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October 11, 2020
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L’errore dei democratici sulla delegittimazione politica di Trump

Quello di Trump non è un tentativo diabolico di portare il male nel mondo, ma di seguire l’esempio di Putin e uniformarsi al regime cinese: male assoluto?

Alessandro MartinabyAlessandro Martina
Il discorso della disunione di Donald Trump stracciato in diretta da Nancy Pelosi

La Speaker Nancy Pelosi straccia il discorso di Donald Trump davanti al Congresso

Time: 4 mins read

Non sono un sostenitore di Trump. Ci tengo a precisarlo, anzi vorrei sottolineare che non condivido quasi nulla della sua politica: il divieto di entrata ai cittadini di alcuni paesi musulmani cosi come la separazione di bambini e genitori di immigrati senza documenti sono due atti politici estremamente barbarici. E ce ne sono tanti altri. Tuttavia, al dibattito politico servirebbe un minimo di lucidità, dato che l’imparzialità non è cosa del nostro tempo.

Credo che bisognerebbe fare un lungo respiro e riflettere su quanto è successo e succede, prendendo le distanze dal momento, guardando le vicende odierne in prospettiva, come si leggesse un libro di storia. Cerchiamo di capire cosa accade. Partiamo dalla narrativa, dal racconto della realtà che se ne fa, cosi presente in ogni aspetto della nostra quotidianità.

Due sistemi di informazione si dibattono con toni apocalittici e apodittici. I conservatori utilizzano espressioni arroganti e diffamatorie; e lo fanno, o agitando lo spettro del socialismo, o assumendo la prospettiva di molte chiese protestanti; le quali invocano all’assassinio ogni qual volta vengono tutelati i diritti della donna. Molti conservatori si sono trincerati dietro questa battaglia identitaria che riassume o maschera le paure del diverso e il desiderio di tornare indietro ad una realtà che non esiste più. I toni dei repubblicani sono audaci e difensivi. Giungono ai più ridicoli dei negazionismi e possono essere compresi soltanto retrocedendo da ragionamenti logico-razionali: si tratta, infatti, del tentativo di proteggere le basi morali della loro esistenza, che traballa puntellata dai movimenti culturali di opinione e dalle proteste di oggi e di ieri.

Trump-Mussolini (by Antonio Giambanco for VNY)

Il vero passaggio da agone politico a guerra religiosa lo si ha nello schieramento dei Democratici. I toni da invasati che usano ricordano le trasmissioni radiofoniche degli anni ottanta, dove gli urlatori del Vangelo profetizzavano catastrofi a chi non intendesse seguire i loro ammonimenti. A sinistra, lo spirito è quello della crociata santa. E questo accade quando si confonde etica e morale, quando la cultura di sinistra decide che la politica è una questione di assoluti morali invece che di compromessi etici e di ipocrisie civili. Già Platone, nel Protagora, avvertiva (o semplicemente segnalava) che una delle idee cardini della democrazia dovesse essere l’ipocrisia. Ovvero: ogni cittadino ha diritto di dire la sua sulla gestione della città e a difendere la propria posizione, anche quando la maggior parte dei cittadini ritengono che la sua condotta generale sia immorale. Protagora lo dice chiaramente: sarebbe antidemocratico pensare che un cittadino debba ammettere la propria immoralità pubblicamente e rinunciare a difendere se stesso.

Sono altri i mezzi che una democrazia usa per sostenersi e rafforzarsi. E sono mezzi che passano attraverso la legittimazione politica dell’avversario, il compromesso, la collaborazione. I Democratici avrebbero dovuto attuare dinamiche inclusive verso l’avversario, in modo da soffocarlo nella stretta del bene comune. Avrebbero avuto il dovere etico-politico di fare questo, non per rispetto della persona di Trump, ma dell’elettorato che rappresenta. Il Partito Democratico Italiano, seppure in condizioni politiche diverse, è riuscito a fare questo nel nostro paese. Ha ingabbiato e spento politicamente i Cinque Stelle attraverso l’arte del compromesso.

Cosi non è stato negli Stati Uniti e sin dal primo giorno è cominciato il gioco al massacro; non si sa bene a chi abbia giovato questa creazione di show scandalistici quotidiani. Non alla politica del paese, non alla sua morale, non alla sua cultura.Si tratta di una questione meramente economica, che la critica marxista spiega in termini di mercificazione. Si guardano programmi televisivi dove si espone la merce dell’identità. Ci si consola come dopo un barbecue, esausti e satolli del cibo prelibato: l’assoluta certezza di avere avuto ragione e di poterla esibire come capitale sociale. 

I sostenitori dei Repubblicani hanno negato orecchio, nel più classico degli spiriti competitivi, a tutti i piccoli o grandi scandali personali di Trump: dalle dichiarazioni su McCain, alle esternazioni della nipote, al comportamento avuto in ospedale. Meglio forse sarebbe stato puntare tutto sugli scandali politici, sottolineare il pericoloso rapporto di intimidazione che Putin è riuscito -machiavellicamente- ad allacciare con Trump. Ma i media liberali avevano già perso tutta la loro credibilità nel racconto minuzioso ed esasperato di ogni particolare scandaloso della vita di Trump.

Joe Biden, nonostante non sia -chiaramente- un eroe senza macchia, rimane l’opzione democratica migliore per il paese. Il presidente americano ha violato le norme istituzionali che tradizionalmente regolano il processo democratico, mettendo persino in discussione l’esito della prossima tornata elettorale.

Respiriamo, controlliamo i bassi istinti moralistici e lo scandalo di savonaroliana memoria. Riprendiamo in mano il libro di storia. Nella storia del mondo, il passaggio da democrazie a oligarchie è qualcosa di comune; un fatto umano che accade e con il quale fare i conti. Quello di Trump non è un tentativo diabolico di portare il male nel mondo, ma di seguire l’esempio di Putin e uniformarsi, un passo alla volta, al regime cinese in fatto di autoritarismo. Non si tratta di un male assoluto ed anche se lo fosse, il punto non sarebbe quello di scandalizzarsi ma di correre ai ripari, democraticamente, civilmente, per mezzo di intelligenza, ironia, astuzia. Se i Democratici non fanno questo, possono allontanare lo spauracchio di Trump, non il sedimentato processo di deriva autoritaria dal quale il trumpismo trae linfa.

Invece di sbraitare e fomentare la divisione, i Democratici dovrebbero giocare di fino, cercare la ricomposizione, l’unione di intenti. Dovrebbero subordinare la loro ansia e la loro paura a un progetto di ricomposizione di più lungo termine. Dovrebbero puntare sul vincolo che li lega come cittadini di un unico paese; di  più, come idealisti uniti dall’idea di una cultura democratica basata sulla recoprocità e la comprensione. Dovrebbero finalmente iniziare a sostenere che persino Trump andrebbe bene come presidente, purché si lavori insieme per rispettare e consolidare le regole del processo democratico.

Legittimare significare fare i conti con una cosa preziosa in democrazia: l’assoluta necessità di un atteggiamento ipocrita come chiave per la vittoria dell’etica politica sulle spinte religiose della morale pubblica.

I Democratici amano, capiscono (o calvalcano) la battaglia della diversità tanto da farne la loro bandiera politica, ma si fermano e si voltano dall’altra parte ogni qual volta si tratta di affrontare la differenza antropologica di trumpisti e conservatori.

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Alessandro Martina

Alessandro Martina

Alessandro Martina, nato in Puglia 37 anni fa, si è laureato in Filosofia all’Università di Bologna e in Linguistica all’Università della West Virginia. Attualmente è dottorando in Italian Studies alla Università del Wisconsin-Madison.

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