Vi capita di sentirvi inadeguate? È incredibile come anche Michelle Obama, una donna partita da un ghetto nero di Chicago e arrivata sino alla Casa Bianca, prima first lady di colore, abbia trascorso la vita a sentirsi sempre fuori posto. Troppo alta, troppo nera, troppo povera, troppo irrilevante, troppo invisibile in un mondo di bianchi.
Lo racconta con sincerità nel suo nuovo libro La luce che è in noi (Garzanti, 2022), che è un po’ il seguito del precedente successo mondiale Becoming: la mia storia, nel quale ci aveva svelato retroscena inediti della sua vita con Barack Obama mettendosi a nudo con le loro crisi di coppia, le difficoltà incontrate perché Michelle non riusciva a restare incinta, le sue reticenze ad accettare la carriera politica del marito e conciliarla con la sua vita professionale e le sue aspettative.
Nel nuovo volume Michelle fa un ulteriore salto nel dialogo intimo con le sue lettrici e stupisce la sua sincerità nel mostrare i suoi lati deboli che si rivelano essere anche la sua forza. C’è un percorso da compiere per amare se stesse e lei lo indica, passando attraverso le sue esperienze personali di ragazza cresciuta in una famiglia solida, ma in una nazione dove la discriminazione razziale per chi ha la pelle nera è tangibile e può paralizzarti se non tiri fuori tutta la grinta che hai dentro per farcela.
”Per i primi diciassette anni della mia vita non mi sono mai sentita un’eccezione. È stato solo al college che ho sperimentato il mio primo assaggio di invisibilità razziale”. Era stato il padre, malato di SLA, impiegato all’acquedotto comunale, ad accompagnarla da Chicago alla prestigiosa università di Princeton, dove Michelle era stata ammessa grazie ad una borsa di studio. Mai avrebbe potuto pagare le salatissime rette di quel tipo di università della Ivy League.

“Camminare lungo quei vialetti era come attraversare un campo di forza, una specie di frontiera. Dovevo sforzarmi di non pensare a quanto ero diversa” scrive e guardandosi intorno comprende da subito quanto la sua presenza fosse invisibile. ”Ero irrilevante come un soffio d’aria”. Le ragazze erano poche, ammesse da soli 12 anni in quell’ateneo. Michelle si aggira per Princeton osservando quei giovani compagni di corso che si muovono con naturalezza nel college come per diritto di nascita, ammessi perché altri membri delle loro ricche famiglie avevano già frequentato quelle stesse aule. Una stirpe di padri e nonni che tramandano agli altri membri della famiglia lo stesso diritto.
Michelle invece a Princeton e poi a Harvard ci arriva con enormi sacrifici e tanta disciplina. La madre glielo aveva detto da subito: ”Solo l’istruzione può portarti via da questo ghetto”. Studia senza sosta, si lascia alle spalle South Side Chicago e arriverà sino alla Casa Bianca.
“C’è qualcosa di snervante nel girare in un ambiente senza mai vedere persone che ti somigliano. È quasi inquietante come se la tua specie fosse stata completamente cancellata dal pianeta.” È evidente quanto la storia di Michelle Robertson Obama sia una storia molto americana, impregnata dei sentimenti delle grandi battaglie per la conquista dei diritti delle minoranze, ma quel senso di inadeguatezza di cui parla può essere comune anche a migliaia di chilometri di distanza . Quante di noi passano la loro esistenza a non sentirsi mai all’altezza? Quante volte ci siamo sentite inadeguate al luogo in cui ci trovavamo? E quanti tra le nuove generazioni nel nostro paese, figlie di genitori stranieri, provano le stesse sensazioni? Michelle parla alle altre donne e sa di colpire nel segno, anche fuori dagli Stati Uniti.
“È questo il mio posto? Cosa pensano gli altri di me? Come mi vedono?” si chiede in continuazione alla ricerca di una ricetta che la faccia sentire a posto.

Colpisce che proprio lei, sempre così sicura, in realtà nasconda questa debolezza che l’ha accompagnata per tutta la vita, anche quando era ormai alla Casa Bianca. Sorprendente il racconto del suo incontro con la Regina Elisabetta a Buckingham Palace, quando in un momento di empatia nei suoi confronti le aveva posato una mano sulla spalla rompendo il rigido protocollo secondo il quale la regina non può essere toccata. Sua Maestà non era apparsa infastidita e le aveva cinto a sua volta la schiena con un braccio, racconta Michelle. La stampa aveva invece gridato allo scandalo accusando la first lady nera di essere irrispettosa, insinuando velatamente il sospetto che in realtà fosse inadeguata al ruolo . “Ero un’intrusa”, scrive Michelle, “non ero all’altezza degli ambienti che frequentavo” .
Nel suo libro però ci indica la strada per trovare sicurezza e propone soluzioni per le sue lettrici. Non ha la bacchetta magica, ma appare una donna concreta che ci parla come se fossimo sue amiche, proprio come quelle che ama avere intorno al tavolo della sua cucina. Quelle di cui si fida ciecamente e che la consigliano. Michelle è una donna in viaggio che cerca di migliorare se stessa e il mondo che la circonda.
”Ho imparato che potevo attribuire sentimenti migliori alla mia diversità. Nessuno può farti star male se stai bene con te stesso scrive e incomincia a rivedere la sua irrilevanza in una chiave positiva. ”Sono alta e questa è una buona cosa. Sono una donna e questa è una buona cosa. Sono nera e questa è una buona cosa. Sono me stessa e questa è un’ottima cosa”.
Michelle ha trovato la sua ricetta per la sopravvivenza. Non ci si libera della sensazione di essere un outsider, ma si impara ad adattarsi al contesto. È importante decifrare gli ambienti in cui ci si trova e agire di conseguenza, spiega, ma restando sempre se stessi. L’importante è volare alto. EÈ passata ormai alla storia quella frase che da first lady disse alla Convention democratica del 2016 a Philadelphia in piena campagna elettorale di Donald Trump contro Hillary Clinton, senza esclusione di colpi.
Il Paese era spaccato, le volgarità si sprecavano ed è stato allora che Michelle ha pronunciato una frase indimenticabile: “Quando gli altri volano basso, noi voliamo alto”. “Per me – scrive- significa resistere alla tentazione di lasciarsi trascinare dalla furia superficiale e dal disprezzo corrosivo e capire invece come rispondere con voce chiara a tutto ciò che di superficiale e corrosivo ci circonda. Fare in modo che tutto il nostro lavoro conti e la nostra voce venga udita nonostante i nonostante.”
Non c’è dubbio che abbia anche un buon compagno di viaggio. È una donna ancora innamorata di Barack, con il quale non nasconde di avere passato anche momenti di crisi come in tutti i matrimoni. Ma se avete dei dubbi sulla solidità del loro legame, guardate le foto sul suo account Twitter dove si mostrano come due adolescenti abbracciati e sorridenti in situazioni diverse. E’ sorprendente la fisicità che sprigiona da quelle immagini di due sessantenni che ne hanno passate tante, ma ancora hanno voglia di ridere e combattere insieme. Lasciatemi dire, fanno proprio una grande invidia!