Sulla prescrizione si consuma l’ennesimo cedimento dei 5 Stelle alle ragioni della politica. Cade una delle ultime bandiere identitarie del movimento. E ciò provoca mal di pancia e convulsioni. Persino offese personali tra l’ala governista (accusata di tradimento e incapacità) e quella barricandiera, che ha trovato in Conte l’interprete più agguerrito.
Con il progetto di riforma Cartabia, d’accordo il governo e la componente grillina, apparentemente nulla cambia, nella sostanza tutto muta. Ci si avvia verso un cambiamento dei termini del processo, che di fatto neutralizza l’impostazione del precedente ministro 5 Stelle Bonafede.
Il progetto è naturalmente molto ampio e complesso, tocca diversi punti della procedura penale. Ciascuno richiede attenzione, e il giudizio è variegato. Impossibile comunque sottovalutare l’intento di intervenire su più versanti, in aderenza alle richieste europee di migliorare l’efficienza del sistema giudiziario per accedere ai fondi del Recovery. Ma è indubbio che affronti anche il tema della prescrizione.

Un argomento scottante in sé, perché l’istituto tocca nello stesso tempo il profilo dell’efficienza e quello delle garanzie, e perché, politicamente, è stato al centro di una delle principali battaglie dei 5 Stelle, al tempo del governo Conte 1.
La riforma Bonafede ha modificato l’impostazione tradizionale vigente in Italia. La prescrizione, dal 2020, non segue più tutta la durata del processo qualunque sia la fase, ma si “ferma” alla sentenza di primo grado, con la conseguenza che successivamente le vicende temporali sono irrilevanti, non possono impedire che si arrivi alla pronuncia definitiva.
Al di là delle differenze terminologiche, con il progetto Cartabia è come se, nella sostanza, venisse meno quel “blocco” della prescrizione al primo grado di giudizio. Nominalmente la prescrizione si ferma, ma poi iniziano a decorrere altri termini, prima inesistenti, che, se non rispettati, portano a chiudere il processo prima della sua conclusione.
Tutto il processo è contrassegnato da scadenze temporali, quale che ne sia il nome o la natura. “Se non è zuppa è pan bagnato” si direbbe, ricorrendo ad un banale detto popolare. L’inutile decorso del tempo, senza una pronuncia definitiva, fa morire il processo prima della naturale conclusione: se non per prescrizione, per improcedibilità.
Si spiega che la riforma abbia sollevato un polverone nel Movimento 5 Stelle. Il tema è cruciale nella logica grillina, in questo modo si macchia una bandiera identitaria. Il ripensamento sulla materia è uno scossone per l’anima originaria del grillismo, su cui si era raccolto tanto consenso.

Perché la prescrizione in quest’ottica è molto più che un istituto giuridico, trasmoda in una sorta di “categoria delle spirito”. Contiene, in una visione manichea della realtà, l’essenza del buono e giusto contro il cattivo-ingiusto, in una parola della virtù in contrapposizione al malaffare del sistema, corrotto e irrecuperabile.
Le ripercussioni sarebbero in sé di poco conto, per quanto riguardino la forza politica ancora maggioritaria nel parlamento, nonostante le tante defezioni. Le critiche ai ministri, traditori dello spirito del movimento, hanno un carattere strumentale nel duello tra Grillo e Conte per il potere. Sono pretesti più che argomenti. Mancano motivazioni e strategie. Evidenziano la crisi irreversibile del movimento, dovuta al conflitto tra nostalgie irrinunciabili e dura prova della realtà. Perciò, è prevedibile che anche questa bandiera sia ammainata. Come le altre. Non ci saranno ripercussioni sul governo.
Sennonché, la questione offre anche altri motivi di riflessione. Se la battaglia dei 5 Stelle sulla prescrizione e sulla giustizia è spesso viziata da settarismo e assenza di visione generale, analoghe anomalie caratterizzano specularmente le posizioni opposte e contrarie. Alla base, la semplificazione di problemi complessi, la banalizzazione e riduzione a alternative prive di costrutto, come quella che opporrebbe una visione cosiddetta “giustizialista” ad un’altra “garantista”.
La prescrizione ha spesso assorbito, e così neutralizzato, ogni altro problema, quasi fosse il nodo esclusivo o principale del mal funzionamento giudiziario, diventando un feticcio polemico, materia di discrimine tra i difensori della correttezza del processo e i malfattori, disposti a inganni e scorciatoie per fini inconfessabili. Il rischio, in questa fase, è che al vecchio si sostituisca un nuovo manicheismo.
Non solo la questione della prescrizione ma anche l’idea del “blocco” con la sentenza di primo grado meritava ben altra attenzione, al riparo da polemiche e faziosità. Lo sguardo rivolto fuori dai confini è sorprendente. Ma si rinuncia ad alzare gli occhi. In Europa, il termine di prescrizione non sempre è previsto e, quando lo è, solitamente è più lungo di quello italiano. In Francia e Germania ogni atto giudiziario azzera il suo corso.

