Sarà una lotta fino alla fine per cercare di nascondere i fatti, la verità, i complici e le responsabilità del tentativo insurrezionale del 6 gennaio.
L’ex presidente Donald Trump si è rivolto questa mattina alla Corte Suprema per cercare di mantenere segreti i suoi documenti e non consegnarli alla Commissione d’inchiesta della Camera, un passo obbligato e sua ultima speranza per evitare che la verità sul tentativo insurrezionale del 6 gennaio venga alla luce. Ma la Corte Suprema, come è sua prerogativa, può anche decidere di non prendere in considerazione il caso, come è stato fatto con la dichiarazione dei redditi del presidente che sono stati consegnati alla procura distrettuale di Manhattan, e quindi la decisione della Corte d’Appello diventerebbe esecutiva. Documentazione custodita dai National Archives, che è stata richiesta dalla Commissione d’Inchiesta del Congresso che indaga sull’assalto al Campidoglio. Due settimane fa la corte d’appello federale si è pronunciata contro Trump ma ha sospeso la consegna dei documenti fintanto che la Corte Suprema avesse la possibilità di intervenire.
Trump sostiene che, come ex presidente, ha il diritto di imporre il privilegio esecutivo sui documenti, affermando che se i documenti dovessero essere rilasciarli si creerebbe un pericoloso precedente per la presidenza in futuro. Ma il presidente Joe Biden ha stabilito che i documenti sono nell’interesse pubblico per fare chiarezza su un tentativo insurrezionale e che il privilegio esecutivo non può quindi essere invocato, annullando il privilegio invocato da Trump.

I documenti al centro della disputa includono i diari presidenziali, registri dei visitatori, bozze di discorsi, lettere, messaggi, note scritte a mano “riguardanti gli eventi del 6 gennaio” dai file di tutti quanti hanno lavorato alla Casa Bianca in quei giorni, le telefonate fatte e ricevute, così come i messaggini telefonici mandati e ricevuti sui cellulari della Casa Bianca. La Commissione d’inchiesta della Camera ha affermato che i documenti sono vitali per la sua indagine sull’assalto al Campidoglio, in cui hanno perso la vita 5 persone, che puntava a ribaltare il risultato delle elezioni presidenziali del 2020.

Seated from left to right: Justices Samuel A. Alito, Jr. and Clarence Thomas, Chief Justice John G. Roberts, Jr., and Justices Stephen G. Breyer and Sonia Sotomayor
Standing from left to right: Justices Brett M. Kavanaugh, Elena Kagan, Neil M. Gorsuch, and Amy Coney Barrett.
Photograph by Fred Schilling, Collection of the Supreme Court of the United States
La richiesta di Trump alla Corte Suprema è stata fatta proprio mentre la Commissione d’Inchiesta sta focalizzando le indagini proprio sul ruolo dell’ex presidente nel tentativo insurrezionale.
I rivoltosi, molti dei quali sono stati spinti all’azione dalle ripetute menzogne di Trump sulle elezioni rubate, assaltando il Congresso hanno temporaneamente impedito di confermare la vittoria del Collegio elettorale di Biden. La Commissione d’inchiesta sta anche indagando se Trump abbia volutamente cercato di bloccare questi lavori alla Camera. La vicepresidente della Commissione, Liz Cheney, una dei due repubblicani che ne fanno parte, ha affermato nei giorni scorsi che una “domanda chiave” è se Trump, “abbia cercato di ostacolare o impedire la procedura ufficiale del Congresso per il conteggio dei voti elettorali”.

All’inizio di novembre un giudice distrettuale federale si è pronunciato contro i tentativi di Trump di non consegnare i documenti al comitato, scrivendo che la sua posizione “sembra basarsi sull’idea che il suo potere esecutivo esiste in perpetuo … ma i presidenti non sono re, e lui è non presidente”. Il giudice federale Tanya Chutkan nella motivazione della sentenza ha inoltre affermato che “la decisione del presidente in carica ha un peso maggiore di quella di un ex presidente”. Trump ha fatto ricorso a questa decisione ma la corte d’appello ha confermato la sentenza del giudice Tanya Chutkan. Biden “e il ramo legislativo hanno mostrato un interesse nazionale e un bisogno urgente per la tempestiva divulgazione di questi documenti”, hanno affermato i tre giudici lo scorso 9 dicembre. Tuttavia, la corte d’appello ha accolto la richiesta degli avvocati di Trump di sospendere temporaneamente il rilascio dei documenti, concedendo 14 giorni per presentare l’istanza alla Corte Suprema. E oggi era la scadenza dei 14 giorni.
Il caso ora davanti alla Corte Suprema presenta nuove questioni costituzionali sui diritti di un ex presidente. Nel 1977, mentre i legislatori preparavano le riforme in seguito allo scandalo del Watergate, la Corte Suprema respinse il tentativo dell’ex presidente Richard M. Nixon di fermare il rilascio dei nastri e dei documenti della Casa Bianca. Il Congresso ha poi approvato il Presidential Records Act, stabilendo che i registri ufficiali di un presidente appartengono al pubblico, non all’occupante dell’ufficio, e creando un processo per la gestione delle controversie. Gli ex presidenti hanno precedentemente rinunciato al privilegio esecutivo quando si occupavano di questioni di rilevanza nazionale, tra cui l’affare Iran-Contra durante la presidenza di Ronald Reagan e gli attacchi terroristici dell’11 settembre durante la presidenza di George W. Bush.
Nel caso di Trump, la National Archives and Records Administration ha identificato centinaia di documenti della Casa Bianca di Trump ritenuti rilevanti per l’indagine del comitato della Camera del 6 gennaio. Come richiesto, il materiale è stato prima esaminato dalla Casa Bianca di Biden e dagli avvocati di Trump. L’avvocato di Biden alla Casa Bianca, Dana Remus, ha citato le “circostanze uniche e straordinarie” dell’attacco del 6 gennaio decidendo di non rivendicare il privilegio esecutivo e di consentire il rilascio di questi documenti.

Nelle ultime settimane l’ex presidente ha più volte ha fatto accenno alla possibilità di una sua nuova corsa per la Casa Bianca nel 2024. Allusioni alle quali il presidente Biden ha risposto affermando alla ABC News che intende correre alle elezioni del 2024 e le chance di una sua candidatura aumenterebbero nel caso in cui Donald Trump scendesse in campo. “Sì”, risponde a chi gli chiede se intenda candidarsi per un secondo mandato nel 2024. “Ma vediamo cosa dirà il destino, che è intervenuto più volte nella mia vita. Se sarò in salute, in buona salute, come lo sono ora, correrò”, spiega precisando che una nuova sfida con Trump aumenterebbe le chance della sua canditura.