Questa settimana si concludono le audizioni pubbliche sull’assalto al Congresso del 6 gennaio. 2021.
Le prime tre sono state seguite da più di 20 milioni di americani in diretta TV con Trump sempre in prima fila nella sua villa di Mar a Lago. Un vero fenomeno mediatico. Il 6 gennaio del 2021 ci sono stati morti, decine di feriti anche tra i poliziotti, più di 800 arresti, dozzine di persone già condannate. È dovuta intervenire la guardia nazionale per riportare la calma e la sicurezza nel Campidoglio degli Stati Uniti.
Ma l’America, dopo il brivido nazionale di quel giorno, è rimasta una democrazia. La politica non ne ha risentito. La società americana sì. Lo squarcio è rimasto profondo. Mike Pence, con qualche ora di ritardo, tensione e sudori freddi, grazie all’arrivo dei soldati è riuscito comunque a proclamare Biden. Il 20 gennaio, dopo aver firmato perdoni a raffica, Donald Trump è volato in Florida e Biden è entrato senza alcun incidente alla Casa Bianca. Capitolo chiuso? Il punto non è questo.
Donald Trump ha provato fino all’ultimo a impedire la nomina del suo rivale. Ha cercato di “distorcere” la costituzione americana. Ha fatto pressione sul vice-presidente Pence perché violasse la legge alterando o i nomi dei grandi elettori che sono i certificatori ufficiali della vittoria del presidente. Non c’è riuscito.

Tutti gli erano contro. Dal Pentagono al ministero della giustizia. Anche molti repubblicani, ma dissentivano in silenzio. Nessuno voleva un golpe insensato. Non c’erano più stati contesi. Non c’erano più riconteggi da effettuare. Non c’è stata alcuna frode. Joe Biden aveva conquistato 306 voti elettorali con oltre 7 milioni di voti popolari in più e Donald Trump solo 232. Si era ribaltata la stessa situazione del 2016, quando Trump si impose su Hillary Clinton.
Ma Donald non voleva accettare la realtà, anche se lo stesso ministro della giustizia William Barr lo aveva confermato. Nessun tribunale americano ha accolto i ricorsi presentati dalla campagna elettorale di Trump e dal suo avvocato Rudolph Giuliani. Rudy ha parlato di macchine del voto truccate, schede false e precompilate col nome di Biden, falsificazioni nel voto postale, manipolazione delle schede ai seggi. Una catena di denunce tutte false e indimostrabili che sono costate a Giuliani la sospensione della sua pratica da avvocato e potrebbero costargli anche condanne penali. Persino l’altro consigliere legale dell’ex presidente John Eastman, considerato l’architetto della “strategia del ribaltamento del voto” che urlava insieme a Giuliani il 6 gennaio istigando i fanatici di Trump a marciare sul Campidoglio, rischia grosso.
L’America però oggi rimane a rischio. La verità sul voto è chiara e anche i repubblicani lo confermano, ma voltano la testa dall’altra parte. Non sono interessati a spiegare ai loro elettori come si sono svolti i fatti. Cercano di sfruttare questo stato di confusione e di violenza che serpeggia nel paese per vincere le elezioni di medio termine e strappare ai democratici la maggioranza alla Camera e al Senato. L’obiettivo è azzoppare definitivamente Biden per il 2024, con Trump o senza Trump come sfidante.
Ma il vero problema però è un altro. Non è Donald Trump, ma il popolo di Trump. Un 20% dell’elettorato conservatore che si dice sinceramente convinto che le elezioni del 2020 siano state una frode e che Biden le abbia rubate. Vuol dire credere solo alle fake news e non a quelle vere. Vuol dire utilizzare servizi di informazione alternativi, inaffidabili e misteriosi guidati da astute macchine della propaganda più becera.

Vuol dire soprattutto non credere nell’America dei valori sociali e della trasparenza. Vuol dire creare le basi di una diversa America che non ha nulla a che vedere con repubblicani di Reagan o Bush, i democratici di Clinton e Obama o ai leader di altri movimenti politici. Vuol dire che si è creato uno strato sociale basato sull’ignoranza e la faciloneria violenta spacciata per finto patriottismo senza basi. Trump sapeva perfettamente di aver perso. Pensava di aver perso tutto. Per questo ha cercato di spingere il suo vice Pence a violare la legge dichiarando il falso e minacciandolo con i rivoltosi che hanno dato l’assalto al Congresso.
È questa la grande follia collettiva. Incendiare gli animi con la grande bugia elettorale della frode che Trump ha alimentato e inventato con un successo straordinario arrivando alle soglie del golpe. Tutti in America si ricordano di quelle ore. Con i poliziotti del Campidoglio sopraffatti dai sovversivi violenti la struttura della democrazia americana stava per crollare mostrando tutta la sua sconcertante fragilità. Se Pence non avesse proclamato Biden Presidente mostrando per la prima volta indipendenza di giudizio, dignità coraggio e anche onestà, Donald Trump avrebbe potuto nelle ultime due settimane che gli rimanevano alla Casa Bianca dichiarare lo stato d’emergenza, la legge marziale e con la scusa di evitare i disordini nelle strade proclamare la legge marziale e cambiare il corso della storia americana.
Il presidente voleva violare la costituzione, rimanere al potere e diventare una sorta di neo dittatore transitorio. Alla fine ha prevalso il senso civico di Pence, ma non va dimenticato che alla Camera ci sono stati ben 124 deputati repubblicani hanno votato contro la certificazione della vittoria di Biden. È questa l’America che fa paura. Un’America ideologizzata e armata che potrebbe puntar ad una vera rivolta nel 2024 se Trump si dovesse ripresentare e perdere un’altra volta contro un candidato democratico.
Le elezioni di medio termine a novembre dovranno dimostrare se per il popolo americano sia più grave un’insurrezione rispetto all’inflazione. Sul comportamento di Trump durante e dopo il 6 gennaio sarà il ministero della giustizia a stabilire se la legge è uguale per tutti o se non è successo niente.
Ma se non si farà chiarezza sulla proclamazione del presidente e sull’”ordinato trasferimento dei poteri”, il 6 gennaio 2025 l’America potrebbe davvero finire nel chaos.