È passato un anno da quando Joe Biden è entrato alla Casa Bianca e molte delle sue promesse elettorali sono rimaste solo promesse. La sua agenda non riesce a passare al Congresso, benché il suo partito controlli sia il Senato che la Camera. In questo clima politico così polarizzato, avvelenato dalla retorica estremista sfociata nell’assalto a Capitol Hill il dialogo e i compromessi, che sono la base della politica, non sono possibili. E mancando il dialogo l’agenda legislativa della Casa Bianca si basa solo sui “numeri” della maggioranza. Ma anche questi son venuti meno.
Il Senato degli Stati Uniti è composto da 100 senatori: due per ogni Stato. L’attuale Camera Alta è composta da 50 democratici e 50 repubblicani. I democratici la maggioranza la ottengono con il voto del presidente del Senato, che istituzionalmente è il vicepresidente degli Stati Uniti. In pratica Kamala Harris è l’ago della bilancia. In questa situazione fragilissima basta che un solo senatore sia dissenziente che la maggioranza viene meno. E Biden di senatori contrari a modificare le regole del filibuster ne ha due: Joe Manchin e Kyrsten Sinema.
Nel film di Frank Capra “Mr Smith Goes to Washington” James Stewart coraggiosamente impone il filibuster su una legge in discussione che lui ritiene ingiusta e parla per ore nel tentativo di bloccare il voto. Ma era un film. La realtà vuole che per evitare che una legge passi alla Camera Alta i senatori possono prendere la parola a turno e per togliergli la parola c’è bisogno di un voto con la maggioranza qualificata di 60 senatori. Così se il partito di minoranza detiene almeno 41 seggi, con il filibuster può rifiutarsi di consentire il voto su una legge proposta dalla maggioranza. Un vero e proprio atto di pirateria della minoranza teso a prendere in ostaggio e dirottare le iniziative legislative della maggioranza.
Il “filibuster”, pratica vecchia quanto il Congresso, ma battezzata con la parola che si ispira allo spagnolo ‘filibustero’, appunto filibustiere, dopo il 1840 quando divenne popolare. Per oltre 150 anni è stato usato solo in casi estremi nella Camera alta – dove i senatori tradizionalmente cercavano il dialogo e quando mancava usavano il filibuster come mezzo per imporlo forzando la ricerca del consenso bipartisan. Ma nella moderna politica, sempre più polarizzata ed estremista, il filibuster si è trasformato “in una nuova creatura, un sistema moderno in cui il partito di minoranza usa la minaccia del filibuster per bloccare ogni legge che non gradisce”, ha scritto recentemente il premio Nobel Paul Krugman. Che cita statistiche secondo le quali la minaccia del filibuster negli anni ’60 ha interessato l’8 per cento delle leggi, negli anni ’80 il 27% e dal 2009, quando Barack Obama è stato eletto alla Casa Bianca, il 70%.
Alla base del filibuster è la regola che permette ad un senatore di intervenire su una legge a piacere, senza che nessuno possa togliergli la parola. Se non il voto dei tre quinti dei senatori, vale a dire i famosi 60 voti, chiamati anche il “magic number” imposto con la “Rule 22” introdotta nel 1917, su richiesta del presidente Woodrow Wilson. E la prima “cloture”, come viene definita la chiusura del dibattito, fu votata nel 1919 per bloccare un filibuster lanciato contro la ratifica del Trattato di Versailles. Allora la maggioranza qualificata richiesta era dei due terzi dei 100 senatori: un obiettivo molto difficile da raggiungere, tanto che nei 50 anni successivi a quel primo voto raramente il Senato riuscì ad evitare un filibuster. Peraltro molto usato dai senatori sudisti per cercare di bloccare negli anni ’60 le leggi sui diritti civili, fino a quando è stato approvato un atto di cloture dopo 57 giorni di filibuster contro il Civil Right Act nel 1964. E’ del 1975 poi la decisione del Senato per ridurre il numero magico da due terzi a due quinti dei 100 senatori.
Comunque, tornano ciclicamente critiche e richieste di abolizione della misura che era anche in vigore alla Camera dei Rappresentanti ma poi vista la disfunzionalità venne abrogata già nei primi anni di vita del Congresso.
Ed è fuori dubbio che si tratta di una misura intesa per proteggere il partito più debole e forzare il dialogo ma ora con la polarizzazione della vita politica si è trasformata in un’arma che paralizza le decisioni della maggioranza diventando una vera “tirannia della minoranza”.

La Costituzione degli Stati Uniti, che consente in gran parte a ciascuna camera del Congresso di stabilire le proprie regole, non fa menzione dell’ostruzionismo. Sarah Binder, professoressa alla George Washington University, ha spiegato nella sua testimonianza al Senato del 2010 che in gran parte è avvenuta “per errore” nel 1806, quando i senatori hanno cancellato una regola inutilizzata che avrebbe potuto servire a troncare il dibattito e passare direttamente a una votazione.
Esistono già importanti eccezioni all’ostruzionismo, in particolare la “riconciliazione di bilancio”, applicabile a tutto ciò che ha a che fare il bilancio che i repubblicani hanno utilizzato sotto l’ex presidente Trump per approvare il loro pacchetto di riforma fiscale, e i democratici hanno utilizzato con Biden per dare il via libera al maxi pacchetto di aiuti durante la crisi pandemica con una semplice maggioranza di 51 voti.
La cosiddetta “opzione nucleare” è stata invocata solo due volte per aggirare l’ostruzionismo: nel 2013 i Democratici l’hanno usata per limitare l’ostruzionismo dei repubblicani per la nomina dei magistrati federali, ad eccezione di quelli della Corte Suprema. E i Repubblicani l’ hanno ampliata nel 2017, per bloccare gli ostruzionisti dei candidati alla Corte Suprema, confermando in seguito tre giudici nominati da Trump con meno di 60 voti.
Durante le elezioni del 2020 e all’inizio della sua presidenza, Biden si era opposto alle modifiche alle regole sull’ostruzionismo, sostenendo che sarebbe stato in grado di trovare un compromesso. Ma oggi ha cambiato rotta e ha sostenuto l’uso dell ‘”opzione nucleare” contando sul sostegno unanime dei senatori del suo partito. Una cosa questa tutt’altro che scontata.