Il potere esecutivo nei paesi democratici – in termini di strutturazione ed esercizio -, tra le maggiori potenze industriali del globo, mostra evidenti e molteplici differenze e dinanzi alla pandemia che stiamo vivendo anche il tipo di risposte, sul piano politico-nazionale nonché geopolitico, si polarizza (vedasi ad esempio la Cina, Uk, ecc.).
Eppure Usa e Italia, nonostante Costituzioni e storie differenti, sembrano convergere su un unico inquadramento politico-narrativo: l’accentramento decisionale in capo ad un’unica persona.
Attenzione, però, che l’accentramento decisionale non equivale a dire esercizio individuale del potere esecutivo e, soprattutto, senza controllo e/o bilanciamenti istituzionali.
Stiamo ai fatti.

Donald Trump è in Usa il Presidente: in base alla Costituzione statunitense (art. 2, sec. 1, Cost. del 1787) egli è stato investito, nel 2016, del potere esecutivo direttamente dagli elettori.
In Italia, invece, Giuseppe Conte ha ricevuto, dapprima, incarico da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per formare il Governo così nominandolo unitamente ai Ministri (art. 92 Cost. Italiana) al fine di ottenere la c.d. fiducia parlamentare (art. 94 sempre della Cost. Italiana).
Ora, il diverso inquadramento costituzionale del potere esecutivo ha ceduto il passo al rafforzamento, in epoca Covid, del “super-politico” o di obiettivi di “meta-politica” dei rispettivi Trump e Conte?
Nel primo caso è lo stesso strumento costituzionale a volerlo perché le radici di esercizio del potere governativo in Usa già considerano irrinunciabile, geneticamente parlando, l’accentramento decisionale; pur, quest’ultimo, dovendo fare i conti con altri bilanciamenti previsti dalla Carta fondamentale statunitense (come, ad esempio, il potere di impeachment della Camera dei Rappresentanti ed il relativo giudizio del Senato).
Nel secondo caso, posto che il potere esecutivo-decisionale è attribuito al Governo, lo strumento costituzionale di per sé non prevede (piuttosto che vietare espressamente) l’ipotesi di concentrare ed accentrare, appunto, aspetti decisionali che possono avere riflessi ed impatti normativi: calza il caso dei Dpcm voluti a suon di decreti legge (art. 77 Cost. italiana). Quest’ultimi talvolta confermarti e/o convertiti con modifiche dal Parlamento.
In buona sostanza, aver spostato i Dpcm dal piano attuativo-amministrativo verso un piano a riflessi normativo-esecutivi, anche se il tutto dettato dall’urgenza di fronteggiare l’emergenza pandemica, porrebbe la questione tra “sistema Usa” e “sistema Italia” sotto un’altra ottica di analisi.

Quanto l’Italia si sta pian piano americanizzando in termini di affermazione di un presidenzialismo-politico che non altro sta a significare debolezza, rispetto ai tempi che corrono, dell’assetto di poteri in relazione alle esigenze concrete?
Quanto, di contro, gli Usa (a prescindere dal Trumpismo, come spaccato politico-sociale, e dal futuro insediamento Biden quale erede di fatto di Obama) rimangono fedelmente ancorati, nonostante l’avversità geo pandemica, allo spirito di Kennediana memoria dell’Uomo per lo Stato?
Il tema pare cruciale perché ne va anche dell’approccio sul piano geopolitico.
Non a caso una ulteriore differenza di metodo è riscontrabile, sempre in ordine al potere esecutivo, nella gestione dei rapporti internazionali ed al relativo processo di esecuzione degli accordi.
La Costituzione Usa attribuisce al Presidente stesso il “potere” di stipulare i trattati previo “parere” del solo Senato (a maggioranza dei 2/3) che è presieduto, tra l’altro, dal Vice Presidente (arti. 1, sec. 3, Cost. Usa).
In Italia, invece, tale potere (soprattutto in termini di questioni politiche) è postumo ed è riservato all’intero Parlamento composto da Camera dei Deputati e Senato (art. 80 Cost. italiana).
Quest’ultimo passaggio lascia intendere, quindi, che i tempi e le modalità decisionali quanto a risposta politica nei confronti dei cittadini, anche dinanzi alla situazione pandemica, sono (nel bene o male) basati su strutturazione opposta che, il più delle volte, condiziona anche il processo d’immediatezza e prontezza risolutiva del problema da gestire.
Qui, appunto, torna in ballo la radice costituzionale: quanto sia opportuno o meno che sia il popolo ad eleggere il proprio Presidente piuttosto che farne mediare dai partiti, in Parlamento, la fiducia al Governo e l’elezione di colui che a sua volta incarica l’esecutivo (ovvio riferimento al Presidente della Repubblica in Italia).
La volontà del popolo, d’altronde, non è sottoponibile ad una vera e propria accusa in un ordinamento democratico perché il voto è sacro ed è la pre-condizione di esercizio legittimato di un determinato potere.
È quindi necessario trovare una risposta alla domanda più importante.
Il Covid sta mettendo in crisi il sistema costituzionale italiano oppure sta palesando solamente una carenza cronica di classe dirigente pronta a competere (non a caso l’abitualità ai Dpcm), al pari delle altre democrazie avanzate (tipo Usa), sul piano dei processi decisionali?
Non a caso Conte rischia di passare alla storia come un vero e proprio unicum politico che, per certi versi, renderebbe Palazzo Chigi (sfruttando un po’ l’immaginazione) una sorta di furgone porta valori blindato mentre dall’altra parte dell’oceano atlantico il popolo decide proprio durante la pandemia.
Ma su questo Conte non ha colpe. Il Governo, invece, si (vedasi la mole di Dpcm); il tutto salvo che non ci siano ambizioni più intriganti come obiettivi di “meta-politica”.
Speriamo che Trump o Biden possano ricordarsi che siamo loro debitori di libertà per non farci cadere nelle mani della svalutazione democratica cronica.
D’altronde sul principio di debenza morale si fonda la gratitudine.
O meglio “dovrebbe fondarsi” perché, nell’ipotesi in cui il rispettivo debito pubblico dovesse esser condizionato dal versante opposto del globo, rischieremmo di dimenticarci l’uno dell’altro?
Illuminate fu Abraham Lincoln che disse “Così come non vorrei essere uno schiavo, così non vorrei essere un padrone. Questo esprime la mia idea di democrazia”.