672 schede bianche. E oggi ci si aspetta una replica del triste spettacolo andato in scena ieri sul palcoscenico della politica, dove gli attori appaiono delle anime erranti in cerca di un regista che metta ordine alla confusione.
Ma chi può essere il regista che in modo meno scomposto faccia chiudere in tempi rapidi questo teatrino? Il regista sinora non c’è stato, perché se qualcuno avesse avuto un carisma tale da poter silenziosamente tessere una tela con impresso sopra un nome condiviso, non si sarebbe arrivati al voto, previsto da sette anni, in modo così confuso.
“Si è sempre fatto” mi obiettano alcuni sui social, pensando che io sia un’ingenua. In realtà sono loro inconsapevoli prigionieri di un modo di procedere che non è l’immagine della buona politica. Intanto in passato ci sono state anche tre occasioni in cui il Presidente della Repubblica è stato eletto alla prima votazione. È successo con De Nicola, con Cossiga e con Ciampi. La scheda bianca non può divenire la procedura da inserire tra le istruzioni per il voto.

Inoltre la situazione attuale non ha precedenti, visto che siamo nel pieno di una pandemia e soffiano venti di guerra alle porte dell’Europa e nel Mediterraneo. Forse solo se precipitasse la crisi tra Stati Uniti e Russia sull’Ucraina i partiti potrebbero avere uno scossone e sarebbero costretti ad accelerare le loro trattative spartitorie sul governo e sul Quirinale. Per il momento tutto procede in una girandola di incontri, di tanti “bla bla bla” e di pedine che si spostano da un ministero all’altro in maniera inconcludente. Certo, rispetto al vuoto con il quale i 1008 elettori si sono presentati ieri alle urne, oggi va un po’ meglio.
È iniziato infatti un dialogo tra i vari leaders, quello che ci sarebbe dovuto essere nei mesi scorsi al posto dei capricci a cui abbiamo assistito. È un passo in avanti, ma c’è da immaginare che sino a quando il quorum non si abbasserà a 505 (da giovedì) sarà difficile trovare un accordo tra i partiti. A rendere ancora più arduo questo scenario complicato c’è l’ambiguità di un centrodestra frammentato tra maggioranza e opposizione con obiettivi diversi – tra Meloni, che vorrebbe andare subito al voto per incassare consensi, e Salvini, che vorrebbe avere un peso maggiore sulle poltrone del Governo.

Attenzione però, perché i sondaggi più recenti ci dicono che sta emergendo un quadro diverso di equilibri politici, e il centrosinistra non è più nell’angolo come in passato. Ci sarebbe un testa a testa.
È il quadro di un Paese diviso, se non proprio spaccato. Un Paese fiaccato dalla crisi sanitaria, dalle paure sul futuro e dalle difficoltà economiche. Ecco perché questo sarebbe il momento giusto per eleggere un presidente super partes per davvero. L’elezione del capo dello Stato non può essere solo una questione di numeri.
Gli italiani, dopo due anni di pandemia, meritano una figura condivisa, un punto di riferimento per tutti. Non serve altra tensione, ma un segnale di unità in un quadro politico stabile con più senso di responsabilità comune.
Per il bene dell’Italia.