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May 12, 2022
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La Commissione d’Inchiesta convoca 5 Congressmen repubblicani

Decisione senza precedenti per far luce sull'assalto al Congresso

Massimo JausbyMassimo Jaus
Su Capitol Hill, Biden attacca Trump: “I veri patrioti sono quelli che hanno votato”

Donald Trump e l'Assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 nell'illustrazione di Antonella Martino

Time: 4 mins read

La Commissione d’Inchiesta della Camera che indaga sull’assalto del 6 gennaio 2021 al Campidoglio ha emesso citazioni in giudizio per cinque membri repubblicani del Congresso: il leader della minoranza della Camera Kevin McCarthy e i congressmen Scott Perry, Jim Jordan, Andy Biggs e Mo Brooks.

Il congressman Bennie Thompson, presidente della Commissione d’Inchiesta, ha spiegato che il Comitato ha deciso di fare questo passo estremo dopo che i legislatori repubblicani si sono rifiutati di parlare e di collaborare volontariamente con l’inchiesta. Una mossa che segna una significativa impennata negli sforzi del comitato per ottenere informazioni relative alle comunicazioni dei legislatori con l’allora presidente Donald Trump e il capo di gabinetto della Casa Bianca Mark Meadows prima, durante e dopo l’attacco. E segna anche un pericoloso precedente. Finora mai un leader dell’opposizione era stato oggetto di un mandato di comparizione davanti ad una commissione d’inchiesta. Ma l’assalto al Congresso è una delle pagine più tenebrose della storia americana, un tentativo insurrezionale che calpesta la democrazia e la Costituzione del Paese e sulla quale deve essere fatta piena luce.

Thompson ha dichiarato che il comitato “è a conoscenza che molti dei nostri colleghi hanno informazioni rilevanti per l’indagine sull’attacco del 6 gennaio… Ma prima di tenere le nostre audizioni pubbliche il mese prossimo, desideravamo offrire ai membri l’opportunità di discuterne volontariamente. Purtroppo, però, queste persone si sono rifiutate e siamo stati costretti a fare questo passo – ha spiegato. – Esortiamo i nostri colleghi a rispettare la legge, a fare il loro dovere patriottico e collaborare alle indagini come hanno fatto centinaia di altri testimoni”.

Finora il comitato era stato riluttante nel citare in giudizio i legislatori repubblicani in quanto per ottenere la loro testimonianza ci sarebbe stata una lunga battaglia legale che poteva durare oltre le elezioni di Mid Term. Non è escluso infine anche il timore di ritorsioni qualora i repubblicani dovessero riconquistare la maggioranza alla Camera nelle elezioni di Novembre.

In una lettera inviata a gennaio a McCarthy, Bennie Thompson ha affermato che la Commissione è interessata alla corrispondenza tra Trump e Meadows prima durante e dopo la rivolta perché i dettagli di queste conversazioni potrebbero fornire informazioni utili sullo stato d’animo di Trump in quel momento.

“Dobbiamo anche sapere come si sono combinati i piani del presidente per il 6 gennaio e tutti gli altri modi in cui ha tentato di alterare i risultati delle elezioni – ha scritto Thompson a McCarthy. – Ad esempio, prima del 6 gennaio, secondo quanto riferito da altri testimoni, lei ha spiegato a Mark Meadows e all’ex presidente che le obiezioni alla certificazione dei voti elettorali del 6 gennaio erano destinati a fallire”. McCarthy ha risposto che “l’unico obiettivo del comitato è tentare di danneggiare i suoi oppositori politici”.

La Commissione d’Inchiesta aveva contattato anche Jordan, uno dei più fedeli alleati di Trump alla Camera dei Rappresentanti. Voleva sapere quali comunicazioni avesse avuto con Trump il 6 gennaio e con quali collaboratori del presidente (Rudy Giuliani, Steve Bannon e John Eastman) che, secondo il New York Times, erano tutti nella “War Room” del Willard Hotel nei giorni precedenti all’attacco.

