Per tutto il periodo del lockdown, è corso per la Sicilia una specie di brusìo, che sarebbe troppo definire convincimento e, troppo poco, sentimento.
Chiamiamolo una mezza idea: secondo cui, se al posto delle Provincie di Brescia e Bergamo, ci fossero state due altre province siciliane a caso, e, al posto della Lombardia, la Sicilia, la notizia del Covid non sarebbe finita nemmeno sui giornali; o vi sarebbe finita solo come complemento, più o meno larvato o allusivo, di una (ritenuta) più radicata e diffusa “morbilità”, fatta di regresso sociale e culturale; insomma, il Covid sarebbe stato presentato come una “colpa” degli “incivili siciliani”, che, germe primigenio della mafia, ovviamente lo sarebbero stati di un’altrettanto piaga.
E solo a questa condizione “rassicurante”, che legherebbe la Sicilia a un ruolo fisso e antropologicamente immutabile, forse l’interesse nazionale avrebbe potuto darsi: ma più come una variazione sul tema mafio-narrativo, di consueto entertainment socio-politico, che come solidale aderenza ad una lontana sofferenza.
Mezza idea, questa, non manifestata decisamente, ma riconoscibile in ammiccamenti, immediati sguardi di intesa, che facevano corona (è il caso di dire), ad ogni chiacchiera, o più articolata discussione, che riguardasse anche remotamente l’epidemia.
Ora, tale mezza idea non va solo criticata, com’è piuttosto agevole fare, quale perniciosa disposizione interiore che, disinvoltamente adoperata, può finire con l’innescare (o ulteriormente alimentare) disaffezioni e cinismi, verso il già piuttosto malconcio spirito nazionale unitario: il quale, va detto, pare non meno virtualmente eroso dalle progettate “Autonomie Differenziate”, e dalle blateraggini sul “residuo fiscale” (che uniscono in fraterno abbraccio rosso-giallo-verde il trittico padano Lombardo-Veneto-Emiliano: impegnato a scambiarsi distinzioni politico- parolaie sul “come tenersi i soldi”, ma rimanendo incrollabilmente unito sul tenerseli. Quasi non fosse proprio questo il punto).
Ma quella mezza idea, nonché criticata, deve essere inquadrata: entro un più intellegibile contesto politico. Comprese le sue filigrane storiche. Senza di che, non solo disaffezioni e cinismi avrebbero campo libero, come una malattia di cui si ignorasse ogni sintomo; ma rischierebbero di rinvenire, in un troppo frettoloso moto censorio, la loro più solida e, in definitiva, più spendibile giustificazione.

Questo insieme di circostanze mentali mi si sono affacciate nel leggere il provvedimento con cui il Presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, ha disposto lo sgombero degli hot spot e dei Centri di accoglienza dell’Isola, invocando-intimando un suggestivo ma non meglio definito “ponte aereo”, per trasferire entro la mezzanotte di oggi, Lunedì, tutti i migranti ivi presenti “in altre strutture, fuori dal territorio della Regione Siciliana, non essendo allo stato possibile garantire la permanenza nell’Isola nel rispetto delle misure sanitarie di prevenzione del contagio“.
Nonostante il Ministero dell’Interno abbia subito precisato non essere nelle competenze regionali la materia dell’immigrazione, il testo del provvedimento è centrato sulla questione sanitaria-epidemica, rispetto alla quale, invece, la Regione può vantare il ruolo formale di “Soggetto attuatore” (delle direttive politiche nazionali). Tanto che, a dispetto di molte diffuse aspettative, il Governo ha dichiarato di non voler impugnare il provvedimento regionale.
Detto questo, per tentare di intendere cosa sta accadendo, non soccorre certo pretermettere l’intenzione politica della singolare decisione: che è di porre una questione.
Perché gli hot spot siciliani versano in condizioni ingestibili? E perché, mentre tutto il prevalente discorso pubblico è stato riqualificato dal Covid, la materia migratoria non dovrebbe esserlo? E, a monte, quale contraddizione tradisce, un provvedimento che veicola, “da destra”, una paura identica a quella che non solo è rilanciata quotidianamente “da sinistra”, ma costituisce l’essenziale ragion d’essere dell’indirizzo politico nazionale, della Maggioranza e del Governo?
Tutte questioni evidenti, ma che si vogliono eludere. La prima e fondamentale elusione consiste nell’accostarsi alla decisione di Musumeci come un atto politico “salviniano”; cioè, elementarmente demagogico e razzista.
Sarebbe credo un errore: non tanto, e non solo, per le precedenti posizioni assunte da Musumeci sul tema, in sensibile disaccordo con le trombonate di Salvini (al tempo della vicenda “Diciotti”, il Presidente siciliano uscí in un roboante ma chiaro: “Sì, sono di destra. Ma i migranti li chiamo fratelli”, consegnato a L’Espresso). Quanto, soprattutto, perché ignorare la commistione delle due “Grandi Paure” di questo nostro presente, nazionale e internazionale, e cioè Immigrazione e Pandemia, significherebbe fare solo infima propaganda.
O, dunque, la “Paura del Covid” è legittima, al punto da informare decisivamente ogni altra materia politica: lavoro, produzione, scuola, trasporti, struttura e dimensione dell’azione pubblica, conflitto/compromesso fra Autorità e Libertà e, certamente, anche immigrazione; o non lo è.
Ma, se lo fosse, la circostanza che i migranti sono “il cluster più importante con oltre 280 positivi, incidendo per il 30% 40% del totale”, come ha affermato l’Assessore Regionale alla Sanità, Ruggero Razza, rimanderebbe allo stesso linguaggio, agirebbe sugli stessi presupposti politico-culturali, sui cui si regge il Governo Nazionale: quando introduce limiti e inedite modulazioni nella gestione di lavoro, produzione, scuola, trasporti, struttura e dimensione dell’azione pubblica, conflitto/compromesso fra Autorità e Libertà. Non se ne esce.

