Si aprono le prime crepe nel muro difensivo di Donald Trump: Mark Meadows, suo ex capo dello staff della Casa Bianca sta collaborando con il comitato della Camera che indaga sul tentativo insurrezionale del 6 gennaio. Ma non solo. I magistrati della corte d’appello federale alla quale si sono rivolti gli avvocati dell’ex presidente per cercare di bloccare la consegna dei documenti della Casa Bianca custoditi nei National Archives alla Commissione d’inchiesta, si sono mostrati poco convinti dalle tesi degli avvocati di Trump. Due fatti separati ma che sono parte degli stessi oscuri intrecci che hanno portato al tentativo di insurrezione.
“Meadows si è impegnato a testimoniare davanti alla Commissione d’inchiesta attraverso il suo avvocato”, ha detto Bennie G. Thompson, il presidente della Commissione della Camera. “Ha prodotto i documenti che gli erano stati richiesti e presto comparirà per una deposizione iniziale”. Trump aveva esortato i suoi collaboratori a non prendere parte all’inchiesta, definendo l’indagine guidata dai democratici politicamente motivata e sostenendo che le sue comunicazioni sono protette dal privilegio esecutivo. Una tesi bocciata da quasi tutti gli esperti legali che hanno affermato che questo privilegio non può essere invocato dagli ex presidenti.
Meadows è stato convocato dalla Commissione alla fine di settembre ed è stato molto impegnato con gli inquirenti per negoziare i termini della sua deposizione e la consegna dei documenti. Il ritmo inerte mostrato dai suoi avvocati in questi negoziati ha indotto la Commissione a valutare misure più aggressive nei suoi confronti e si stava valutando la possibilità di un voto per oltraggio come già fatto con Bannon. Le trattative si sono sbloccate solo dopo che all’inizio di questo mese il vice consigliere legale della Casa Bianca Jonathan Su aveva informato l’avvocato di Meadows, George Terwilliger III, che il presidente Biden non avrebbe rivendicato privilegi o immunità esecutive sulle deposizioni e sui documenti richiesti dal Comitato.
Trump ha rilasciato una dichiarazione dopo la notizia dell’accordo di Meadows che denunciava il comitato e ripeteva le sue affermazioni infondate secondo cui le elezioni sono state truccate.
La notizia di Meadows arriva il giorno dopo che il comitato ristretto ha annunciato che voterà domani su Jeffrey Clark, un alto funzionario del Dipartimento di Giustizia che avrebbe creato il castello giuridico per cercare di ribaltare il risultato delle elezioni presidenziali del 3 novembre e immediatamente entrato nel gruppo ristretto dei consulenti di Trump, per deferirlo alla giustizia ordinaria dopo che non si è presentato per la testimonianza davanti alla commissione. Stephen Bannon, l’ex guru politico di Trump, è stato incriminato due settimane fa da un gran giurì federale per due accuse di oltraggio al Congresso anche lui per essersi rifiutato di rispettare il mandato di comparizione della Commissione d’inchiesta. Ora è agli arresti domiciliari in attesa del processo.
Il leader della maggioranza alla Camera Steny Hoyer ha detto ai giornalisti che si aspetta che la Camera voti domani sera sul rifiuto di testimoniare da parte di Clark, se la Commissione, come previsto, approverà il deferimento agli inquirenti federali.
Dalle schermaglie nella Commissione d’inchiesta sul tentativo insurrezionale alle schermaglie in tribunale dove gli avvocati dell’ex presidente sono comparsi davanti ai tre magistrati della corte d’appello federale per cercare di invalidare la decisione emessa da un magistrato di primo grado che aveva ordinato ai National Archives and Records Administration (NARA) di consegnare tutte le comunicazioni fatte dalla Casa Bianca (telefonate, messaggi, email, note) poco prima durante e subito dopo il tentativo insurrezionale del 6 gennaio. L’ex presidente aveva cercato di bloccare il rilascio di questi documenti invocando il privilegio presidenziale. Il giudice Tanya Chutkan il 9 novembre aveva respinto la richiesta stabilendo che Trump in quanto ex presidente non aveva più autorità per impedire all’attuale presidente di rinunciare al privilegio esecutivo sui documenti conservati dagli Archivi nazionali affermando “I presidenti non sono re e il querelante non è più presidente”. Concetto ripetuto durante l’udienza di questa mattina dal giudice d’appello Patricia Millett che ha detto agli avvocati di Trump durante la discussione in aula “Nella nostra Costituzione abbiamo un presidente alla volta e il presidente attuale ha desecretato i documenti”. Ma anche gli altri due magistrati, Robert Wilkins e Kentanji Brown Jackson si sono mostrati scettici alle argomentazioni degli avvocati di Trump.
L’udienza è durata tre ore e mezza. I magistrati si sono riservati di decidere affermando che emetteranno la sentenza nei prossimi giorni. Gli avvocati di Trump hanno detto che se la loro richiesta sarà respinta si rivolgeranno alla Corte Suprema.
La Commissione del Congresso che indaga sulla rivolta ha chiesto ai National Archives, l’agenzia che conserva i documenti della Casa Bianca amministrata da Trump, di produrre registri dei visitatori, tabulati telefonici e comunicazioni scritte tra i suoi consiglieri. Il panel ha affermato di aver bisogno dei documenti per comprendere il ruolo che Trump potrebbe aver svolto nel fomentare la violenza. Il 6 gennaio, i suoi sostenitori hanno preso d’assalto il Campidoglio nel tentativo di impedire al Congresso di certificare formalmente la sua sconfitta alle elezioni presidenziali del 2020 al democratico Joe Biden. Poco prima della rivolta, Trump ha tenuto un discorso ai suoi sostenitori accanto al Campidoglio ripetendo le sue false affermazioni secondo cui le elezioni gli erano state rubate attraverso una diffusa frode elettorale e esortandoli ad andare al Congresso e “combattere come un inferno” per “fermare il furto”. Ora la Commissione d’inchiesta sta intensificando le indagini, emettendo una nuova serie di citazioni in giudizio nelle ultime settimane ad Alex Jones, Roger Stone e ai leader dei gruppi di destra Oath Keepers e Proud Boys che materialmente presero parte al tentativo insurrezionale.