Cina, si può dedurre, hanno consolidato maggiormente la leadership globale in chiave di sfere e influenze. Washington ad ovest, Pechino ad est.
In mezzo c’è certamente il blocco europeo che nei rapporti economici più importanti tra Cina, Russia, Ucraina e Usa era entrato nel “cerchio magico” solamente con quattro Paesi: Germania, Polonia, Olanda, Italia (la quale verso est non esporta moltissimo ma, di contro, importa per un valore di circa $ 35.9 B dalla Cina). Se considerassimo come non avvenuto il Brexit, dovremmo inserirvi anche UK.

Non c’è la Francia, non c’è la Spagna, non c’è alcun altro Paese europeo con rapporti economici così importanti da e verso Usa, Cina, Russia, Ucraina, ecc. C’è, quindi, da considerare in tutto ciò che si tratta pur sempre di macro dati i quali fanno presumere una certa influenza circolare tra i Paesi summenzionati: non abbiamo precisato se i mercati di relazione implicano un do ut des (un dare e avere reciproco) in determinati settori merceologici perché questo fatto implicherebbe un ulteriore apprendimento.
Allora, se la Russia è fortemente dipendente dal mercato cinese e Pechino, ormai, sta governando processi mondiali di fornitura tecnologica avanzata a tal punto da essere concorrenziale agli Usa (tendendo quest’ultimi, quasi, al duopolio) sorge una riflessione ulteriore che parte dal ruolo geostrategico che hanno il debito pubblico del singolo Stato e il debito estero. Sono due concetti diversi ma funzionali a comprendere il ragionamento di questa analisi.
Secondo i dati ISPI il debito pubblico mondiale ammonta a circa trecentomila miliardi di dollari sino a giugno 2022 con un rapporto pari a tre volte e mezzo il reddito guadagnato annualmente (vale cioè poco meno del 350% del Pil globale). Qual è il ruolo del debito riguardo alla pace? Velatamente darebbe spazio al rendimento e alla sostenibilità dove il primo serve a condizionare le scelte governative, mentre il secondo quelle della sopravvivenza valutaria.
È un po’ il richiamo al dualismo (ancora esistente in molti italiani) tra lira ed euro. Se ci fosse ancora la lira le nostre scritture contabili sarebbero carta straccia e, per l’effetto, i nostri beni sarebbero comprati a quattro soldi per farci finanziare opere pubbliche a tassi altissimi.
Ebbene, dopo aver accennato alla questione lira/euro, possiamo guardare all’Africa. Perché è quest’ultima la partita più interessante ed importante a cui il processo di pace, innescato dalla guerra e che in futuro sarà necessario da finalizzare, punta seppure con disinteresse massmediatico.
Il motivo, appunto, sta almeno in tre fattori congiunti:
– la fine della colonizzazione britannica, olandese, francese, ecc.;
– la democratizzazione del corno d’Africa e l’emancipazione del Sud Africa;
– la ricchezza di materie prime e terre rare.

ANSA/Uff stampa Cremlino + PRESS OFFICE, HANDOUT PHOTO, NO SALES, EDITORIAL USE ONLY + NPK
Quanto al primo dei fattori è comprensibile come la fine delle colonizzazioni stia, pian piano, portando l’Africa ad una consapevolezza politica crescente (benché disomogenea); il ché di riflesso aumenterà i processi di sviluppo favoriti dal debito estero e/o da aiuti a fondo perduto delle organizzazioni internazionali. Sullo sfondo rimanendo vive le migrazioni (su cui l’Europa, in quanto tale, può far poco senza cooperazione internazionale); e ciò finché non si completeranno i cicli di sviluppo sufficienti a generare un effetto balance.
Quanto al secondo dei fattori, è la zona centrafricana il punto cruciale su cui c’è tutto il lavoro politico e geopolitico che si sta consumando per consolidare un fornitore “contraltare” mondiale rispetto alle terre rare ucraine ormai nella mira putiniana. Ciò significa comprendere una nuova mappa di quel che è strumentale a produrre batterie, tecnologie, ecc.
Può dedursi, pertanto, come la geostrategica cinese, nel tempo, si sia fortificata su tre comportamenti: – favorire la delocalizzazione delle industrie ed imprese occidentali; – accumulare valute garantite; – investire nei rapporti africani (trascurati dall’Occidente storico) sia in infrastrutture che in debito di quei Paesi verso Pechino.
Il dado è tratto. Le terre rare e le materie prime sono il cuore della disputa che la guerra ucraina ha messo sul piatto delle valutazioni globali da Washington a Pechino passando per Mosca la quale ultima, senza un mercato solido e duraturo ove piazzare le enormi quantità di gas e petrolio prodotte, rischia di ritrovarsi a svendere tutto l’ammontare di stoccaggio energetico non piazzato. L’operazione speciale su Kiev, al netto dei problemi con l’Ucraina, rappresenta una sorta di pretesto per insinuarsi al tavolo dei decisori mondiali sul tema centrafricano.
In tutto questo, Brexit è stato solo l’inizio di uno psicodramma politico di quel che dopo la seconda guerra mondiale, invece, si era capito: se rimani isolato, prima o poi il mondo ti circonda (non certo si tratta di allori romani).
La pace sarà difficile, ma è l’unica via possibile partendo dalla legge dei contrappesi. Siamo nel 2023 ed ancora una volta l’indebitamento altrui (e il relativo rendimento) rimane al centro della politica. Mondiale.