In questo periodo difficilissimo, non siamo ancora usciti dalla pandemia e siamo preoccupati per la drammatica guerra in Ucraina e le sue conseguenza, l’Italia andrà alle urne il 25 settembre.
Nel nostro Paese è avvenuto un “delitto” quasi perfetto il cosiddetto “draghicidio”. I partiti hanno fatto fuori il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, e il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stato costretto a sciogliere le Camere e a convocare le elezioni. Già è iniziata la campagna elettorale e proprio per questo, avendo svolto ricerche e pubblicato articoli scientifici e libri sulla comunicazione politica, ho iniziato a documentarmi sui possibili nuovi scenari.
Tanti gli slogan, i nomi, le coalizioni, i passaggi da un partito all’altro e soprattutto assistiamo alla formazione di grandi schieramenti per riproporre una grande Democrazia Cristiana. La sensazione che si avverte è il distacco della popolazione, stanca di sentire promesse e parole. Presumibilmente, in molti decideranno di non andare a votare, perché ormai assolutamente disillusi dalla politica e privi di riferimenti. Infatti, la grande scommessa per questi partiti è quella di riuscire a vincere sull’astensionismo.
Ho letto due interessanti articoli del ricercatore Enzo Risso, pubblicati su Il Domani, che analizzano il cambiamento dei cattolici, ovvero la percezione che la politica ha di questa trasformazione, le motivazioni e i temi del voto che interessano maggiormente gli italiani. La prima indagine è stata avviata nel mese di maggio ed è stata condotta su un campione di 800 italiani, maggiorenni, con il sistema di rilevazione Cawi.
Innanzitutto la ricerca riporta alcuni dati davvero interessanti. Il 22 per cento degli italiani possono essere considerati “cattolici praticanti”. Il 31 per cento possono essere definiti “cattolici disimpegnati” e il 37 per cento “cattolici indifferenti”. Mentre, il restante 10 per cento o professa un altro credo religioso o si definisce “non credente”. Una percentuale di cattolici praticanti sopra la media nazionale si colloca tra gli under 30 anni. Minore è la presenza dei praticanti all’interno del ceto medio-basso. Il numero maggiore di cattolici “disimpegnati” si trovano tra gli over 50 anni e il ceto medio-basso. Gli “indifferenti” si possono individuare nella Generazione X, i nati tra il 1965 e il 1979 (41 per cento), nei ceti popolari (42 per cento) a nord ovest e nel centro Italia (45 per cento). Atei, agnostici o professanti altre religioni sono presenti nel ceto medio-basso (13 per cento) al sud (14 per cento) e tra i giovani (11 per cento).
Per quanto riguarda i valori cattolici, il 30 per cento, ritiene che le persone dovrebbero seguire il Papa e la Chiesa cattolica (percentuale che aumenta al 40 per cento nel sud e nelle isole, mentre scende al 23 e 24 per cento a nord ovest e nel centro Italia).
Sui temi di attualità il numero dei cattolici che appoggia la Chiesa diminuisce. Si registra un’evoluzione ad esempio sui diritti del mondo LGBT. Il 65 per cento degli italiani crede che la famiglia non sia solo quella formata da uomo e donna legittimamente sposati. Una trasformazione è avvenuta anche sul tema dell’eutanasia. Infatti, nel 2008 i contrari erano il 40 per cento ma oggi sono solo il 12 per cento.
I cattolici praticanti (22 per cento) sono suddivisi nei diversi schieramenti politici. L’unione tra fede e politica, nell’ultimo ventennio, si è indebolito, mentre è cresciuto il processo di secolarizzazione valoriale, con diverse tematiche che sottolineano il distacco tra la Chiesa cattolica e la società odierna.
La seconda indagine svolta dal ricercatore Enzo Risso, anche questa pubblicata sul Domani, riguarda le motivazioni e i temi su cui punterà la campagna elettorale.
L’indagine è stata condotta nel mese di luglio ed è stata svolta su un campione di 800 italiani, maggiorenni, con il sistema di rilevazione Cawi.
Questa analisi mette in luce le motivazioni di scelta di un partito piuttosto che un altro. Al primo posto c’è la capacità di un partito di essere attento ai problemi reali delle persone (23 per cento). A seguire il voto di appartenenza (22 per cento) e il livello di onestà di un partito politico (21 per cento). Altri fattori possono essere: la fiducia che riesce a ispirare il partito e il suo leader (19 per cento), il programma e le scelte politiche che propone per il futuro del paese (18 per cento), la capacità e la responsabilità nel governare il paese (17 per cento) e infine la volontà di fare gli interessi di tutti (16 per cento). Queste sono le principali motivazioni, ma ci sono delle differenze tra gli elettori di centrodestra, di centro e di centrosinistra. Gli elettori di centrodestra mettono al primo posto la fiducia nel partito o nel leader (29 per cento); gli elettori di centrosinistra prediligono il programma (26 per cento); gli elettori di centro danno molta importanza alla condivisione delle idee (36 per cento).
