È un braccio di ferro tra due italoamericani: Nancy Pelosi contro Joe Manchin. Chi vincerà deciderà il destino degli Stati Uniti.
Tutti e due democratici, tutti e due milionari. Speaker della Camera, terza carica istituzionale, la congresswoman della California, uno Stato considerato “liberale” per gli standard americani. Lui abile e consolidato destreggiatore politico di uno Stato in cui tutto l’apparato pubblico è saldamente nelle mani repubblicane. Ora è l’ago della bilancia della maggioranza democratica al Senato composto da 50 democratici e 50 repubblicani. Ogni sua minima perplessità gli dà visibilità, una dote essenziale per un politico. E lui gioca il suo ruolo egregiamente indossando il mantello del centrista a tutti i costi, contrario alla “socializzazione” del Paese. Ma i suoi dubbi sfiancano la credibilità della Casa Bianca, ritardano i piani di rilancio della ripresa di un’America sfibrata dalla pandemia e, soprattutto, fanno perdere popolarità al partito che nelle elezioni di martedì ha preso una bella batosta. E Nancy Pelosi non ci sta e rilancia. E rimette sul piatto del pacchetto degli aiuti sociali proposto dal presidente Biden, l’American Families Plan, i tagli imposti dal “perplesso” Manchin. Per enfatizzare la sua determinazione la speaker mette al voto per domani la proposta di legge.
Da vedere quello che succederà perché i democratici e la Casa Bianca hanno bisogno di un successo che il senatore del loro stesso partito per ora gli sta negando. Biden ad oggi ha solo la medaglia della lotta alla pandemia, vera bandiera dei suoi primi cento giorni, quando rispettò la promessa di vaccinare cento milioni di americani. Una battaglia vinta, ma già dimenticata dall’elettorato. E per questo la Casa Bianca continua a martellare sui vaccini. Oggi il presidente ha imposto la data del 4 gennaio per la vaccinazione obbligatoria dei dipendenti del settore privato. Le aziende che non rispetteranno l’ordine saranno multate per 14 mila dollari per ogni dipendente non vaccinato. Diciannove Stati dell’Unione, tutti ad amministrazione repubblicana, si sono rivolti alla magistratura per bloccare la decisione presidenziale.

I dati sulla popolarità di Joe Biden, che ad inizio mandato era del 57%, sono preoccupanti per l’inquilino della Casa Bianca. L’ultimo sondaggio Gallup lo dà al 42% una percentuale superiore a quella di Donald Trump che a fine mandato aveva toccato il 36% . Con l’elettorato Biden paga pegno sia con il raffazzonato ritiro dall’Afghanistan che per la semiparalisi delle sue ambiziose misure di rilancio dell’economia e delle politiche sociali. Ha dovuto ridimensionare in maniera pesante l’American Families Plan riducendolo da 3mila e 500 miliardi di dollari agli attuali 1,75. E con questo taglio si è portato appresso anche il blocco del voto dei dem progressisti nel votare il piano sugli investimenti infrastrutturali fintanto che non verrà passato anche quello sociale. In tutto questa diatriba i repubblicani gongolano e guardano sempre con maggiore attrazione alle elezioni di novembre 2022, quelle di Mid Term che, grazie all’immobilismo in cui le riforme sono state impantanate diventa sempre più luminoso. Poi analizzando le elezioni di martedì scorso, hanno capito che l’influenza dell’ex presidente è diminuita: i candidati repubblicani hanno vinto, o brillato, grazie allo spostamento degli elettori indipendenti, apertamente insoddisfatti dello stato confusionale dei democratici. Un brutto segno per l’ex presidente che ha cercato di accaparrarsi il successo di queste elezioni.

Questa mattina nella corte federale di Washington il magistrato Tanya Chutkan ha ascoltato gli avvocati di Donald Trump che hanno presentato opposizione alla richiesta fatta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta per consegnare i documenti dell’ex presidente sull’assalto al Congresso. Come è noto Trump ha chiesto il privilegio esecutivo per bloccarne il rilascio da parte degli Archivi Nazionali. Il presidente Joe Biden però ne ha ordinato il rilascio affermando che il privilegio esecutivo è di pertinenza del capo della Casa Bianca in carica e non di un ex presidente. Gli avvocati di Trump si sono rivolti alla magistratura federale e giovedì mattia c’è stata la prima udienza. Il magistrato Chutkan si è mostrato scettico sulla possibilità che un ex presidente possa invocare il privilegio esecutivo che appartiene solo al capo della Casa Bianca in carica e ha detto agli avvocati che per lei c’è “un comandante alla volta. Un ex significa passato”. La decisione, alla quale gli avvocati di Trump hanno già fatto sapere che si appelleranno, è attesa prima del 14 novembre data in cui gli Archivi Nazionali dovranno consegnare i documenti alla Commissione d’inchiesta. Fanno parte della documentazione tutte le email, le trascrizioni delle telefonate, i contatti avuti dal presidente durante e prima il tentativo di insurrezione per bloccare al Congresso la certificazione della vittoria di Biden alle elezioni del 2021.