La Casa Bianca cerca di smorzare i toni. Le dichiarazioni rese ieri dal presidente Biden che il mondo corre il più alto rischio di “Armageddon” nucleare dalla crisi dei missili di Cuba del 1962, hanno preso tutti di contropiede. Casa Bianca inclusa.
“Non abbiamo indicazioni che la Russia si stia preparando ad usare l’arma nucleare ma la retorica di Putin è da irresponsabili e rischia di creare un’escalation”, ha affermato oggi Karine Jean-Pierre, la portavoce della Casa Bianca. Aggiungendo che la Casa Bianca non ha nuove informazioni di intelligence sulla Russia e sulle armi nucleari e non c’è nessuna indicazione della necessità degli Stati Uniti di cambiare la propria “posizione nucleare”. “I discorsi di Putin sull’uso di armi atomiche sono da irresponsabili e non si possono fare senza subirne le conseguenze”, ha aggiunto sottolineando che la Casa Bianca “non si farà intimidire dalla retorica di Mosca”.
Biden di questi tempi, con le elezioni di Midterm tra un mese, è sotto pressione. L’inflazione continua a corrodere stipendi e risparmi e le famiglie americane, nonostante i massicci interventi della Federal Reserve, devono tirare la cinghia. Poco importa all’elettorato che l’inflazione sia il risultato della lunga inattività produttiva e delle difficoltà della distribuzione dei beni dovuti alla pandemia in tutto il pianeta.
Oggi sono arrivati i dati sull’occupazione che continua a crescere, ma… va rallentando. L’economia americana ha creato in settembre 263.000 posti di lavoro, oltre le attese degli analisti che scommettevano su 255.000. Il tasso di disoccupazione è calato al 3,5% dal 3,7% di agosto. I dati sul mercato del lavoro in settembre non sembrano in grado di alterare la visione e la strada intrapresa dalla Fed, che sta portando avanti una aggressiva campagna di rialzo dei tassi nel tentativo di calmierare l’inflazione. I dati però evidenziano come le richieste di sussidi per la disoccupazione siano salite la scorsa settimana di 29mila unità, più di quanto ci si attendeva. Se in agosto infatti erano stati creati 315.000 posti, in settembre la crescita si ferma a 263.000, l’aumento più basso da aprile 2021. Un altro campanello d’allarme per la Casa Bianca.

Il presidente poi è anche preoccupato per l’inchiesta in cui è coinvolto il figlio. Un’indagine che per quanto non riguardi lui personalmente, getta inevitabilmente un’ombra.
Gli inquirenti federali avrebbero abbastanza prove per incriminare Hunter Biden per crimini fiscali e relativi all’acquisto di un’arma. Lo scrive il Washington Post, ricordando che l’Attorney General Merrick Garland al momento del suo insediamento al dipartimento di Giustizia ha confermato il procuratore del Delware scelto ai tempi dell’amministrazione Trump alla guida del caso sul figlio del presidente democratico i cui affari sono da anni obiettivo di accuse da parte di Donald Trump e dei suoi alleati. L’inchiesta sul secondo figlio di Biden è stata avviata nel 2018, e le diverse accuse contro l’uomo d’affari, con diversi legami in Cina ed Ucraina, sono stati al centro della campagna per la rielezione di Trump. Del resto il ruolo di Hunter nella società ucraina Burisma era stato al centro delle pressioni che Trump fece sull’allora presidente appena insediato Volodymyr Zelensky nella complessa vicenda del Kievgate che portò al primo impeachment di Trump nel 2019.
Il figlio del presidente ha avuto una gioventù travagliata dopo la drammatica morte della madre e della sorella Naomi che persero la vita in un incidente d’auto mentre lui e il fratello Beau rimasero gravemente feriti. Dopo questa disgrazia fu più volte ammesso nei centri di recupero per tossicodipendenti.
Secondo le fonti citate dal Washington Post, gli inquirenti hanno determinato alcuni mesi fa di aver raggiunto prove sufficienti nei confronti di Hunter. Ma spetta al procuratore federale David Weiss decidere se incriminare veramente il figlio di Biden per reati fiscali e per aver dichiarato il falso riguardo all’acquisto di una pistola. Vista la delicatezza del caso, Garland ha assicurato che non vi saranno interferenze politiche e che lascerà a Weiss la completa supervisione della vicenda.
Un avvocato di Hunter Biden, Chris Clark, ha accusato gli investigatori della fuga di notizie, ricordando che “è un reato federale rivelare informazioni su un’inchiesta del grand jury come questa”. E che non è compito degli agenti decidere della incriminazione “ma dei procuratori, che devono lavorare senza pressioni, senza che gli si faccia fretta o si critichi il loro operato”.

Da un’indagine del figlio di Biden a quella dell’ex presidente Donald Trump. Ieri sera il New York Times scriveva che ci sarebbero altri documenti top secret a Mar a Lago che Trump non ha consegnato agli agenti federali.
Il Dipartimento di Giustizia sospetta che l’ex presidente Donald Trump potrebbe ancora avere documenti riservati che ha rimosso dalla Casa Bianca quando ha lasciato l’incarico nel gennaio 2021, hanno detto all’influente quotidiano di New York persone che hanno familiarità con le indagini. Ad avvalorare questa ipotesi Il capo delle questioni di controspionaggio del Dipartimento di Giustizia, Jay Bratt, ha recentemente dichiarato agli avvocati di Trump che il dipartimento crede che l’ex presidente non abbia consegnato tutti i documenti governativi che aveva preso quando ha lasciato l’incarico.
Dubbi avanzati pochi giorni fa anche dalla responsabile dei National Archives, Debra Steidel Wall, in una lettera alla Commissione della Camera House Oversight and Reform Committee, la quale ha affermato che i National Archives non hanno ancora recuperato i record del personale della Casa Bianca di Trump contenuti in account elettronici non ufficiali usati durante la sua presidenza.
Gli inquirenti federali hanno trovato più di 150 documenti contrassegnati come Confidential, Secret o Top Secret in scatole di documenti prese da Mar-a-Lago dagli agenti federali ma molte delle cartelle erano vuote. Da qui il sospetto che il contenuto di queste sia stato celato in altri luoghi familiari all’ex presidente.