È stato un martedì di primarie con benedizioni e scomuniche da parte di Donald Trump, mentre un nuovo scandalo elettorale vede coinvolti gli avvocati dell’ex presidente.
In Alaska ad avanzare è stata Sarah Palin, ex governatrice dello Stato, già scelta da John McCain come sua vice nelle presidenziali del 2008 (vinte da Barack Obama). La repubblicana si era candidata con l’appoggio dell’ex presidente Donald Trump per il seggio alla Camera dei Rappresentanti, detenuto per 49 anni da Don Young, morto lo scorso marzo.
Per il Senato, sempre in Alaska, la rosa di candidati è stata ristretta a due soli nomi dopo i risultati di ieri: correrà per la riconferma Lisa Murkowski, la repubblicana centrista che ha votato per l’impeachment di Donald Trump. Dovrà però vedersela con la sfidante filo-trumpiana Kelly Tshibaka, anch’ella promossa dall’elettorato GOP. In Alaska si è votato per la prima volta con il voto classificato, un sistema si esprimono quattro preferenze e si effettua la media dei migliori piazzamenti elettorali.
In Wyoming, invece, Liz Cheney, la battagliera congresswoman repubblicana, è stata punita dall’elettorato repubblicano per aver “tradito” Trump, la cui candidata l’ha distaccata di quasi 30 punti percentuali. Dopo essere stata promossa per tre mandati, il destino della figlia dell’ex vice presidente Dick Cheney era già segnato alla vigilia. Considerata era uno degli astri nascenti del Grand Old Party fino a quando ha rotto con Trump, tutto è cambiato quando la congresswoman GOP ha infatti votato con altri dieci colleghi repubblicani a favore del secondo impeachment dell’ex presidente, quello relativo all’assalto al Congresso.
Un voto secondo coscienza che le è già costato l’incarico dirigenziale all’interno del partito e che le ha fatto perdere le primarie in un seggio che per 30 anni è stato occupato dal padre. Uno strano destino, il suo, dopo che per decenni è stata il volto dell’ala del GOP più conservatrice, marchiato a fuoco dal voto “di coscienza” nonostante in passato abbia appoggiato l’ex presidente il 93% delle volte. Una sconfitta però che la consacrerà come martire repubblicana del movimento anti Trump, e che l’ha spinta a considerare una candidatura alle elezioni presidenziali del 2024.

A spoglio ancora in corso, sono circa 30 punti di svantaggio di Cheney su Harriet Hagenam, la fedelissima di Trump, convinta sostenitrice della tesi dei brogli elettorali che avrebbero portato alla vittoria Biden. Eppure Liz Cheney, che ha 56 anni, fino a due anni fa non avrebbe mai immaginato di poter perdere il seggio in quello che viene considerato il feudo politico di famiglia. La sua condanna di Trump per le bugie elettorali e per il tentativo insurrezionale del 6 gennaio l’hanno portata a presiedere la commissione di inchiesta della Camera in cui, oltre a lei, è presente solo un altro repubblicano, Adam Kinzinger che, anche lui isolato dalla dirigenza del partito, ha deciso di non ricandidarsi per il suo seggio in Illinois.
La congresswoman però si sta mostrando indomita di fronte alla sconfitta, soprattutto perché è diventata la leader del partito repubblicano “onesto”. Circostanza che, oltre ad averle dato visibilità nazionale, è riuscita a coalizzare intorno a lei un nutrito gruppo di repubblicani anti-Trump. Alcuni dei finanziatori repubblicani che si oppongono a Trump – tra i quali spicca il creatore di LinkedIn, Reid Hoffman – stanno già valutando effettivamente la possibilità di sostenere una sua candidatura alla Casa Bianca. E lei, dopo la conclusione dei lavori della commissione d’inchiesta, si concentrerà sui suoi prossimi passi pur sapendo che sarà difficile fermare Trump, o un altro candidato che si ispira ai suoi principi.
“Abbiamo bisogno di questo, di qualcuno che sia disposto anche a prendersi i fischi, ma che sia in grado di stare sul palco e dire la verità”, ha detto Kinzinger in una recente intervista. “La libertà dura solo se la difendiamo. Non guarderò in silenzio coloro che seguono la crociata di Trump per minare la democrazia. Dobbiamo dire la verità. L’elezione non è stata rubata”, disse in aula Liz Cheney con accanto il padre. Il partito allora fece la scelta e decise che erano meglio i voti dei seguaci dell’ex presidente e accettò le bugie di Trump e l’ha emarginata.

Un nuovo scandalo elettorale si affaccia intanto all’orizzonte. Lo ha segnalato il Washington Post, secondo cui gli avvocati i Trump hanno ordinato a una società di dati di copiare le informazioni dai sistemi elettorali locali in tre Stati. Il quotidiano scrive che l’azienda SullivanStrickler ha copiato informazioni sensibili dai sistemi di voto usati dalla Dominion, la società che produce le macchinette elettorali, nella contea di Coffee, in Georgia, ed è stata incaricata dagli avvocati di Trump di fare lo stesso in Michigan e Nevada.
Al centro della vicenda l’avvocata Sidney Powell, legata a Trump, che con Giuliani ha sostenuto le accuse delle frodi elettorale. Dominion ha citato in giudizio Powell. Secondo il quotidiano capitolino, è stata lei a mandare il personale di SullivanStrickler in una contea rurale del Michigan e, successivamente, nell’area di Detroit per cercare di manipolare i dati nel tentativo di ribaltare il risultato elettorale.