Effetti “collaterali” della guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, e per fortuna neppure paragonabili alle sofferenze e ai dolori che quel popolo invaso paga. Qui, in Occidente (e poco importa la nazionalità, vale per amicizie che sono in possesso di passaporti di diversi paesi d’origine) si discute e ci si divide: c’è chi condanna la guerra perché comunque sbagliata; chi sostiene la resistenza degli ucraini, e ritiene giusta la reazione degli Stati Uniti e dell’Occidente europeo; chi vorrebbe maggiore determinazione, perché a suo giudizio l’Ucraina è solo un primo passo di una lunga marcia impressa da Putin; c’è chi mette sul banco d’accusa anche Joe Biden, e le responsabilità degli Stati Uniti.
E’ il bello di vivere in “regimi” democratici, che per quanto zoppicanti, lacunosi, pieni di difetti insopportabili, sono comunque preferibili alla migliore della dittatura. In fin dei conti il passaporto (cioè il poter lasciare il proprio paese e viaggiare se si hanno le risorse economiche per farlo); la scheda elettorale dove di volta in volta scegliere i propri rappresentanti nelle assemblee politiche e amministrative; e il poter dire ad alta voce anche corbellerie senza per questo finire chiusi in una cella; ecco questi sono tre elementi fondamentali per definire un paese “libero”. Non i soli, ma certamente gli essenziali.

Per tornare all’Ucraina: tra i sicuri, i certi, i dubbiosi, i perplessi, spesso la discussione si fa accesa; e che vi sia passione nell’argomentare le proprie ragioni non c’è nulla di male; beninteso, se dalle parole si resta alle parole; e queste ultime, anche se di tono di voce elevato, restano nel canone del rispetto.
Qui è il problema. A chi scrive ancora non è capitato, e ci si augura non accada; ma è accaduto, accade che amicizie anche rassodate da comuni interessi e passioni, oltre che dal tempo, si siano infrante; e più d’uno decide di non rivolgere più la parola all’altro perché di diversa, opposta opinione. Si osserverà che probabilmente, al di là dell’apparenza, per altro “pretesto” quell’amicizia si sarebbe rotta comunque. Probabilmente sì; ma intanto è accaduto per la questione Ucraina. Anche questo va messo in conto a Putin: colpa e responsabilità lievissime, se raffrontate a quelle concrete: ai morti che sono ormai vero e proprio genocidio, al dolore, alle sofferenze che nessuno e niente potrà risarcire e cancellare, che televisioni e giornali documentano da giorni, ogni giorno. Ma amicizie andate in frantumi sono anche questo un “qualcosa” che a Putin va imputato, e non solo alla poca maturità degli ex amici incapaci di accettare di essere d’accordo sul fatto che sono in disaccordo; e di questo accontentarsi.
Sempre in tema di Ucraina; più d’uno s’affanna a cercare responsabilità dell’Occidente; si fa una certa fatica a condannare chi ha scatenato la guerra, senza aggiungere senza aggiungere un tono severo a USA, Nato, Occidente. Gente comune, ma anche commentatori e collaboratori di giornali e spesso presenti in programmi televisivo di approfondimento. Uno per tutti: di recente Gianni Riotta buon conoscitore della realtà americana, collaboratore di “Repubblica”, “La Stampa” e altre prestigiose pubblicazioni. Rimprovera all’Occidente un errore: “Si è sbagliato su Putin”. Cita un lungo elenco di persone che si sono sbagliate: l’ex ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble; i presidenti americani Bush figlio e Barack Obama, fino agli ex premier italiani Silvio Berlusconi e Giuseppe Conte, tanti esponenti del Partito Democratico, Lega e Movimento 5 Stelle italiani; con tantissimi analisti, dice Riotta, dovrebbero riconoscere di aver ignorato la vera natura del regime di Putin.

Sbaglio comune mezzo gaudio? Proprio no. Quello che sappiamo a proposito delle fosse comuni con decine di civili ucraini seviziati, torturati e poi uccisi, è accaduto anche in Cecenia, in Siria, in Kazakhstan, sempre opera degli stessi tagliagole, sempre per ordine di Putin e dei suoi complici. Qualcuno nei tempi giusti, denunciò inascoltato questi orrori: il Partito Radicale. Allora l’Occidente per interesse o pigrizia o miopia (fare voi) non volle capire, sapere, vedere. E anche i Riotta hanno delle responsabilità: hanno taciuto, non hanno ascoltato; non hanno dato voce a chi denunciava questi crimini. Se oggi accade quello che accade, è anche perché allora tanti commentatori e analisti oggi inorriditi, allora hanno voltato la testa, hanno taciuto, non hanno ascoltato. Dovrebbero spiegare perché.
Tra le pensose riflessioni abbondano insomma le equidistanti distribuzioni di responsabilità; gli inviti a comprendere, “capire”. Si osserva che inviare armi e istruttori che insegnino a usarle non è certo il migliore contributo a far cessare il conflitto; anzi, lo si alimenta, a tutto beneficio di quell’insaziabile “complesso militare industriale” denunciato dal presidente Dwight D. Eisenhower alla fine del suo mandato. Spesso chi si è interprete di queste posizioni ha un passato. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo che ci si è lasciati alle spalle, al tempo della guerra in Vietnam, tanti di loro erano in piazza a gridare: “Yankee go home”. Semplice semplice: senza preoccuparsi di “comprendere”, “capire”, o quant’altro. Cosa impedisce oggi, di dire, in modo altrettanto semplice semplice : “Putin go home”, o meglio ancora: “Putin idi domoy”?

Se è sbagliato, come molti dicono, sostenere la resistenza ucraina anche con l’invio di armi, non era parimenti sbagliato allora, al tempo della guerra in Vietnam, tacere e approvare il decisivo sostegno bellico della Cina e della allora URSS ai vietcong? Allora nessuno si sognava di contestare quel tipo di “sostegno”. Anzi, il “potere del popolo” prevedeva espressamente “la canna del fucile”…
Quello che è stato è stato, ovviamente, e ora nessuno si sogna di scandire più quelle “parole d’ordine”. Ma quando si tracciano come spesso si fa, paralleli con la guerra in Vietnam; quando si rimprovera agli Stati Uniti di aver consumato i medesimi crimini, organizzato gli stessi castelli di menzogne di cui sono responsabili i russi di Putin oggi in Ucraina, si ammetta e si dica anche che allora, in quegli anni, qualcosa di cui dolersi e perfino pentirsi si è fatto. Non fosse altro per impedire a noi “peccatori” di pensare male: che tutti gli aggressori e i tagliagole sono uguali, ma che ci sono aggressori e tagliagole più uguali di altri.