“Fermare il virus. Tenere lontane le pistole dalle strade. Garantire ai newyorchesi sicurezza e una vita senza paura. Risollevarsi dalla recessione. Riportare a New York le imprese e i posti di lavoro”. Sono queste le numerose sfide che rendono eccezionale la sfida tra i democratici per diventare sindaco della città più grande d’America.
Il bilancio del governo di New York City è il più grande tra le città degli Stati Uniti. L’ultimo budget record approvato da Bill de Blasio è di 98.6 miliardi di dollari. L’amministrazione comunale impiega 250.000 persone. Spende 23,5 miliardi di dollari per educare più di 1,1 milioni di bambini. Riscuote 27 miliardi di dollari di tasse e riceve 14 miliardi di dollari dai governi federale e statale.

I candidati alle primarie del Partito democratico che si confrontano sono otto.

Dianne Morales, 53. Ex-insegnante, cresciuta nelle case popolari di Brooklyn da una famiglia di origini portoricane. È madre di due bambini e direttrice di un’azienda no profit che gestisce servizi per i giovani LGBTQ+ senza tetto della città. Sull’onda dello slogan “Defund the police“, vuole tagliare 3 miliardi destinati al dipartimento di polizia per assegnarli alle comunità con difficoltà economiche. Negli ultimi tempi lo staff della sua campagna elettorale è in subbuglio e alcuni hanno dato le dimissioni a poche settimane dalle primarie.

Eric Adams, 60. Oggi uno dei candidati favoriti. Nasce nei quartieri poveri di Brooklyn. A quindici anni viene aggredito dalla polizia. Decide così di entra a far parte del dipartimento di polizia “per cambiarlo da dentro”. Sostenitore dei diritti civili, diventa poi senatore dello Stato. Ultimamente è stato fortemente criticato per il finanziamento della sua campagna elettorale, sostenuta da diversi imprenditori edili della città. Potrebbe essere il secondo uomo di colore (dopo David Dinkins, 1990-93) a ricoprire la carica di sindaco della metropoli.

Kathryn Garcia, 51. È la stella in ascesa. Ha recentemente incassato l’appoggio del New York Times. A marzo i sondaggi la posizionavano nelle retrovie con il 5%. Oggi triplica l’elettorato con alcuni sondaggi che la danno al 21%. Figlia adottiva in una famiglia di Brooklyn, vive a pochi isolati da dove è nata, in quella che definisce essere la sua comunità. Ha fatto carriera nell’amministrazione pubblica fino a diventare commissario all’igiene della città, gestendo 10,000 uomini e introducendo uno dei più ampi programmi di compostaggio dei rifiuti mai realizzato. Si presenta come la donna delle emergenze: ha gestito la risposta all’urgano Sandy e la crisi alimentare durante la pandemia. Potrebbe essere la prima donna a ricoprire la carica di sindaco di New York.

Shaun Donovan, 55. Newyorkese, ha servito come membro del gabinetto di Barack Obama, dove ha sviluppato una stretta collaborazione con l’allora Vice Presidente Biden. Il giorno dell’anniversario della morte di George Floyd, è stato arrestato dalla polizia di New York mentre manifestava con i Black Lives Matter.

Scott Stringer, 61. Nato nell’Upper East Side, in Washington Eights, da una famiglia di origini ebraiche, con legami e conoscenze nel mondo della politica. È stato membro dell’assemblea dello stato per 13 anni. Oggi ricopre il ruolo di controller della città di New York. È stato accusato di molestie sessuali da una lobbista.

Maya Wiley, 57. Nata a Washington D.C. Docente e attivista per i diritti civili. Ha lavorato presso studi legali e ha fondato un’associazione no profit. È stata consulente legale di DeBlasio in materia di diritti degli immigrati, imprese gestite da donne e minoranze, accesso universale alla banda larga. La cadenza della sua oratoria ricorda molto quella di Elizabeth Warren.

Ray McGuire, 64. Cresciuto in Ohio da una ragazza madre e con i nonni, è il primo della sua famiglia a laurearsi all’università. Ha lavorato a Wall Street per quasi quattro decenni, generando – dice lui – più di 20 miliardi di dollari all’anno di entrate a sostegno dei clienti del settore pubblico e privato in tutto il mondo. Per gli ultimi 13 anni ha lavorato come direttore presso Citigroup.

Andrew Yang, 46. il superfavorito all’inizio della gara. Forse sperava di usare la sua presenza alle primarie per le presidenziali del 2020 come trampolino di lancio per la carica di sindaco della città di New York. Continua a giocare la vecchia carta dell’uomo nuovo. Ma sembra la carta sbagliata che lo sta conducendo a ripetere il fiasco delle presidenziali. Nonostante sia a picco nei sondaggi, continua ad essere un possibile candidato, attestandosi attorno al 16%. Stupisce che non abbia mai votato nelle ultime cinque elezioni comunali della città. Potrebbe essere il primo sindaco di origini taiwanesi, in un momento in cui la comunità asiatica viene continuamente aggredita per le strade della città.

I candidati democratici si sono confrontati su come controllare la violenza nelle strade: le sparatorie sono aumentate del 77%. C’è chi vorrebbe non fare intervenire più la polizia per gli interventi del 911 che coinvolgono casi di tossicodipendenze o salute mentale. C’è chi vorrebbe limitare ulteriormente la detenzione di armi. Volano le accuse contro chi avrebbe appoggiato lo stop & frisk, le perquisizioni introdotte negli anni ’90 dall’allora sindaco Giuliani e dal commissario di polizia Bratton per combattere la criminalità di strada e che sono state indirizzate soprattutto contro la comunità afro-americani (il 90% di coloro che sono stati fermati nel 2017 erano afro-americani o latini, per lo più di età compresa tra i 14 e i 24 anni).
E poi arrivano le diverse ricette per superare la crisi economica. Sburocratizzazione, riduzione delle multe a ristoratori e piccole imprese. Ma anche estensione delle coperture assicurative sanitarie e dell’offerta di case popolari per i meno abbienti.
I candidati presi di mira durante il dibattito sono soprattutto i favoriti, in particolare Adams e Yang, accusati di essere finanziati dai grandi capitali anziché dalle comunità di cui dovrebbero proteggere gli interessi.
Le primarie della città di New York di quest’anno sono particolari anche per un altro motivo più pratico: la modalità di voto. Quando saranno dentro le urne, gli elettori non sceglieranno più soltanto per un candidato, ma per elenco al massimo di 5 candidati – da quello più preferito a quello meno preferito. Si chiama ranked-choice voting (RCV), voto a classifica. È la prima volta che il sistema viene utilizzato per le primarie democratiche a New York City. Un candidato deve ricevere la maggioranza dei voti espressi per vincere le elezioni, e i voti per i candidati eliminati vengono ridistribuiti in base alla prossima preferenza sulla scheda. Durante il dibattito, è arrivato l’appoggio di Andrew Yang a Kathryn Garcia come seconda scelta. Gli altri candidati non si sono sbilanciati.
Per via dei tempi più lunghi concessi ai voti per corrispondenza, sapremo chi ha vinto le primarie non prima del 12 luglio prossimo.