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January 24, 2022
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Ancora guai giudiziari per Trump, questa volta per quella telefonata in Georgia

Aveva chiamato il Segretario statale per “trovare 11 mila e 800 voti per ribaltare il risultato elettorale”. Intanto Liz Cheney replica alle minacce di Newt Gingrich

Massimo JausbyMassimo Jaus
Mentre si contano ancora i voti, si spalanca la strada per la vittoria di Joe Biden

Donald Trump (Illustrazione di Antonella Martino)

Time: 4 mins read

Le vicende giudiziarie dell’ex presidente si arricchiscono di un nuovo capitolo: la procura distrettuale della Contea di Fulton, in Georgia, ha chiesto, e ottenuto, la formazione di un grand jury speciale per esaminare se i tentativi fatti dall’ex presidente Donald Trump per cercare di ribaltare il risultato elettorale nello Stato abbiano violato le leggi. Il grand jury speciale diventerà operativo dal prossimo 2 maggio.

Il District Attorney della contea di Fulton, Fani Willis, ha detto che è stata obbligata a richiedere la formazione del grand jury perché molte persone a conoscenza diretta dei fatti si sono rifiutate di testimoniare. Ora con la formazione del Grand jury i testimoni non potranno eclissarsi. Su tutti il segretario di Stato Brad Raffensperger che ha ricevuto la telefonata, che è stata registrata, con cui l’ex presidente gli chiedeva di “trovare 11 mila e 800 voti per ribaltare il risultato elettorale”. Raffensperger non ha voluto testimoniare volontariamente e ora che è stato istituito il grand jury, riceverà il mandato di comparizione.  In Georgia il grand jury è composto da 16 a 23 giurati e non può essere operativo per più di 2 mesi. Secondo l’Atlanta Journal Constitution l’indagine esaminerà anche i tentativi degli avvocati di Trump, Rudy Giuliani e Sydney Powell, come parte della strategia dell’ex presidente per creare un vasto consenso tra la sua base per cercare di ribaltare l’esito del voto anche senza nessuna prova dei brogli.

A Washington invece le indagini sul tentativo insurrezionale del 6 gennaio hanno visto l’ex Attorney General William Barr parlare con alcuni dei parlamentari della Commissione d’inchiesta. William Barr, che era l’Attorney General durante la presidenza di Donald Trump, ha lasciato il ministero della Giustizia il 23 gennaio, 2 settimane prima dell’assalto al Congresso. Il presidente della Commissione d’inchiesta, Bennie Thompson, ha detto domenica di aver parlato con lui al telefono per una conversazione definita “informale” per vedere se fosse a conoscenza di informazioni relative all’attacco o alle azioni dell’ex funzionario del Dipartimento di Giustizia Jeffrey Clarke, autore della improbabile strategia legale per annullare il risultato elettorale. Barr, secondo quanto riferito da Thompson, non sapeva né del 6 gennaio né del lavoro che Clarke stava facendo.

La vicepresidente della Commissione d’inchiesta, la repubblicana Liz Cheney del Wyoming ha risposto all’ex speaker del Congresso Newt Gingrich che domenica in un programma di approfondimento politico di Fox News aveva affermato che se il prossimo 8 novembre, alle elezioni di Mid Term, i repubblicani conquisteranno la maggioranza alla Camera, lei e altri membri della commissione d’inchiesta potranno essere processati e incarcerati. La Congresswoman del Wyoming che ha descritto l’attacco al Campidoglio come una “insurrezione” e non una protesta, ha pubblicato in un clip la sua condanna. “Un ex presidente della Camera sta minacciando il carcere per i membri del Congresso che stanno indagando sul violento attacco del 6 gennaio al nostro Campidoglio e alla nostra Costituzione”, ha detto Cheney. “Questo è quello che succede quando lo stato di diritto si sgretola”, ha commentato la parlamentare.

Il Washington Post nei giorni scorsi ha scritto che Gingrich è ora uno stretto consigliere elettorale del leader della minoranza della Camera Kevin McCarthy ed è lui che traccia i piani dei repubblicani per le prossime elezioni quando è ampiamente previsto che il GOP riconquisti il controllo della Camera.

Le minacce di Gingrich non sono le sole. I rappresentanti Jim Jordan e Dan Bishop hanno anche lanciato fantasie di vendetta contro l’amministrazione Biden dopo che il comitato del 6 gennaio ha deferito al Dipartimento di Giustizia l’ex capo di gabinetto della Casa Bianca Mark Meadows e l’ex stratega di Trump Steve Bannon per essersi rifiutati di testimoniare. Il senatore Ted Cruz ha persino suggerito che una maggioranza della Camera repubblicana potrebbe mettere sotto accusa il presidente Joe Biden, indipendentemente dal fatto che sia “giustificato o meno”.

I sondaggi, per ora, vedono la vittoria del Gop a Novembre prossimo e soprattutto dei candidati appoggiati da Trump.

Harriet Hageman, che Trump ha approvato a settembre per sfidare Liz Cheney alle primarie repubblicane, secondo il Casper Star Tribune ha un ampio vantaggio sulla figlia dell’ex presidente in un sondaggio condotto dal Comitato Centrale dello Stato Repubblicano del Wyoming. ​ La Cheney è nel libro nero di Trump dopo aver votato – insieme ad altri nove repubblicani – per metterlo sotto per il suo ruolo nella rivolta del Campidoglio del 6 gennaio. Ma in Wyoming la situazione politica dei repubblicani è complicata: Frank Eathorne, presidente in carica del partito repubblicano dello Stato, era a Washington per le proteste il 6 gennaio ed è lui che nel febbraio 2021, ha voluto censurare formalmente Cheney. Il problema è che Eathorne sarebbe un fedelissimo degli Oath Keepers, i miliziani dell’estrema destra accusati di essere stati l’ossatura dell’assalto al Campidoglio. Undici di loro, incluso il fondatore del gruppo, Stewart Rhodes, sono stati accusati di “cospirazione sediziosa”.

Nell’autunno del 2021, un gruppo hackers chiamato Distributed Denial of Secrets ha pubblicato una serie di documenti e informazioni sugli Oath Keepers rivelando l’identità di oltre 38.000 membri scatenando un controllo a livello nazionale sui politici e sulle forze dell’ordine. In seguito, BuzzFeed News ha riferito che 28 funzionari eletti a livello nazionale erano Oath Keepers, tra cui un paio di legislatori statali del GOP dell’Alaska e dell’Arizona che si sono recati al Campidoglio il 6 gennaio.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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