L’avvento del ventunesimo secolo si può considerare uno spartiacque culturale per l’Occidente; la linea di demarcazione che divide due ere ideologiche.
L’era precedente, vale dire i duecento anni che vanno dalla Rivoluzione Francese al collasso dell’Unione Sovietica, è stata caratterizzata dalla contrapposizione tra l’egemonia aristocratica e borghese da una parte e il populismo social-democratico dall’altra.
Durante questo periodo, la competizione socio-economica tra ricchi e poveri per il controllo delle risorse si è tradotta in una graduale ma costante ridistribuzione dall’alto verso il basso della ricchezza e questo conseguente appiattimento delle disuguaglianze sociali ha coinciso col periodo di maggiore prosperità della storia umana, segnato da enormi avanzamenti in ambito sociale, tecnologico, scientifico e culturale.
Alla fine del 900, il crollo del muro di Berlino e la scomparsa dell’autoritarismo comunista sovietico avevano fatto inizialmente sperare in una trionfale affermazione degli ideali democratici nel mondo occidentale ma, più della democrazia, a trionfare è stato il mercato.

La fine del duopolio USA-URSS e l’inizio della globalizzazione hanno spostato il baricentro della crescita economica dall’Occidente alle regioni in via di sviluppo e il crollo dell’attività manifatturiera in Europa e in America si è tradotto nella scomparsa di opportunità economiche per quei lavoratori la cui prosperità era cresciuta in maniera costante durante tutto il ventesimo secolo.
La perdita di queste opportunità economiche ha creato un nuovo malcontento sociale tra queste classi meno agiate che, essendo anche le meno istruite e prive di quegli strumenti culturali per decodificare una realtà sempre più complessa, sono divenute facile preda di un nuovo populismo non più progressista e teso alla loro emancipazione come quello dell’era precedente ma oscurantista, reazionario e autoritario.
Questo processo si è verificato sia in America che in Europa, alimentato su entrambe le sponde dell’Atlantico da queste analoghe trasformazioni dell’assetto economico e produttivo e da nuovi fenomeni come il drastico aumento dei flussi migratori e l’avvento dei social media il cui potere di diffusione e amplificazione di un’informazione spesso soggettiva, faziosa e infondata ne ha anche distrutto i tradizionali ormeggi epistemologici compromettendo il sostrato cognitivo comune su cui si fondano una società e una nazione.
Qui in America come spesso accade, il contrasto non poteva essere più stridente. Nel ventesimo secolo il populismo progressista è riuscito ad emancipare vaste masse di diseredati aprendo loro gli occhi sugli sfruttamenti e sugli abusi di cui erano vittime nelle acciaierie della Pennsylvania o nei campi di cotone della Georgia. Conquiste sociali come la fine dello sfruttamento minorile, il movimento per i diritti civili, l’organizzazione sindacale, l’accesso all’istruzione superiore, sono stati gli strumenti che hanno sollevato dalla povertà e dall’indigenza un enorme numero di persone.
Con l’avvento della nuova “era ideologica” tuttavia, questa tendenza sembra essersi invertita. Trasformazioni economico-produttive come l’automazione e la delocalizzazione hanno riallargato il divario tra ricchi e poveri e, con esso, il malcontento sociale.
Questo nuovo diffuso senso di disagio è riaffiorato in un momento in cui il movimento conservatore americano era già impegnato da tempo per attrarre nuovi elettori provenienti dal mondo del lavoro: quei “colletti blu” che storicamente avevano rappresentato il bacino elettorale della sinistra.

