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March 29, 2021
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Biden l’equilibrista cerca di portare avanti le riforme in un Congresso di “filibustieri”

Difficilmente la riforma elettorale federale avrà successo, così come la riforma della legge sull’immigrazione e quella sull’ammodernamento delle infrastrutture

Massimo JausbyMassimo Jaus
Biden sarà il nuovo presidente, ma gli USA restano spaccati e Trump non li aiuta

President Joe Biden (Illustration by Antonella Martino)

Time: 5 mins read

La primavera è arrivata a Washington. L’incanto dei 4 mila alberi di ciliegio in fiore dà una nota positiva ad una città ferita, esacerbata dalla retorica, divisa dalla politica. Una quiete fittizia dopo il flemmatico weekend appena trascorso che verrà sgretolata mercoledi quando Joe Biden presenterà il piano da 3 mila miliardi di dollari per ricostruire e ammodernare le infrastrutture degli Stati Uniti. Questa delle infrastrutture sarà solo la scusa del confronto perché la battaglia politica tra democratici e repubblicani è molto più complessa e non per l’ideologia, ma per il controllo politico del Congresso.

I numeri per avere la maggioranza sono con i democratici però al Senato la superiorià numerica è veramente risicata perché la Camera Alta è divisa equamente con 50 senatori democratici e 50 repubblicani. Solo in caso di parità il presidente del Senato, la vicepresidente Kamala Harris, darà il voto di maggioranza. In pratica basta che uno solo dei 50 senatori democratici dissenta che la maggioranza crolla. Le riforme chiamano, il presidente le ha promesse e ora deve fare l’equilibrista per cercare di mantenerle, ma il filibustering, la tattica dilatoria, blocca tutto. Con il sistema attuale difficilmente la riforma elettorale federale, dopo le indegne restrizioni votate in Georgia, potrebbe avere successo, così come la riforma della legge sull’immigrazione e anche quella più immediata di cui darà i particolari mercoledì sull’ammodernamento delle infrastrutture.

Il filibustering si articola in due modi. La regola vuole che un disegno di legge non possa essere messo ai voti finché il dibattito in aula non si sia concluso. Così chi si oppone può prendere la parola e parlare ininterrottamente e non solo nel contesto specifico del disegno di legge. I senatori parlano di tutto, dalle ricette di cucina ai sonetti di Shakespeare, leggono l’elenco del telefono di Atlanta, la Costituzione, la Dichiarazione d’Indipendenza oppure Tom Sawyer. Parlano, parlano per allungare i tempi.

Il record è detenuto dal senatore della South Carolina Strong Thurmond, scomparso nel 2003, che nel tentativo di bloccare il Civil Right Act del 1957 parlò ininterrottamente al Senato per 24 ore e 18 minuti. Con lui tutti i senatori repubblicani del tempo che, dandosi il cambio, riuscirono a ritardare di 57 giorni il voto sulla legge che proibiva la discriminazione. L’ultimo è quello fatto poche settimane fa dal senatore Ron Johnson che, per ritardare il voto sullo stimolo economico ha chiesto che le 628 pagine del testo della legge fossero lette in aula. Ci sono volute oltre otto ore, non è servito a nulla se non ad evidenziare le tattiche dilatorie per prevenire la messa al voto di una legge.

Per bloccare il filibustering servono 60 voti, quelli della maggioranza qualificata. In questo modo basta che un gruppo minoritario di 41 senatori si opponga al dibattito che tutto viene bloccato. Per sbloccarlo appunto servono 60 voti. Ed è questo un modo strumentalizzato dalla minoranza per aumentare di fatto la soglia necessaria per l’approvazione di un disegno di legge che richiederebbe invece solo la maggioranza semplice. Il risultato è che se il partito di minoranza minaccia l’ostruzionismo, la maggioranza passa direttamente a un altro tema sapendo di non poter raggiungere i 60 voti necessari per interrompere il dibattito e procedere al voto. Una paralisi abilmente diretta da Mitch McConnell che ha bloccato prima l’ex presidente Obama e che ora minaccia Biden.