Sicché, se critiche devono essere mosse al provvedimento Fear&Order di Musumeci, com’è certo possibile fare, queste non possono isolare una delle due “Paure”: quella “salviniana”, cattiva, perché possa partire con comodo il pigro battage sul fascismo, la destra, eccetera, mettendo sotto il tappeto l’altra Paura, quella giallorossa, “di sinistra”, e buona.
Ma essa critica si può accettare solo se muove da una critica della Paura come Instrumentum Regni, di ogni Paura: e degli irrazionalismi, degli equivoci, delle derive illiberali che, così assunta, rischia inevitabilmente di determinare.
Ma non vanno così le cose, a leggere le dichiarazioni, petulanti e rituali che hanno accompagnato questa decisione. Tutte recitano, in proporzione alla loro sonorità. Sono reperibili agevolmente, per chi amasse il genere litaniante.
Fa eccezione quella, misurata e logica, del Sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna: “Non si può ritenere attuabile un’ordinanza che in sole 24 ore prevede lo spostamento di tutti i migranti presenti nel territorio”; il quale, però, ha significativamente aggiunto: “Certo nessuno vuole nascondersi dietro un dito e sostenere l’inesistenza del problema”, invitando piuttosto seccamente il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ad agire, “recandosi direttamente nei luoghi coinvolti ed interloquire con i sindaci che stanno in prima linea”.

Non vorremmo avere ragione, con Sciascia, quando scriveva, per un volenteroso giornale del suo paese, Racalmuto, “Malgrado Tutto”: “L’immagine che si ha nei Promessi Sposi della Lombardia del Seicento somiglia moltissimo a quella che, fino ad oggi, possiamo avere della Sicilia. Ma nel Settecento la Lombardia è già diversa, non somiglia più alla Sicilia: non c’è più la Spagna, c’è l’Austria con le sue sagge riforme, la sua amministrazione efficiente e corretta.
Che cosa sarebbe stata la Lombardia se fosse passata dalla dominazione spagnola ai Borboni di Napoli e poi ai Savoia? Che cosa diremmo oggi dell’uomo lombardo?”.
Sciascia, sappiamo, ammoniva a tenere fissi “gli occhi della mente” sulla Storia: intesa come sintesi della dimensione umana della vita, individuale e associata, rifuggendo scorciatoie interpretative a base di mitologemi a tre un soldo.
Per questo, nella simbolica dialettica Lombardia/Sicilia, coglieva il terreno di insidie da scoprire e rimuovere. Nei due sensi.
Che cosa, dunque, più modestamente, dobbiamo dire di una Paura del Contagio, che sembra valere o non valere, a seconda di contingenze di bottega politica, o, peggio, di più durature faglie antropologico-geografiche?
Degli appelli, altrettanto disperati che ignorati, del Sindaco di Lampedusa che, ancora in queste ore, parla di “condizioni inumane”?
Della obliqua continuità dei Decreti-Sicurezza? Di una Paura che ne regge un’altra? Di un Governo e di una Maggioranza Nazionali che, per l’ineffabile bocca del predetto Presidente Conte malamente proclama: “Non possiamo tollerare che arrivano dei migranti addirittura positivi e vadino in giro liberamente”, e poi (rilievo socio-politico-grammaticale del congiuntivo a parte) pensi di poter montare la grancassa dell’atto siculo-fascista?
Probabilmente, non possiamo dire niente. Ci penserà la Storia. Molto presto. E non sarà per il meglio.