C’è un momento, nella storia politica italiana, in cui Carlo Cottarelli ha rischiato di diventare Presidente del Consiglio. Lo è stato per tre giorni, dal 28 al 31 maggio 2018, quando Lega e Movimento 5 Stelle non riuscivano a formare il governo. Poi, però, le condizioni si sono create, Cottarelli ha rinunciato ed è nato il Conte I.
Quando si parla di economia è uno degli esponenti più autorevoli che si possano chiamare in causa: è stato Direttore del dipartimento Affari fiscali del Fondo Monetario Internazionale e Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica sotto i governi Letta e Renzi. Oggi è direttore dell’Osservatorio Conti pubblici italiani e insegna alla Bocconi, dove tiene una corso come visiting professor in Fiscal Macroeconomics.
Nelle ore in cui a Montecitorio si vota per il Presidente della Repubblica e il destino di Mario Draghi è in bilico tra Palazzo Chigi e il Quirinale, Cottarelli è stato ospite del Gruppo Esponenti Italiani, intervistato dal suo presidente Mario Calvo Platero.

Un’ora di colloquio, domande e risposte serrate, durante le quali è emersa un’unica grande certezza: Draghi, al Paese, è indispensabile. Non importa che sia Premier o Capo dello Stato, per Cottarelli perderlo sarebbe “lo scenario peggiore per il mercato”. Perchè? La spiegazione è chiara: “Il mercato è rassicurato dalla sua presenza”.
Per averne conferma, basta guardare lo spread. Sono bastate poche ore di incertezza ed è subito salito. Non di molto, certo, ma abbastanza per farsi notare.
Cottarelli crede che Draghi debba rimanere Presidente del Consiglio e continuare il lavoro svolto fino ad ora. Anche perchè le riforme da fare non sono finite. Il lavoro va ultimato per permettere ai fondi stanziati dall’Europa di arrivare ed essere utilizzati. Sono troppi, questa volta, per poter essere sprecati o gestiti male.

La vera sfida sarà andare oltre le azioni necessarie per poter ottenere i soldi, ma c’è un problema di fondo che il governo sarà costretto ad affrontare: i partiti della maggioranza sono molto distanti da loro.
Hanno idee diverse, alcune volte opposte, su tutti i temi fondamentali che riguardano la gestione della spesa pubblica: tasse, lavoro, pensioni. D’altronde, si sono messe insieme destra e sinistra ed è quindi logico che, quando le decisioni che contano devono essere prese per accontentare o meno l’elettorato, le forze in campo inizino a litigare.
Ancor di più considerando la situazione attuale, con una legislatura che si avvia verso il suo ultimo anno e un referendum costituzionale, quella passata nel settembre del 2020, che ridurrà di un terzo il numero dei parlamentari.

Tutti hanno paura di non trovarsi più la sedia, la prossima volta che gli italiani saranno chiamati a votare e spingono quindi sull’acceleratore quando si tratta di portare a casa i miliardi messi in palio dall’Europa.
Oggi, a Palazzo Chigi, siede un uomo che non ha un mandato popolare, chiamato a gestire le turbolenze di un’alleanza che non permette (e non permetterà) stabilità all’azione di governo. Meglio dunque le elezioni? Cottarelli dice di no, perchè il risultato è talmente incerto da rischiare di peggiorare la situazione.