Sergio Mattarella lo ha detto più volte: il Parlamento deve trovare un’altra persona che possa ricoprire il ruolo di Presidente della Repubblica. Nel segno di quel che i Costituenti vollero ispirare.
A questo il Presidente si riporta fedelmente.
E il Parlamento che fa (o meglio parte di esso)?
Durante la votazione del giorno 27, A.D. 2022, Mattarella viene votato 166 volte circa. Traduzione plastica di come una certa sinistra stia mettendo alle corde i segretari di riferimento: Letta per il PD e Conte per il M5S.
Questo il primo punto di analisi.
Il secondo punto ci dice altro, velatamente, ma sul piano politico ha un significato molto duro.
La maggioranza di centrodestra più una parte di M5S e, forse, Italia Viva ha già il Presidente e a breve sarà un’altra storia (schede bianche 261 + astenuti 441).
L’accordo si farà senza il PD. È successo nel caso di Napolitano I: eletto a maggioranza assoluta (543 coti) e non con i 2/3 del Parlamento.
Il centrodestra rischia però che Salvini debba alla fine rimettersi alla decisione ultima di Berlusconi per stabilizzare quel che fu l’accordo con Dimaio e ora con Renzi.
Ciò significa che potrebbe essere la prima volta che il PD (+ Liberi e Uguali), pieno centrosinistra, rimarrà fuori dall’arco di voto presidenziale.
Può correre questo rischio il partito più rappresentativo dell’area progressista?
Decifrare è difficilissimo, ma è bene provarci.
Le soluzioni sono due (tolto Mattarella dal campo di gioco per quanto già premesso).
Contratto di Governo (suo residuo) più Patto del Nazareno (suo residuo) con Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Ora, rispettando la Costituzione e il momento istituzionale, se il PD non chiude l’accordo con Salvini la soluzione è il Presidente del Senato Cesellati. L’effetto sarebbe riequilibrare le Camere con Italia Viva alla presidenza dello scranno che sarebbe liberato, a sua volta, dalla prima donna della storia a ricoprire quel ruolo: nome primario Teresa Bellanova (e sarebbe un bell’inedito repubblicano con le prime due cariche dello Stato al femminile).
Se il caso volesse illuminare, invece, il Pd potrebbe darsi anche si tratti dell’ex Ministro Pinotti lasciando così in quota draghiana Teresa Bellanova e difatti traghettando il Paese fino a fine legislatura sempre con l’ex capo della BCE al comando, ma con una rimodulazione dell’esecutivo stesso.

Ma lo snodo è come Di Maio giocherà la partita Draghi – Palazzo Chigi per rimanere in quota governativa dopo il riassetto di Governo. Considerato il prossimo Parlamento a 600 Di Maio dovrà giocare il tutto per tutto per evitare la perdita di peso del movimento grillo (o parte di esso) soprattutto in un’ipotesi federativa con il PD (rischio fagocitamento ideologico per la forza che nacque con connotazione contraria: post ideologica).
Allora, fuori dal perimetro Casellati cosa c’è per le forze politiche?
Stiamo ai nomi: Cassese si è già esposto con tutta eleganza; idem Nordio.
Belloni sarebbe un nome di altissimo profilo, ma rischierebbe di essere al contempo in commistione storico-istituzionale. Cartabia altrettanto altissimo profilo, ma avrebbe il problema di non rispondere ad una logica di elezione che arrivi da esperienze di Parlamento così come varrebbe per Draghi al Quirinale (fondamentalmente).
Morale della questione: Di Maio ha alzato implicitamente il proprio peso. Renzi e Berlusconi sono i veri decidenti dei giochi per il Colle.
Salvini rischia di perdere quote di appeal spostando quest’ultimo verso Giorgia Meloni che, specie al prossimo turno elettorale, potrebbe aumentare la presenza parlamentare aprendo ad una stagione di destra liberale che, però, non potrà garantire il fronte moderato il quale, indubbiamente, si ritroverà sull’unico tavolo possibile: Forza Italia e Italia Viva più altri.
Il Presidente c’è già e Mattarella lo ha già detto con il voto odierno.
Ed è istituzionale.
Stiamo a vedere che la Costituzione vince comunque?
Le ore sono mature. Il Paese è paziente.
Occhio a non confonderlo come un paziente.