Un’altra battaglia persa per l’ex presidente Donald Trump: i registri dei visitatori della Casa Bianca, che lui aveva secretato con un ordine presidenziale, saranno rilasciati alla Commissione d’Inchiesta che indaga sul tentativo insurrezionale del 6 gennaio. Lo scrive il New York Times.
Il presidente Joe Biden ha cancellato il privilegio esecutivo dell’ex presidente e ha ordinato che i registri dei visitatori del palazzo presidenziale vengano rilasciati alla Commissione d’Inchiesta. In una lettera ai National Archives, il consulente legale della Casa Bianca, Dana Remus, ha reso nota la decisione del presidente chiedendo di consegnare i registri entro 15 giorni. “Il presidente ha stabilito che il privilegio esecutivo imposto da Trump non sia nel migliore interesse degli Stati Uniti. La protezione costituzionale del privilegio esecutivo non dovrebbe essere utilizzata per nascondere informazioni che riflettano uno sforzo chiaro e apparente per sovvertire la Costituzione”, ha scritto Remus.
Durante la presidenza di Barack Obama, la Casa Bianca ha reso pubblici i registri dei visitatori, una mossa che dà al pubblico un’idea più ampia di chi ha un collegamento diretto con i funzionari più potenti del Paese. Ma l’amministrazione Trump ha affermato nell’aprile 2017 che tali registri dovevano rimanere segreti a causa dei “gravi rischi per la sicurezza nazionale e delle preoccupazioni per la privacy delle centinaia di migliaia di visitatori ogni anno”. Bloccare la loro divulgazione ha reso molto più difficile determinare quali donatori, lobbisti e attivisti avevano accesso a Trump, ai suoi familiari e ai suoi collaboratori. Quando il presidente Joe Biden è entrato alla Casa Bianca ha rimosso le restrizioni.
La Commissione d’Inchiesta del Congresso si sta concentrando sulle attività dell’ex presidente durante le ore del tentativo insurrezionale del 6 gennaio. Più in generale i commissari stanno esaminando i tentativi dell’ex presidente e dei suoi alleati che cercavano di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020. Ci hanno provato in diversi modi: in alcuni Stati l’ex presidente ha falsamente affermato di avere le prove dei brogli elettorali, ha poi cercato di persuadere i legislatori repubblicani e i funzionari elettorali in questi Stati a sostenere le false affermazioni di brogli e a contraffare i tabulati dei voti. Ma non solo. Ha cercato di persuadere i funzionari del Dipartimento di Giustizia di avviare indagini sui brogli anche se i brogli non ci sono stati. Ha cercato di convincere i funzionari federali a sequestrare le macchine elettorali per far sì che i funzionari repubblicani negli Stati contesi potessero aggiungere liste di suoi elettori. E poi gli sforzi per intimidire l’allora vicepresidente Mike Pence a bloccare il conteggio dei voti elettorali. La Commissione d’Inchiesta ritiene che i registri dei visitatori, insieme ad altre prove raccolte in seguito agli interrogatori di oltre 500 testimoni e dall’esame di un’ampia gamma di esibizioni audio/video e migliaia di documenti, faranno luce su questi argomenti.
Separatamente oggi in Texas, Stewart Rhodes, il fondatore di un gruppo di miliziani di destra degli Oath Keepers, accusato di cospirazione sediziosa per il suo presunto ruolo nell’organizzazione dell’attacco del 6 gennaio, è comparso in remoto davanti al magistrato per chiedere di essere rilasciato dal carcere federale in cui è recluso in Oklahoma, in attesa del processo.
Finora, più di 725 persone sono state accusate di aver avuto un ruolo nell’attacco che ha provocato la morte di cinque persone e il ferimento di oltre 100 agenti di polizia.
Il comitato del 6 gennaio ha reso noto che finora ci sono state 81 convocazioni forzate, comprese quelle emesse ai massimi aiutanti e alleati di Trump, e ha intervistato più di 560 testimoni. Ha anche cercato record dai social media e da altre società di telecomunicazioni. Ieri sono stati chiamati a testimoniare sei persone che erano a conoscenza o avevano partecipato a tentativi infruttuosi di inviare falsi “elettori supplenti” per Trump nelle elezioni presidenziali del 2020.
Trump ha ripetutamente cercato di delegittimare sia le indagini della commissione che il risultato elettorale del novembre 2020 nonostante sia stato sconfitto da Biden con oltre 7 milioni di voti. Recentemente l’ex presidente ha ventilato la possibilità della sua candidatura presidenziale nel 2024 ma non la ha formalmente dichiarata.
Oggi alcuni repubblicani hanno espresso disagio dopo che la Mazar, la società di contabilità dell’ex presidente, ha interrotto i rapporti con lui e ha affermato che non si poteva fare affidamento sugli ultimi 10 anni dei suoi rendiconti finanziari. Una dichiarazione che alimenta ulteriori controversie sulla società di Trump che già è stata incriminata penalmente dal District Attorney di Manhattan. E oltre alla società è stato anche rinviato a giudizio il CFO della società, Allen Weisselberg, per una serie di crimini fiscali. Vicende personali e societarie che inevitabilmente hanno anche ripercussioni politiche e che mettono in dubbio la preminenza di Trump nel partito. Il New York Times ha scritto sabato che il leader della minoranza al Senato Mitch McConnell stava appoggiando silenziosamente i candidati che oppongono resistenza all’influenza di Trump nel partito. Il senatore Mitt Romney ha detto che la dichiarazione di Mazars era “molto insolita” e che naturalmente potrebbero esserci serie conseguenze economiche per le società dell’ex presidente. George Conway, il marito di Kellyanne Conway, in un’intervista alla CNN ha detto che quanto affermato da Mazar è stata una “calamità peggiore per Trump di essere messo sotto impeachment due volte”. Quanto dichiarato dalla ditta contabile solleva “ogni sorta di potenziali problemi collaterali per la Trump Organization”.
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