Una nuova tegola si abbatte su Donald Trump. Il dipartimento di Giustizia americano ha aperto un’indagine sulla sua condotta tenuta durante l’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Gli inquirenti stanno esaminando le conversazioni dell’ex presidente e hanno sequestrato i tabulati dei telefoni dei suoi più stretti consiglieri.
Alcuni testimoni stanno infatti rispondendo alle domande degli investigatori davanti a un gran giurì, cercando di far luce sulle conversazioni di Trump, dei suoi avvocati e di altri nella sua cerchia ristretta avvenute tra dicembre 2020 e gennaio 2021. Tra di loro spiccano due importanti assistenti dell’allora vicepresidente Mike Pence.
In particolare, le domande si sarebbero concentrate sulle istruzioni date dall’allora presidente ai suoi avvocati e consiglieri per introdurre falsi elettori in alcuni stati vinti da Joe Biden. Non è la prima volta che si parla di un’indagine del dipartimento di Giustizia sulle azioni del cerchio magico di Trump all’indomani della sconfitta elettorale, ma è la prima volta che l’inchiesta riguarda direttamente la condotta di Trump.

Le rivelazioni alzano la posta in gioco di un’indagine intricata e che coinvolge un ex presidente, ancora al centro delle fortune del suo partito, già sopravvissuto politicamente a due impeachment.
Nel cercare di capire come e perché i fedelissimi di Trump abbiano cercato di cambiare l’esito delle elezioni, i magistrati vogliono anche capire cosa l’ex inquilino della Casa Bianca abbia chiesto esattamente ai suoi avvocati e agli alti funzionari di fare. Il terreno su cui muoversi è però ricco di insidie: qualsiasi indagine che riguardi lo sforzo di annullare i risultati delle elezioni è costretto a passare tra le complesse questioni dell’attività politica protetta dal Primo Emendamento, che obbliga a valutare se e quando il discorso di una persona possa diventare parte di una presunta cospirazione a sostegno di un colpo di stato.
Molti elementi dell’immensa indagine penale sul 6 gennaio sono rimasti segreti. Ma nelle ultime settimane il ritmo del lavoro è aumentato, con una nuova serie di mandati di comparizione, perquisizione e interrogatori. L’ex capo dello staff di Pence, Marc Short, e l’avvocato Greg Jacob sono comparsi davanti al gran giurì nel centro di Washington nei giorni scorsi: entrambi hanno rifiutato di commentare.

Gli sforzi del Dipartimento di Giustizia sono separati dall’indagine in corso da parte della commissione della Camera, che ha cercato di ritrarre Trump come responsabile dell’istigazione alla rivolta in Campidoglio e come inadempiente al suo dovere per essersi rifiutato di fermarla. Sia Short che Jacob hanno testimoniato davanti alla Commissione, raccontando come Pence abbia resistito ai tentativi di Trump di arruolarlo nella causa.
A differenza del Dipartimento di Giustizia, la commissione della Camera non ha il potere di avviare indagini penali o di accusare qualcuno di illeciti.
Nel frattempo Joe Biden, dopo essere stato attaccato da Trump che parlando al think tank America First Policy Institute a Washington ha accusato il Partito Democratico di avere trasformato il Paese in una «fogna di crimine e violenza, senza alcun rispetto per la legge», ha risposto su Twitter scrivendo “Non credo si possa dire di avere rispetto per la legge dopo aver incitato una folla ad aggredire le forze dell’ordine: una persona non può sostenere allo stesso tempo una rivolta e il concetto di democrazia”.