Oggi, 50 anni fa, ci fu l’irruzione nel complesso del Watergate. La notte del 17 giugno 1972 cinque persone vennero arrestate per essere entrate illegalmente nella sede del Comitato Nazionale Democratico situato nel complesso del Watergate a Washington.
I cinque, James McCord, Frank Sturgis, Bernard Barker, Virgilio González ed Eugenio Martínez, avevano con loro oltre i grimaldelli per aprire le porte, anche dei microfoni spia per ascoltare le conversazioni. James McCord era il capo della sicurezza per la campagna per la rielezione del presidente Richard Nixon. Una connection che immediatamente diede enorme risalto alla vicenda. Due anni dopo questo arresto il presidente repubblicano Richard Nixon rassegnò le dimissioni.
In seguito alla vicenda ci fu una profonda revisione dell’etica del potere esecutivo, voluta sia dal presidente repubblicano Gerald Ford che da quello democratico Jimmy Carter e votata da entrambi i partiti: l’Ethics in Goverment Act, una riforma che in pratica isolava dalla politica il Dipartimento della Giustizia.

Cinquanta anni dopo questo stesso dipartimento è per la prima volta messo alla prova e si trova nella difficile posizione di dover decidere se avviare un’accusa penale per l’ex presidente Trump per i suoi tentativi di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020.
Il ministro della Giustizia Merrick Garland, finora silenziosissimo, si trova in una delicatissima posizione: deve bilanciare il suo ruolo di arbitro imparziale per proteggere la reputazione del dicastero che dirige e nello stesso tempo deve evitare che se dovesse rinviare a giudizio l’ex presidente la sua decisione venga strumentalizzata politicamente dai sostenitori di Trump.
“Per il Dipartimento di Giustizia è una situazione complicata” ha affermato a Brookings Noah Bookbinder, presidente di Citizens for Responsibility and Ethics a Washington. “Se Donald Trump ha effettivamente commesso attività criminale creando una seria minaccia per la democrazia, e non si fa nulla al riguardo, questa è di per sé già una decisione politica. Lasciar correre è pure una decisione politica, ma più pericolosa perché quello che ha fatto Trump potrebbe essere ripetuto. Quindi Garland è in una situazione difficile”.
Sia l’ex presidente Richard Nixon che Donald Trump hanno mostrato la loro arroganza nel trattare lo stato di diritto come un subordinato al loro potere ma le due presidenze finora hanno prodotto risposte nazionali nettamente contrastanti.

L’irruzione del Watergate nel giugno 1972 fu il prologo alle dimissioni di Nixon, nonostante tutte le interferenze e bugie dell’ex ministro della Giustizia John Mitchell che per questo venne condannato a 2 anni e mezzo di prigione. Dimissioni e condanne che portarono a una raffica di misure di etica e trasparenza del governo.
Cinquanta anni dopo sta succedendo l’esatto contrario con il Dipartimento della Giustizia in silenziosa surplace per mostrare l’imparzialità aspettando forse che la Commissione d’Inchiesta creata dalla Camera concluda le indagini sull’operato di un presidente che con false accuse ha cercato di rovesciare un esito elettorale e che ha incitato la folla a bloccare la certificazione della vittoria del suo rivale.
Sei mesi dopo le dimissioni di Nixon, l’allora ministro della Giustizia nominato da Gerald Ford, Edward Levi, durante la sua cerimonia di giuramento del febbraio 1975 fece riferimento a come l’indipendenza del Dipartimento di Giustizia fosse stata erosa sotto l’amministrazione Nixon.
“Abbiamo vissuto in un’epoca di cambiamento e di scetticismo e cinismo corrosivi riguardo all’amministrazione della giustizia“, affermò. “La nostra legge non è uno strumento di scopo di parte, e non è uno strumento da usare in modi che non tengono conto dei valori superiori che sono dentro tutti noi”.
Garland finora ha ricevuto elogi per aver ripristinato questa etica dopo che il Dipartimento della Giustizia con William Barr ha avuto un rapporto stretto con la Casa Bianca e che ha promosso gli interessi politici di Trump. Ma Garland potrebbe presto affrontare quella che sarà di gran lunga la prova più difficile del suo mandato di procuratore generale. Il fatto è che nel 1975, quando Nixon si dimise, il Paese non era avvelenato dalla falsa retorica del presidente e dalla falsa informazione. Tuttavia, la prospettiva che per la prima volta nella storia degli Stati Uniti un ex presidente venga incriminato esporrebbe il ministro della Giustizia e tutta l’Amministrazione agli attacchi politici.
Nel 1975, quando Nixon si dimise, i repubblicani non vedevano l’ora di voltare pagina, di dare un taglio netto alla disonestà di quella Casa Bianca. Oggi, invece, il Paese è differente con più del 70% dei repubblicani che crede nelle bugie dell’ex presidente. E per questo l’America deve essere “grata” a Roger Ailes che dopo essere stato il media adviser di Richard Nixon, è passato a Fox News e ha dato quella sterzata al network portando quell’idea di “voce grossa” che aizza le coscienze repubblicane. Poco importa che le notizie siano non vere, l’importante è fare audience. E Trump ha beneficiato e capitalizzato su questa disinformazione. Ma gli Stati Uniti hanno perso il contatto con la realtà.