Il presidente però nel suo discorso di venerdì ha detto che è il momento di cambiare le regole e il leader della maggioranza democratica al Senato, Chuck Schumer sta cercando i consensi tra i suoi, perché non tutti i democratici sono d’accordo nelle modifiche. Il leader della minoranza repubblicana Mitch McConnell ha minacciato che se le regole saranno cambiate e verrà implementata la “Nuclear Option” per porre fine al filibustering modificando il voto da maggioranza qualificata a maggioranza semplice la risposta sarà ugualmente “nucleare”. Paroloni che in pratica lasciano il tempo che trovano. Però le modifiche potrebbero avere in futuro risultati imprevedibili come è successo dopo che nel 2013 i democratici per superare l’ostruzionismo repubblicano nel ratificare le nomine di circa 200 magistrati federali scelti da Obama modificarono la regola procedurale abolendo la maggioranza qualificata di 60 senatori limitandola alle nomine per i magistrati di primo e secondo grado mentre per quelli della Corte Suprema rimaneva la maggioranza qualificata per concludere il dibattito e procedere al voto. Nel 2017 le parti s’invertirono e furono i repubblicani a superare l’ostruzionismo democratico alla ratifica del giudice Neil M. Gorsich alla Corte Suprema ampliando la modifica anche alle nomine per la massima corte giudiziaria. Un gesto che è stato definito dal senatore democratico Chuck Schumer (allora leader della minoranza) l’Opzione Nucleare.

Biden che è sempre stato contrario quando era senatore a modificare le regole del filibustering ora da presidente si rende conto che senza queste modifiche la sua politica non potrà essere implementata.

I repubblicani sbuffano, l’ex presidente Donald Trump alimenta la discordia e i suoi numerosi seguaci si allineano. Il leader della minoranza repubblicana alla Camera, Kevin McCarthy, che aveva suggerito l’applicazione dei cambiamenti quando era in discussione l’Appropriation Act nel 2018 ora è contrario. Così come lo stesso ex presidente e, ovviamente, Mitch McConnell. Forse è per questa continua opposizione che l’ex presidente continua a perdere consensi nell’opinione pubblica. In un sondaggio condotto da Pew Research Center il 72% degli intervistati democratici afferma che Trump e’ stato un capo della Casa Bianca “terribile”, il 17%  lo definisce “incapace”. Mentre tra i repubblicani il 37% afferma che e’ stato un ottimo presidente e il 36 lo definisce “buono”.  In totale il 41% degli intervistati tra l’1 e il 7 marzo afferma che e’ stato un presidente terribile (41%), incapace (12%), ottimo (17%), buono (18%).

E forse i sondaggi negativi e l’emarginazione che si è imposto nella sua nuova residenza a Mar A Lago lo hanno spinto ad intervenire a sorpresa a una cerimonia di matrimonio che si è svolta nel weekend al suo club di golf. Durante il ricevimento ha preso il microfono trasformando il brindisi d’augurio alla coppia in un risentito comizio politico. Lo rivela TMZ che ha messo in rete un video del discorso di Trump il quale, in smoking, invece di rivolgere gli auguri alla coppia, John e Megan Arrigo, si è gettato in un risentito lamento  sulla nuova amministrazione, sui migranti minorenni, sui colloqui con la Cina e con l’Iran e, naturalmente sui brogli elettorali. “Abbiamo avuto 75 milioni di voti, nessuno ne ha mai avuti così tanti”, ma non ha detto che Biden ne ha avuti piu di 6 milioni di lui. Alla fine ha chiesto agli ospiti del ricevimento il suo classico “Vi manco, è?” ricevendo una ovazione, finite con i cori “Usa Usa” e “Stop the Steal”. A un matrimonio!

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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