Per gli esponenti di questi gruppi sociali, votare a destra significava andare contro i propri interessi economici e tuttavia, la lezione più grande di questi quattro anni di trumpismo è stata quella di rivelare in tutta la sua agghiacciante ampiezza l’abisso di inimmaginabile credulità e mancanza di senso critico che affligge un’enorme parte dell’opinione pubblica disposta a credere alle follie più assurde.
A prescindere dalle sue manifestazioni storiche e dai suoi fallimenti politici, il fine dichiarato del populismo progressista del 900 è stato quello di emancipare le masse dei diseredati. L’obiettivo del nuovo populismo di destra invece è la cooptazione di queste stesse masse per attrarle nella propria sfera di consenso continuando a promuovere politiche che fanno gli interessi delle elìtes economiche e finanziarie.
Basti pensare all’esempio dell’Affordable Care Act (ACA), la legge voluta da Barack Obama che ha esteso l’assistenza sanitaria a oltre venti milioni di persone che, fino a quel momento, ne erano completamente sprovviste. Una legge di tutela della salute pubblica che il Partito Repubblicano ha tentato di smantellare per ben settanta volte!
La guerra di disinformazione contro l’ACA è emblematica delle tattiche di cinica cooptazione messe in atto dai conservatori ma fornisce anche alla neo-eletta amministrazione Biden un’idea sulla via da percorrere per conseguire i propri obiettivi.
Nell’intervallo di tempo trascorso dalla sua approvazione nel 2010 alla sua attuazione effettiva nel 2014 l’ACA o Obamacare, è diventata la bestia nera della destra americana che ha montato una campagna di disinformazione totale inventandosi le fandonie più insensate per screditarla. Una vera e propria guerra mediatica che per anni, prima e dopo il 2014, ha avuto l’effetto di falsare e distorcere gli effetti della legge agli occhi dell’opinione pubblica.
Grazie a questa manipolazione del messaggio mediatico la legge è stata inizialmente percepita in maniera estremamente negativa da una larga parte della popolazione fino al momento della sua attuazione.
Solo dopo la sua entrata in vigore, quando la gente ha avuto finalmente modo di sperimentarne sulla propria pelle e in tempo reale i benefici, l’atteggiamento nei confronti dell’ACA è cambiato radicalmente passando da uno scettico criticismo a entusiastico sostegno.

La costruzione del muro al confine col Messico è una delle “promesse elettorali” che Donald Trump non è riuscito a mantenere. Ma, nel corso dei quattro anni appena trascorsi, Trump e i suoi complici repubblicani sono riusciti ad innalzare e a consolidare un muro ancora più alto: il muro dell’ottusità collettiva.
Per la seconda volta in dodici anni i democratici prendono le redini della politica americana ereditando le macerie e la distruzione lasciate alle spalle dall’incompetenza e dalla corrotta disonestà dei predecessori repubblicani.
Ma il danno al tessuto sociale e nazionale provocato dall’irresponsabilità e dall’estremismo del movimento conservatore americano lasciano alla neo-eletta amministrazione Biden un’eredità ancora più catastrofica che non ha a che fare solo con la patetica gestione della pandemia e con la conseguente crisi economica da essa causata. Il danno principale è quello di un paese spaccato a metà, diviso da un muro invisibile in cui le due parti abitano realtà separate e inconciliabili una delle quali fondata su fantasie insensate e demenziali.

L’unico modo per scalfire questo muro di ottusità è quello di agire rapidamente a livello legislativo dando alla gente risposte concrete che, proprio come l’ACA, abbiano l’effetto di migliorarne in maniera pratica, tangibile e immediata la qualità della vita neutralizzando in questo modo le distorsioni della macchina propagandistica conservatrice.
Il nucleo ideologico di ogni movimento progressista è stato e resta quello di mitigare il profondo divario socio-economico che imperversa ancora in troppi paesi e in America in particolare. Ma al momento, colmare questo abisso socio-economico significa prima di tutto ristabilire il primato dei fatti e della realtà sulle allucinazioni collettive propagandate senza scrupoli dalle destre di tutto il mondo e soprattutto da quella americana degenerata ormai in un culto nichilista che, visto il peso specifico di cui questo paese ancora dispone nelle dinamiche globali, potrebbe avere in futuro effetti disastrosi per tutti.