La demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica; è un alibi per l’assenza di una politica
Henry Kissinger
A partire dal 1991, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, quasi tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia hanno bussato alla porta della NATO. In previsione di ciò, l’ultimo presidente dell’URSS, Michail Gorbačëv, aveva chiesto rassicurazioni scritte ai leaders d’Occidente che la NATO non si sarebbe mai spinta al di là della Germania unificata. Le richieste dell’autore della Perestrojka furono però vane, e già con Bill Clinton l’Alleanza Atlantica cominciò a spingersi quasi da subito verso Est, riuscendo a completare le seguenti “annessioni”: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria (1999), Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, e Bulgaria (2004); Albania e Croazia (2009); Montenegro (2017) Macedonia del Nord (2019).
Dopo l’11 settembre 2001, all’interno della NATO cominciò a mobilitarsi una corrente antiterrorismo che invitò a spingere per un allargamento ancora più a Oriente, iniziando dialoghi con Stati dal forte peso specifico dell’ex-Unione Sovietica, quali Georgia e Ucraina.
L’invasione russa della Georgia del 2008 raffreddò drasticamente i piani di questa espansione. Per l’Ucraina, invece, l’anno cruciale fu il 2014. Putin decise di invadere e annettere al proprio Paese la regione della Crimea. L’operazione militare durò dal 20 febbraio al 26 marzo e causò più di 14,000 vittime. Nonostante il popolo della Crimea, a maggioranza russo, con un referendum istituzionalizzò l’operazione militare, questo episodio a livello di politica interna fece crescere da subito nel resto del Paese un sentimento anti-russo, quindi nazionalista, e dette la prima significativa spinta alla conquista del potere da parte del debuttante Volodymyr Zelens’kyj e del suo partito “Il servitore del popolo”.

La reazione politica internazionale fu per lo meno nei comunicati ufficiali permeata di prudenza e dichiarazioni di non belligeranza. Il 5 marzo del 2014, a conflitto in corso, il Washington Post pubblicò una lettera di Henry Kissinger. In questo testo, l’ex Consigliere per la sicurezza nazionale di Nixon sosteneva che occorresse porre un chiaro veto all’ingresso nella NATO dell’Ucraina per risolvere la crisi in questo Paese. Inoltre aspirava un’Ucraina associata all’Europa attraverso un processo di “finlandizzazione”, ovvero di cooperazione con l’Occidente, evitando ostilità istituzionale verso la Russia e mantenendo quindi una fiera indipendenza. Nei fatti, un negoziato fra NATO e Ucraina andava evitato in quanto avrebbe causato delle reazioni imprevedibili da parte della Federazione putiniana.
Alle parole dell’ex Segretario di Stato americano, nei giorni successivi e sempre a conflitto in corso si unirono quelle di notevoli autorità internazionali fra cui, per l’Italia, Sergio Romano (ex ambasciatore di Mosca fra il 1985 e il 1989), lasciando intendere che l’Europa fosse unita nel considerare l’Ucraina un ponte fra le due potenze, e non andasse inglobata dentro l’uno o l’altro asse.
Dalle dichiarazioni pubbliche e unanimi di otto anni fa sulla crucialità della neutralità dell’Ucraina, ai negoziati NATO per inglobare il Paese ruteno cosa è cambiato? Come mai le tre esercitazioni militari del 2021 dell’Alleanza Atlantica in terra ucraina, l’ultima interrotta dagli spari di navi russe? Sacrificare la torre Ucraina, per cercare lo scacco matto allo zar di Russia. Uccidere Putin per fermare la guerra è l’unica via d’uscita? Oppure sarebbe più giusto dire, provocare una guerra (l’ultima?) come meccanismo attivatore per attaccare a oltranza economicamente e politicamente l’attuale governo dispotico russo?

Dalla seconda guerra mondiale terminata nel 1945 a oggi, le grandi potenze non sono mai arrivate a uno scontro diretto, ma piuttosto sono riuscite a convivere in un contesto di pace armata, accompagnata da una corsa alla creazione e lo sfoggio di temibili arsenali nucleari e di armi di distruzione di massa. Questi fatti non hanno mai interrotto la crescita di relazioni economiche e sociali fra i tre assi. Se da un lato questo conflitto ha messo a nudo una nuova e rinforzata fratellanza fra i regimi di Cina e Russia, dall’altro, ha mostrato che l’oligarchia di Mosca ha bisogno per sopravvivere dell’Occidente. Grazie al dialogo fra le multinazionali sovietiche e quelle atlantiche, la NATO quanti alleati pronti a esporsi, a destituire Putin, conta di avere a Mosca? Interrogativi drammatici e senza risposta.
La Russia è un indovinello, avvolto in un mistero all’interno di un enigma, amava dire Winston Churcill.
Mentre a tragedia della guerra è ancora in corso, la dichiarazione di Zelens’kyj di rinunciare ufficialmente a entrare nella NATO (che Putin ha etichettato come una menzogna simile a quelle pronunciate dai vari leader dell’Est Europa a Gorbačëv e nulla più), c’è soprattutto da auspicare che il martirio del popolo ucraino sia da monito e insegnamento per le classi politiche di ogni asse e la base per una nuova convivenza fra potenze veramente pacifica e duratura, piuttosto che opportunità di conquista economica e di potere, generatore a lungo termine di un nuovo clima mondiale di permanente conflitto e discordia.