E’ uno scontro titanico quello che in queste ore si sta combattendo a Washington. Uno scontro che potrebbe cambiare per sempre la politica americana così come è stata messa in pratica nell’ultimo secolo e mezzo. Una battaglia che non è implicata nel mercanteggio di queste ore tra democratici e repubblicani sul megapiano di Biden per le ristrutturazioni, l’energia pulita e il welfare, né tantomeno con la commissione d’inchiesta che indaga sul tentativo di Trump di bloccare al Congresso la certificazione della vittoria di elettorale di Biden.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata il voto in sordina di mercoledì sul Freedom Vote Act, il provvedimento voluto dai democratici per ridare il diritto di voto dopo che molti stati conservatori del Sud hanno imposto le restrizioni istigati dalle false accuse di Trump sui brogli elettorali.
Il provvedimento è stato approvato dalla Camera, ma non è passato al Senato, bloccato con il filibuster dai repubblicani. E questa tattica ostruzionistica della minoranza che su un disegno di legge che non condivide riesce con 40 voti a cambiare il quorum forzando la maggioranza qualificata (che richiede di 60 voti). Unica eccezione restano le leggi di bilancio e finanziarie. Un muro invalicabile con cui vengono affossate gran parte delle riforme sociali. Una misura eccezionale indifferentemente usata in passato da democratici e repubblicani per bloccare leggi che avrebbero portare enormi sacrifici o svantaggi, come quando fu applicata per bloccare i tentativi dei repubblicani di cancellare l’Obamacare. Ma con un Senato così ideologicamente polarizzato il ricorso a questa misura straordinaria è diventata la norma. Il risultato è che nella “palude” di Washington restano bloccate le riforme: da quella sulle armi, della polizia, dell’immigrazione e ora anche quella del diritto di voto. Temi importanti in vista delle elezioni di Midterm del 2022.
Nelle ultime ore sta prendendo però vita un progetto di modifica del filibuster proposto nel corso dell’estate dal Washington Post: lasciare le regole così come sono, ma sospenderle per i provvedimenti legislativi “importanti” in cui il dibattito parlamentare è fondamentale e al quale la minoranza può apporre degli emendamenti. Una ipotesi questa affrontata anche dal presidente Biden nel Town Hall avuto ieri sera a Baltimora. Una misura che secondo il Washington Post convincerebbe anche il senatore democratico Joe Manchin finora contrario a qualunque modifica del filibuster e alla quale aderirebbero alcuni senatori repubblicani centristi.
Nella capitale federale proseguono le trattative all’interno del partito democratico per le proposte presentate dalla Casa Bianca per la modernizzazione delle infrastrutture, il piano per l’energia pulita e il welfare. La speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha detto che un accordo è a portata di mano. Modifiche sarebbero state fatte alle proposte per la protezione dell’ambiente e la produzione di energia pulita, ma per ora non si conoscono i particolari.
Ieri sera la Camera dei Rappresentanti ha votato per deferire l’ex consigliere politico di Trump, Steve Bannon, alle autorità federali per oltraggio al Congresso in seguito al suo rifiuto di testimoniare davanti alla Commissione d’inchiesta sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio. Ora spetta al ministro della Giustizia mandare la richiesta alle autorità federali per convocare un grand jury e stabilire se ci siano gli estremi per il rinvio a giudizio. L’Attorney General, Merrick Garland, non si è voluto sbilanciare e ha detto che la decisione verrà presa dai suoi procuratori. In seguito al voto alla Camera lo stesso Donald Trump non sarebbe più protetto se dovesse ricevere da parte della Commissione un ordine di comparizione se non gli verranno riconosciute dal tribunale le prerogative presidenziali dietro le quali si sta riparando.
Secondo gli investigatori, la testimonianza di Bannon è fondamentale per una chiara comprensione delle azioni di Trump sull’assalto. Il giorno prima del tentativo insurrezionale Steve Bannon in un suo podcast aveva detto “Domani si scatenerà un inferno”. “Bannon aveva una conoscenza specifica degli eventi del 6 gennaio prima che si verificassero, ha avuto un ruolo rilevante nell’attacco”, ha detto la speaker della Camera, Nancy Pelosi. “Le dichiarazioni pubbliche di Bannon mostrano in modo chiaro che lui sapeva quello che sarebbe successo e quindi doveva essere al corrente, o essere coinvolto nella pianificazione dell’assalto”, ha detto prima del voto la congresswoman repubblicana Liz Cheney. Con lei altri otto repubblicani hanno votato per l’incriminazione di Bannon che è stata approvata con 229 voti a favore e 202 contrari

Steve Bannon dopo il sorprendente successo elettorale di Trump nel 2016 ha poi avuto vita breve alla Casa Bianca per i contrasti con Jared Kushner e Ivanka. Lo scorso anno è stato arrestato ed incriminato dagli agenti federali mentre era a bordo del megayacht “Lady May” del miliardario cinese Guo Wengui. Era ricercato per una truffa ai danni dei sostenitori di una campagna per raccogliere fondi privati per la costruzione del Muro sul confine con il Messico. Bannon è stato graziato da Trump prima di lasciare la Casa Bianca.
Gli inquirenti della commissione del 6 gennaio lo considerano un testimone chiave perché ha avuto diversi colloqui con Trump nelle settimane precedenti al rally del presidente. E il giorno prima dell’assalto, secondo il libro di Bob Woodward e Robert Costa Peril, partecipò ad una riunione all’Hotel Willard di Washington, tra cui c’erano Rudy Giuliani, Russel Rumsland (il teorico delle macchine elettorali truccate) John Eastman (il professore di legge che sosteneva la teoria della legalità della non certificazione del voto da parte di Pence). E quel giorno Bannon nel suo podcast annunciò: “domani si scatenerà l’inferno”.
A Washington l’aula della Camera ha votato per ritenere Steve Bannon responsabile penalmente per il reato di oltraggio al Congresso. Ai democratici si sono uniti nove deputati repubblicani.
Bannon si era rifiutato di testimoniare davanti alla commissione di inchiesta sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso, condotto da una folla di sostenitori di Donald Trump allo scopo di rovesciare l’esito delle elezioni presidenziali. Ora la parola passa al Dipartimento di giustizia che dovrà decidere se perseguire Bannon che rischia fino a un anno di carcere. I tempi della Giustizia, comunque, sono molto lenti e difficilmente ci saranno decisioni entro i prossimi mesi. La commissione ha citato in giudizio altri tre ex aiutanti di Trump, tra cui l’ex capo dello staff Mark Meadows, e quasi una dozzina di organizzatori di “Stop the Steal” la manifestazione che ha preceduto l’attacco. La commissione ha anche inviato richieste di documenti alle agenzie governative, così come ai social media e alle società di telecomunicazioni, per mettere insieme un rapporto completo sull’attacco.
Trump, comunque non si dà per vinto. Costretto ad un forzato esilio da Twitter e Facebook l’ex presidente ha annunciato il lancio di una nuova piattaforma tutta sua. Si chiamerà ‘Truth’, verità. In un comunicato si legge come il nuovo social, la cui proprietà sarà chiamata Trump Media and Technology Group (Tmtg), dovrebbe vedere la luce a novembre. “Ho creato Truth Social per combattere la tirannia di Big Tech”, scrive l’ex presidente che vede sempre di più un suo nuovo successo politico come l’unica soluzione ai suoi pesanti problemi giudiziari.