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November 17, 2020
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Il Trump furioso e la Washington prigioniera del suo muro costruito da menzogne

Intanto i repubblicani timorosi del voto in Georgia lo temono così non parlano, non sentono, non vedono e anzi lo difendono: Biden resta senza briefing

Massimo JausbyMassimo Jaus
USA al 45esimo posto per libertà di stampa: il Primo Emendamento sta morendo?

Donald Trump e le fake news: un graffito (Andy Kobel / Flickr.com)

Time: 5 mins read

Donald Trump alla fine il muro lo ha costruito. Non quello al confine con il Messico, che si sarebbe dovuto innalzare con i soldi dei messicani. Il suo muro è a Washington. Non è fatto di mattoni e filospinato, ma il risultato è lo stesso: blocca il passaggio delle consegne alla nuova amministrazione. 

Due settimane dopo il voto che lo ha bocciato, il presidente  scalpita come un animale ferito, manda raffiche di tweet, minaccia di lanciare un attacco militare all’Iran, contesta tutto e tutti e fa terra bruciata intorno alla nuova amministrazione Biden.

Il New York Times riporta che la settimana scorsa il presidente ha convocato alla Casa Bianca i vertici della Difesa e della politica estera per esaminare la possibilità di colpire il sito dove gli iraniani stanno accumulando l’uranio. La sua idea è stata bocciata e per ora si è ricreduto. Ma continua a fremere per la sconfitta e rifiuta di accettare la vittoria di Biden. Nessun aiuto, nessuna concessione, nessun passaggio di consegne, nessun briefing al presidente eletto.

E’ convinto che gli Stati Uniti siano uno dei suoi alberghi dove assume e licenzia il personale a seconda del suo umore. Del giuramento sulla Costituzione, del rispetto delle regole centenarie della democrazia americana se ne infischia, va avanti puntando solo su quanto lo avvantaggia e quanto possa screditare i suoi avversari. Per lui il rispetto dei precetti appartiene agli altri. Quello che è peggio è che la leadership repubblicana non si pronuncia, terrorizzata dal potere dei 73 milioni di voti che il presidente ha ottenuto.  E non solo non parla, ma lo aiuta nella sua visione assolutistica del potere. C’è poco da dire, il padrone del partito repubblicano ora è Donald Trump. Gli altri, quelli che hanno chiuso occhi e orecchie e lo hanno salvato dall’impeachment al Senato ora tremano e lo aiutano nel suo delirante disegno di ribaltare il risultato elettorale.

Trump “Il Grande Dittatore” (Illustrazione di Antonella Martino)

Gli attacchi alla vittoria di Biden sono quotidiani sia da parte del presidente che dei parlamentari del suo partito. I repubblicani tremano perché il 5 gennaio in Georgia ci saranno nuove elezioni. Queste sono per il Senato. Per una serie di situazioni entrambi i senatori di questo Stato si sono presentati contemporaneamente il 3  novembre alle elezioni generali, ma nelle liste elettorali i contendenti erano di più partiti, un fatto che ha disperso il voto e né repubblicani, né democratici, hanno superato la soglia del 50 percento dei voti. Ed ecco che il 5 di gennaio ci sarà il ballottaggio al quale parteciperanno solo solo i candidati che hanno avuto più voti eliminando tutti gli altri. Quindi lo scontro tra due democratici e due repubblicani.

La posta in gioco è altissima. Se dovessero vincere i democratici i repubblicani perderebbero il controllo del Senato. Se dovessero vincere i repubblicani Biden avrà vita difficile e le iniziative che vorrebbe varare per rimettere il Paese in carreggiata molto probabilmente verrebbero bloccate. Attualmente il Senato è composto da 48 democratici e 52 repubblicani. Se i democratici dovessero conquistare questi due seggi si arriverà alla parità: 50 a 50 e in questo caso il voto finale spetterà al presidente del Senato che è la  vicepresidente Kamala Harris. Il rischio per i repubblicani è che Trump ordini alle sue truppe se il Gop si dovesse mostrare poco solidale con la sua situazione, di non votare per i due candidati repubblicani, una sottintesa minaccia che ha paralizzato i parlamentari del suo stesso partito. Così i repubblicani non parlano, non sentono, non vedono e lo difendono. E Trump continua a tramare, a presentare ricorsi in tribunale che puntualmente vengono respinti perché le accuse non trovano riscontri.