Proprio nell’ordinamento tedesco, è adottata la regola del blocco della prescrizione al primo grado, il termine è sospeso sino alla conclusione della vicenda giudiziaria. Per non dire della Gran Bretagna. Nei sistemi di common law la prescrizione è sconosciuta ed è solo previsto un termine, variabile, per l’inizio del giudizio, poi il processo farà il suo corso senza limiti di tempo.
In Italia, nonostante il frastuono delle voci, nessuno discute davvero di valori costituzionali come la tempestività del processo e la sua ragionevole durata, condizioni di efficienza quanto di equità. Però è fuorviante (forse ipocrita) disinteressarsi di tutto ciò che ritarda, ostacola, rallenta l’azione giudiziaria. E poi ricorrere alla prescrizione per “salvare l’immagine” del processo e farne bandiera di legalità.
È quello che accade quando, in mancanza di modifiche normative e investimenti, si trasforma l’eccezione (qual è la prescrizione) in una sorta di “regola temporale” generalizzata per governare il processo, rendere tollerabile il processo lento e farraginoso. Ma intanto la comunità paga un prezzo salato: si sacrificano la punizione del crimine, la difesa dei diritti, il rispetto delle regole sociali.
La prescrizione, così intesa ed usata, è il lato oscuro dei processi, la lente deformante delle vicende, lo strumento che forza l’andamento della giustizia, provocandone la deriva e il capovolgimento nel suo contrario. Il paradosso è che ad alimentare questa tendenza ha contribuito proprio la battaglia 5 Stelle sulla prescrizione e in genere sulla giustizia: sono i danni di una visione totalizzante ed ideologica, incapace di leggere la complessità. Alla lunga il difetto di visione generale provoca un arretramento della riflessione.

Quanto accaduto riflette un vizio d’origine. I rivoluzionari ideologici non hanno davanti a sé una strada facile o lineare. Certe battaglie “identitarie” contengono l’errore di racchiudere l’universale nel particolare, di circoscrivere la realtà ai frammenti singoli che la compongono. Non è una grande idea. L’assenza di radici genera il trasformismo, la disponibilità a qualunque avventura, perché non ci sono mai differenze.
Era impossibile per i grillini cambiare davvero la prescrizione senza una riforma multilivello, riguardante i tanti aspetti del disservizio nella macchina giustizia. La stessa precauzione dovrebbe valere anche oggi mentre si pone mano a questo e agli altri temi con l’idea ambiziosa di accelerare i processi, di rendere la giustizia più veloce: urgenza indilazionabile, a prescindere dalle sollecitazioni europee.
La giustizia soffre di manicheismo nella lettura della realtà e nell’individuazione delle soluzioni. La discussione non riesce a esorcizzare il male. L’uso ideologico degli argomenti – praticato a dismisura dai 5 Stelle – ha radicalizzato i problemi nell’alternativa tra bene e male, tra passato da buttare via e vuota retorica del nuovo. Il solco tra cittadini e istituzioni si è allargato e sarà difficile comporlo. Il frutto più velenoso dell’antipolitica è diventato il populismo giudiziario.