Dai registri telefonici della Casa Bianca in possesso dei commissari Jordan e Trump hanno parlato al telefono la mattina del 6 gennaio 2021, poco prima che Trump tenesse il comizio. Jordan è stato anche identificato come uno dei parlamentari che ha inviato un text message all’allora capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows. In questo messaggio delineava una strampalata teoria secondo cui l’allora vicepresidente Mike Pence avrebbe avuto l’autorità di ostacolare la certificazione delle elezioni del 2020.

Jordan è stato selezionato da McCarthy a luglio 2021 per essere uno dei cinque membri del partito Repubblicano a far parte della Commissione d’Inchiesta, ma la presidente della Camera Nancy Pelosi ha bocciato la selezione di Jordan da parte di McCarthy, insieme a quella del congressman Jim Banks, perché ha affermato che le loro nomine potevano rappresentare un danno all'”integrità dell’indagine”. La decisione di Pelosi a quel punto ha portato McCarthy a ritirare tutti e cinque i membri repubblicani della Commissione d’Inchiesta. A questo punto Nancy Pelosi li sostituì d’ufficio con due repubblicani non legati all’ex presidente: Liz Cheney del Wyoming e Adam Kinzinger dell’Illinois. Per questo motivo McCarthy ha detto che la commissione era stata costituita illegalmente. Ma le sue accuse sono state respinte nei giorni scorsi dal giudice federale Tim Kelly, nominato da Donald Trump, che con una decisione al vetriolo, ha stabilito la legittimità della Commissione d’Inchiesta.

Perry è stato il primo legislatore a cui il comitato ha chiesto la cooperazione volontaria a causa del suo ruolo chiave avuto nel tentativo di aiutare Trump a rovesciare il risultato delle elezioni del 2020.

I messaggi di testo inizialmente forniti da Meadows alla Commissione, mostrano che Perry faceva pressioni affinché l’intelligence indagasse su astrusi complotti elettorali oltre che cercare di sostituire l’allora ministro della Giustizia ad interim con un complice disposto a eseguire gli ordini di Trump.

“Da un amico di Intel: il DNI deve incaricare la NSA di impossessarsi immediatamente e iniziare a cercare le comunicazioni internazionali relative a Dominion”, ha scritto Perry a Meadows il 12 novembre 2020, appena cinque giorni dopo che le elezioni erano state vinte da Joe Biden.

Perry esortava Meadows a convincere John Ratcliffe, l’allora direttore dell’intelligence nazionale, a ordinare alla National Security Agency di indagare sulle macchine per il voto della Dominion che, secondo lui, erano state manipolate dalla Cina usando i satelliti italiani. “Pura follia” titolava il Washington Post. In una testimonianza rilasciata ad aprile, l’ex assistente di Trump, Cassidy Hutchinson, ha raccontato agli inquirenti della Camera del ruolo di Perry nelle sessioni strategiche della Casa Bianca sull’eliminazione dei voti elettorali negli Stati in cui Trump aveva perso.

I messaggi telefonici mostrano anche che Perry è stato il tramite tra Meadows e l’avvocato del Dipartimento di Giustizia Jeffrey Clark, un funzionario relativamente oscuro che è emerso come una figura centrale nel tentativo di Trump di ribaltare il risultato delle elezioni tanto che l’ex presidente lo voleva nominare ministro della Giustizia pochi giorni prima della rivolta del Campidoglio.

Questi messaggi tracciano un collegamento diretto tra Perry, Clark e lo sforzo guidato da Trump alla Casa Bianca per coinvolgere il Dipartimento di Giustizia nel tentativo di ribaltare il risultato delle elezioni.

La Commissione d’Inchiesta aveva contattato il deputato Biggs all’inizio di questo mese per discutere della sua partecipazione alle riunioni strategiche che si erano tenute alla Casa Bianca per “pianificare il 6 gennaio”. Ma il congressman si era rifiutato di parlare con loro.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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