Il suo avvocato di fiducia, Rudy Giuliani ieri sera in uno sconclusionato incontro con la stampa, accusava le manovre di Hugo Chavez e George Soros per aiutare Biden a vincere le elezioni. Parole insensate che, sfortunatamente fanno presa sugli irriducibili seguaci del presidente. Così il distillato di veleni viene quotidianamente somministrato al Paese con lo scopo di cercare di capovolgere il risultato del 3 novembre.

Nei giorni scorsi il senatore repubblicano Lindsey Graham, quello che si innalzava di essere il moralista sul mandato elettorale, ha chiamato al telefono il segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger, repubblicano anche lui e persona onesta, chiedendogli di buttare via un po’ di schede elettorali che favorivano Biden. Oggi il senatore nega. Brad Raffensperger conferma e lui e la moglie hanno ricevuto minacce di morte. Anche il dottor Fauci e la sua famiglia hanno ricevuto minacce di morte per aver difeso l’uso obbligatorio delle mascherine durante la pandemia. Naturalmente nessun repubblicano lo ha difeso.

La settimana scorsa il senatore James Lankford, repubblicano dell’Oklahoma, aveva detto che sarebbe intervenuto al Senato se entro venerdì passato non fossero stati forniti a Biden gli aggiornamenti sulla sicurezza nazionale redatti dai servizi segreti, come sempre avvenuto per i presidenti eletti. Non è successo nulla, il venerdì se ne è andato e questa mattina il senatore Lankford ha detto che ne ha parlato non in aula, ma con la General Services Administration e di essere rimasto soddisfatto dalle risposte. Quali risposte abbia ricevuto lo sa solo lui.  La GSA è l’ente che fornisce i mezzi al presidente eletto per procedere al passaggio dei poteri tra un’amministrazione e l’altra. Ebbene il GSA ha bloccato da due settimane questa procedura dopo che Trump ha ordinato a tutte le agenzie federali di non collaborare con Biden. Così la GSA continua a impedire il passaggio dei poteri. Biden riceverà i briefing sulla sicurezza nazionale, ma al di fuori dei canoni governativi. In altre parole si deve arrangiare.

Il presidente eletto comunque cammina per la sua strada. Ieri ha tracciato il piano per la ripresa economica legandolo alla lotta contro il coronavirus che con ferocia si accanisce sugli americani. Ha detto che ostacolare il passaggio delle consegne è controproducente per il Paese perché non si possono preparare ora i piani per combattere la pandemia rinviandoli a dopo l’insediamento e nel frattempo migliaia di americani verranno colpiti dal coronavirus.

President Joe Biden (Illustration by Antonella Martino)

Oggi Biden ha proseguito nel preparare la lista dei possibili ministri della sua amministrazione. Ha nominato Jen O’Malley la sua manager della campagna elettorale, per ricoprire il ruolo di vicecapo di gabinetto. Il congressman Cedric Richmond, molto popolare alla camera dei rappresentanti, sarà il coordintore tra la Casa Bianca e il Congresso. 

Nel frattempo il presidente sconfitto esce dalla Casa Bianca solo per andare a giocare a golf nel suo club in Virginia. Ha cancellato tutti gli impegni presi prima della disfatta elettorale, le sue decisioni militari come il ritiro dei soldati dall’Afghanistan o bombardare l’Iran, vengono respinte dai suoi stessi uomini.  Licenzia chi nella sua amministrazione non ha mostrato entusiasmo nelle sue decisioni. Fa decisioni presidenziali contro l’ambiente e nomina ad alte cariche amministrative, invece chi lo ha sostenuto.  Atteggiamenti che, nonostante i suoi proclami di vittoria, appartengono ad uno sconfitto.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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