Sul fronte dei temi del voto sono emersi con percentuali più alte, oltre al lavoro e al caro prezzi, la lotta alla corruzione (22 per cento), la sicurezza (21 per cento), l’ambiente e la riduzione delle tasse (19 per cento), la richiesta di maggiore uguaglianza (18 per cento), l’immigrazione e la riduzione del precariato (12 per cento). Per il centrosinistra in vetta si piazza l’ambiente (31 per cento) e la lotta alle disuguaglianze (29 per cento). Gli elettori del centrodestra sono attenti ai temi delle tasse (27 per cento) e all’immigrazione (26 per cento). Il centro è sensibile alla corruzione (32 per cento), all’ambiente e alla sicurezza (28 per cento). Quindi, da questa attenta analisi di Risso emerge come le motivazioni e i temi siano alquanto diversi e, dopo due anni di pandemia, la guerra in corso, l’inflazione, la siccità e innumerevoli problemi, gli italiani si chiedono quale sarà il loro futuro e la loro sorte.
L’aspetto più importante della comunicazione politica è sicuramente legata all’analisi dei candidati, di tutti i presenti nella competizione e del contesto. Indubbiamente, una buona strategia consente di raggiungere i target degli elettori, diversi per segmenti.
Negli ultimi anni le campagne elettorali sono state molto legate alla personalizzazione e alla spettacolarizzazione. C’è stato anche un uso perverso dei sondaggi, non per comprendere i temi cari agli elettori e costruire programmi adeguati, ma soprattutto per cogliere cosa non piace loro e ritagliare su questo tutta la campagna. Una sorta di caccia alla migliore antipolitica senza però indicare come combatterla e trovare una strada capace di dare soluzioni.
La politica, come abbiamo visto anche nelle recenti elezioni presidenziali francesi, ha dovuto fare i conti con il populismo, il sovranismo, l’odio razziale, la disaffezione del cittadino verso il diritto-dovere del voto. Questo intacca fortemente i processi democratici. E quindi chi costruisce le strategie elettorali deve fare i conti con la forte deidelogizzazione del voto, ma anche con chi per protesta non va a votare. In questo negli Stati Uniti come in Italia il colore della pelle, le religioni, la migrazione, la paura del terrorismo e delle guerre, è evocato per guadagnare o far perdere voti. Negli Stati Uniti è molto presente il fenomeno dei deep fake, video con personaggi politici a cui viene sottratta l’immagine ma vengo messe in bocca frasi e slogan che non pensano.
Così come le fake news stanno inquinando, attraverso vere e proprie campagne social il voto. In Italia i social network hanno un peso nel rapporto voto-non voto, ma è difficile che riescano a costruire posizioni di privilegio dei candidati. Servono più a demolire che costruire, visto che tutti si sentono in dovere di commentare e condividere le notizie senza nemmeno controllarne la veridicità. Inoltre, le dirette social vengono registrate ed eventuali “voli pindarici” nei progetti poi possono essere un boomerang per chi li pronuncia e per il partito stesso.
I dati che emergono dalle esperienze americane ed europee ci dicono che sul Web ci possono essere alcune verità e tante menzogne.
Come ripeteva spesso il Premio Nobel Luigi Pirandello esistono Tre Verità: “la mia, la tua e la verità”. Parafrasando quanto detto dal grande drammaturgo siciliano nel rapporto tra comunicazione e politica esistono tre verità: quella della politica, quella del web e la verità.
Il rapporto di leader e partiti con il web, al momento, è quello di un gioco che non determina con certezza consensi. E quindi l’intero eventuale utilizzo va discusso, ri-discusso, capito e ponderato.
Bisogna ritrovare l’etica della politica, uscire dalle logiche della politica scandalistica, dal linguaggio populista per approdare ad un modello comunicativo relazionale, nel quale ai messaggi siano consequenziali gli atti. Certamente, il tutto organizzato all’interno di una strategia comunicativa ben progettata. In queste elezioni potrà esserci qualunque tipo di risvolto. Gli approcci comunicativi sono molto diversi e al momento nessuno è uscito allo scoperto fino in fondo. Le scelte comunicative saranno comunque diverse e ognuno di noi dovrà essere in grado di trarre le sue conclusioni, decidendo con coscienza per il bene del Paese.
Oggi, la politica e la comunicazione devono adeguarsi ad una capacità d’ascolto che può essere strumento vincente, partendo dalle istanze della “gente” non più come elemento astratto ma espressione di cittadinanza attiva, operazione non semplice in questa società che dimostra di essere sempre più “liquida” e votata ai propri interessi personali.