Gli inquirenti federali hanno ampliato l’indagine del 6 gennaio per ottenere informazioni sulla raccolta dei fondi e sull’organizzazione che ha pianificato la manifestazione che si è tenuta prima che i sostenitori di Trump prendessero d’assalto il Campidoglio. Lo scrive il Washington Post. Indagini anche degli inquirenti federali sui tentativi per sovvertire il conteggio dei voti del Collegio elettorale.
Nelle ultime settimane un gran giurì a Washington ha chiesto informazioni sui preparativi per la manifestazione che si è tenuta il 6 gennaio a pochi passi dal Campidoglio e sulle false liste alternative che erano state preparate sostituendo i nomi degli elettori di Biden con quelli dell’ex presidente Donald Trump.
Fino a poco tempo fa, gli inquirenti intentavano quasi esclusivamente i casi contro le persone che fisicamente avevano preso parte al tentativo insurrezionale e su alcuni membri di gruppi estremisti accusati di aver cospirato per interrompere la certificazione delle elezioni presidenziali del 2020. Un’indagine allargata sulla preparazione della manifestazione e sui falsi elettori rappresenta una nuova fase dell’indagine che prende in esame la pianificazione della strategia eversiva.
Una delle fonti anonime intervistate dal quotidiano della capitale federale ha affermato che l’inchiesta esamina “un livello più elevato di pianificazione della manifestazione”, incluso chi stava comunicando con chi, quali sono stati gli ordini degli organizzatori, chi ha finanziato la manifestazione. Alcune delle persone che hanno ricevuto i mandati di comparizione da parte degli inquirenti federali hanno cercato avvocati che li aiutassero con la difesa penale, anche se per ora sono solo testimoni.

Sia il Dipartimento di Giustizia che un portavoce dell’ufficio del procuratore federale a Washington, che sta conducendo l’indagine del 6 gennaio, hanno rifiutato di commentare la notizia.
“In circostanze come quelle del 6 gennaio, una ricostruzione completa degli avvenimenti non si materializza improvvisamente. Per garantire che tutti i responsabili penalmente siano perseguibili, dobbiamo raccogliere le prove”, ha detto il procuratore generale Merrick Garland in un discorso il 5 gennaio, uno anno dopo l’attacco al Campidoglio. “Seguiamo le prove fisiche. Seguiamo le prove digitali. Seguiamo i soldi. Ma soprattutto, seguiamo i fatti, non un’agenda o un’ipotesi. I fatti ci dicono dove andare dopo”.
Oggi è comparso in remoto davanti alla Commissione d’Inchiesta della Camera che sta cercando di far luce sul tentativo insurrezionale, Jared Kushner, il genero dell’ex presidente del quale è stato consigliere senior. I commissari hanno voluto conoscere il suo ruolo nella preparazione degli eventi che hanno portato all’assalto del Congresso. Kushner, come è noto, non era negli Stati Uniti il 6 gennaio del 2020. Il comitato vuole anche chiedere la testimonianza della moglie Ivanka, la figlia di Trump. Martedì, il direttore delle comunicazioni della Casa Bianca, Kate Bedingfield, ha confermato che la Casa Bianca aveva rifiutato di limitare la testimonianza di Ivanka Trump e Kushner.

Molti repubblicani hanno preso le distanze dall’ex presidente che nel mezzo della guerra in Ucraina ha chiesto aiuto a Putin per attaccare Joe Biden. “Con Putin che non è esattamente un fan del nostro Paese in questo momento, fatemi spiegare perché la moglie del sindaco di Mosca ha dato ai Biden, entrambi, 3,5 milioni di dollari? Sono un sacco di soldi”, ha detto l’ex presidente intervenendo ad uno show di Real America’s Voice. “Penso che Putin abbia la risposta a questa domanda – ha aggiunto – e credo che dovrebbe pubblicarla”.
Già in passato Trump si era rivolto al capo del Cremlino per chiedere prove contro i suoi avversari politici. Durante la campagna elettorale del 2016, chiese – con il famoso “Russia, se ci stai ascoltando”- di trovare le e-mail di Hillary Clinton.
Ora con gli Stati Uniti e tutto il mondo occidentale che accusano Putin per la brutale aggressione dell’Ucraina e stanno imponendo le sanzioni economiche e rafforzando il fronte orientale della Nato nel timore di un’escalation del conflitto, le parole di Trump risultano ancora più chiassose e fuori luogo mettendo in difficoltà anche il partito repubblicano.
Nell’intervista Trump ha fatto riferimento ad una vicenda che ha più volte tirato in ballo, riguardante dei soldi che Hunter Biden avrebbe ricevuto dalla vedova di Yuri Luzhkov, che è stato sindaco di Mosca negli anni Novanta. Alcuni senatori repubblicani, sostenitori di Trump, nel 2020 denunciarono la vicenda, senza però riuscire fornire prove di illeciti. Nonostante le accuse Politico, il giornale on line ben informato, rivelò che negli anni Novanta era stato proprio Donald Trump a fare affari con Luzhkov.

La richiesta di Trump a Putin è stata fatta dopo che Mosca ha accusato il figlio del presidente di avere avuto un ruolo nella vicenda dei laboratori di armi biologiche che secondo Putin sarebbero stati sovvenzionati dagli americani in Ucraina. E dopo che sin dall’inizio dell’invasione, Trump ha più volte espresso ammirazione per “l’intelligenza” di Putin definendolo “un genio” per il modo in cui aveva schierato le truppe sul confine per “avere un vantaggio negoziale”, pur riconoscendo comunque che “ha commesso un errore” attaccando.
Non bisogna dimenticare poi che il primo impeachment di Trump nel 2019 è stato provocato dal tentativo di ricatto che l’allora presidente fece a Volodymyr Zelensky, bloccando gli aiuti militari per difendersi dalla Russia, se non avesse avviato un’indagine in Ucraina sui Biden. Anche lì a fornire le informazioni a Trump, fu inviato in Ucraina il suo avvocato personale Rudy Giuliani che usando il suo ex partner Lev Parnas contattò oligarchi e figure legate agli ambienti filorussi di Kiev.