Confini sicuri, immigrazione e diritto di asilo ai rifugiati e ai perseguitati politici e religiosi, tre importanti capitoli per un Paese come gli Stati Uniti nato e cresciuto grazie all’afflusso di milioni di immigrati. Il richiamo ideologico del secolo scorso a far affluire le masse mal si adatta all’America attuale. L’11 settembre 2001 ha cambiato tutto. La paura di nuovi attentati e le successive restrizioni immigratorie hanno acuito un problema già esistente, tollerato, e mai affrontato. E la Casa Bianca è combattuta tra il mantenimento dei confini sicuri e le nuove ondate immigratorie.

Decisioni politiche importanti e difficili da risolvere perché la riforma dell’immigrazione in un contesto politico così esasperato come quello attuale, e soprattutto quando la maggioranza democratica al Senato è così modesta, è impossibile farla passare. Ma Biden, quando era candidato, promise che avrebbe incrementato fino a 125 mila permessi di soggiorno l’anno per i rifugiati politici, e invece fino ad ora è stato mantenuto il livello imposto dalla precedente amministrazione di 15 mila permessi l’anno. C’è però una distinzione da fare tra chi chiede il permesso di soggiorno per fuggire dalle violenze politiche e religiose e chi invece attraversa clandestinamente il confine. Le richieste dei primi vengono fatte alle sedi diplomatiche americane nei loro Stati e vengono vagliate dal Dipartimento di Stato. Le seconde vengono valutate dalla Homeland Security che ha il compito di identificare chi è entrato clandestinamente e controllare che le persone detenute nei centri di accoglienza non abbiano carichi pendenti con la giustizia. E qui la burocrazia fa lo sgambetto alla logica perché per ricevere, esaminare ed eventualmente approvare le richieste trascorrono molto più dei 20 giorni disposti come termine massimo della detenzione per i clandestini.
Inoltre Biden disse che avrebbe riunito le famiglie immigrate clandestinamente e avrebbe creato una task force per risolvere il problema. La task force non è stata creata e a tutt’oggi ci sono 545 bambini separati dai genitori.

Durante la campagna elettorale Biden mandava tweet dicendo che i centri di detenzione creati dall’ICE (Immigration and Customs Enforcement) dovevano essere chiusi e i bambini riuniti alle famiglie. Nel corso delle audizioni al Senato per la conferma il segretario della Homeland Security, Alejandro Mayorkas, affermò che i centri di detenzione al confine non sono i luoghi in cui le famiglie debbono vivere. La Casa Bianca per enfatizzare la determinazione nel porre fine a queste separazioni si rivolse anche a il tribunale chiedendo la fine della detenzione per le famiglie che chiedevano asilo. E da qui scaturì la decisione della magistratura dei 20 giorni come tempo massimo di detenzione nei centri di accoglienza. Lunedì la NBC ha intervistato un alto funzionario dell’ICE il quale ha detto che le direttive per porre fine ai centri di detenzione non sono mai state fatte.

E poi c’è il Muro, quell muro che secondo l’ex presidente Trump sarebbe stato costruito con i fondi messicani. Il Messico non ha finanziato i lavori che, con uno stratagemma contabile, furono prelevati dal bilancio della Difesa, ma sempre con le tasse degli americani. Delle quasi 2 mila miglia di confine tra Messico e Stati Uniti il muro copre solo 450 miglia, quasi tutte in pianura. Tutta la zona ad ovest di San Antonio e a sud del New Mexico, dove ci sono le Santiago Mountains e i parchi nazionali del Big Bend con le immense foreste deserte solcate dai canyon il muro non si può costruire e i controlli sono impossibili.
Durante la campagna elettorale Biden disse che il modo di gestire l’accoglienza per gli immigrati clandestini era criminale. Promise che avrebbe preso immediate decisioni per cambiare tutto il sistema immigratorio. Che avrebbe avuto tolleranza zero per la politica di separazione delle famiglie immigrate clandestinamente.
Ora sono passati quasi 100 giorni da quando Biden è entrato alla Casa Bianca e fino ad ora non è cambiato nulla.
La congresswoman democratica del Minnesota Ilhan Omar, figlia di rifugiati politici fuggiti dalla Somalia, è tra le più critiche soprattutto per il limite di accettare solo 15 mila rifugiati politici l’anno. La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha detto che una direttiva è allo studio e che verrà resa nota entro un mese.
Come molto spesso è successo in questi casi ancora una volta sarà la Corte Suprema a decidere quello che la politica non riesce a determinare. E’ successo nel passato americano con la segregazione razziale, è successo con la decisione delle donne di interrompere la maternità, per i matrimoni interrazziali. Tutte decisioni spinose che i politici per paura di perdere il voto dei loro elettori non affrontarono e questo dell’immigrazione è veramente complesso. E la Corte suprema dovrà decidere sulla vicenda di Jose Sanchez e Sonia Gonzales entrati legalmente 20 anni fa negli Stati Uniti dal Salvador rientrando nella quota dei permessi temporanei per motivi umanitari , il Temporary Protected Status, poiché avevano lasciato la loro nazione per disastri naturali o conflitti armati. Dopo 20 anni, appunto, e dopo 4 figli nati negli Stati Uniti, hanno fatto domanda per ottenere la “green card”. Domanda che è stata respinta dall’ufficio immigrazione perché il loro era un permesso di soggiorno temporaneo anche se è stato rinnovato negli anni. Si sono rivolti al tribunale federale e il tribunale in primo grado ha dato loro torto. Ora sono davanti alla corte Suprema. Il caso è stato discusso lunedì scorso. Non è stata fornita una data per la decisione della massima corte, ma dalla sentenza di questi giudici potrebbe cambiare tutto.

Di sicuro la poesia di Emma Lazarus posta ai piedi della Statua della Libertà, quella che dice…
“A me date i vostri stanchi, i vostri poveri,
le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi,
i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate.
Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste,
e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata”
ha fatto il suo tempo. Una poesia che ha fatto sognare milioni di emigranti. Ora, oltre un secolo dopo, l’emigrazione viene vista non più come una risorsa, ma come un problema politico difficile da risolvere.