Ci sono vari modi per considerare la fresca notizia sul Processo Mediaset, notoriamente concluso nel Luglio 2013 con la condanna di Silvio Berlusconi per frode fiscale, cui seguí la dichiarazione di decadenza dalla qualità di senatore. Cioè, la notizia che il Collegio di Cassazione, rigettando il ricorso della difesa, rese irrevocabile quella condanna in qualità di “plotone di esecuzione”, secondo l’inequivoca immagine offerta dal dott. Amedeo Franco (da circa un anno deceduto): uno dei componenti del collegio, anzi, il relatore designato, in quanto specialista di reati tributari, le cui conversazioni/confessione (“la sentenza faceva schifo…”; “hanno fatto una porcheria…”) sono venute da qualche giorno ad appuntare anche questa medaglia sul petto della Magistratura italiana.
Scrivere “la Magistratura” e non “una parte”, quando si discute di abusi, ha una duplice ragione. Da un lato, tiene conto di un troppo autoindulgente paradigma, riecheggiante invero il poco lusinghiero “non c’ero, e se c’ero, dormivo”, dietro cui “i molti magistrati per bene” (sul piano personale, in linea generale, nulla da dire: perché la questione è funzionale ed istituzionale) rivendicano una comoda e spesso solo asserita alterità, rispetto alla cd Magistratura Militante: dai Consigli Giudiziari al CSM, i voti e i “contatti” implicano, per lo meno, una moltitudinaria accettazione di “regole” e “prassi”; senza contare che i consensi formali e diretti al dott. Davigo, e alla sua corrente, si contano nell’ordine delle varie migliaia. Dall’altro, scrivere “la” Magistratura, si deve a conseguenti ragioni di simmetria: giacché il martirologio che si legge in apertura di pagina sul sito del CSM presenta i nomi di pochi che si sacrificarono, come se rappresentassero meriti “di categoria”: e non scelte frequentemente vissute e sofferte contro “la categoria”; perciò, di fronte a quella che è solo triste propaganda, non resta che opporre il “correttivo metonimico”; dunque, per tutti: ubi commoda, ibi incommoda.
Del resto, nulla, meglio del caso di cui si discute conferma la “sistematicità” del male, e il suo carattere endemico.
Si può guardare alla Sentenza-Esposito (un altro dei “nomi d’arte” di questo capolavoro di civiltà, dal cognome del Presidente “giudicante”), quale Epilogo-Conforme-All’Esordio, di una “vicenda” giudiziaria tanto durevole, quanto violentemente illegalistica e velenosamente diseducativa. Avviata nel Novembre 1994, anche questo è noto, con il famigerato “invito a comparire”, notificato con tale urgenza da presentarsi nel pieno di una conferenza internazionale sulla corruzione, presieduta a Napoli proprio dal Presidente del Consiglio “invitato”: sí che l’effetto “scorno” fu conseguito in mondovisione (l’assoluzione definitiva, intervenuta nell’Ottobre 2001, ovviamente sarebbe risultata vana, rispetto al deliberato programma “degradante”).
Anche allora, il Corriere delle Sera celò dietro gli ambigui “doveri dello scoop” (cioè di un giornalismo “embedded”, tutto sensazione e spettacolo circense a fini di character assassination), il suo fiancheggiamento servizievole.
Oppure, si potrebbe considerare questa ennesima pisciatina sulla Costituzione, quale giusto corredo delle presenti cronache “palamaresche”, intessute di gozzoviglie spartitorie e associazionismo sovversivo, con cui “la” Magistratura si è mostrata per la piaga politico-incostituzionale che è: il focolaio più antico e immedicato di un imbarbarimento massificato e capillare. Tale per cui, quella prodezza “giudicante”, nell’affermare la frode dell’imputato, si è venuta risolvendo, invece, essa stessa in un raro compendio di ingiustizia; ma, ecco ciò che conta effettivamente, quale frutto di una strutturale, e non individuale, infedeltà istituzionale al superiore precetto dell’ “autonomia e indipendenza”.
Come che sia, ognuna di queste considerazioni basterebbe per augurare a questo sciagurato Paese la sua dissoluzione: indispensabile, prodromico passo, per la sua futura ma sempre impervia rigenerazione.
Sarebbe un “caso isolato”, che oltre 13.000 “passaggi contrattuali”, siano stati esaminati, per trovare che il maggiore contribuente italiano (o giù di lì) sarebbe stato autore di indebiti minori versamenti per circa 7 milioni di euro, e, così, di “una scientifica e sistematica evasione fiscale di portata eccezionale”? E che, letto il dispositivo, il giorno 26 Ottobre 2012, il Tribunale di Milano, dopo aver condannato l’imputato ad una pena maggiore persino di quella richiesta dai Pubblici Ministeri (uno dei quali, il dott. Fabio De Pasquale, di comprovato entusiasmo inquisitorio, sin dagli interrogatori di Gabriele Cagliari), si sia munito, seduta stante, di letti e strumenti da trincea, rimanendo chiuso per cinque giorni “in camera di consiglio”: così da mantenere alla decisione carattere “contestuale” rispetto alla motivazione, stesa con l’elmetto sulla toga, e letta “in udienza”, a perdifiato, nelle sue 90 pagine, e da lasciare alla difesa solo 15 giorni per l’Appello?
“Caso isolato”, che, pronunciata la conferma in grado d’Appello, il 28 Maggio 2013 furono depositate le motivazioni, e il 1^ Luglio gli atti erano già in Cassazione: in un sistema giudiziario in cui in un mese non si fa nemmeno in tempo a scrivere un decreto penale di condanna a 1000 Euro di multa?
“Caso isolato”, che il 9 Luglio 2013, il Corriere (rieccolo) esce con un editoriale di complicatissima fattura leguleia, ovviamente preso e mandato per la stampa direttamente dagli “Uffici interessati”; e che lo stesso giorno, intorno alle 14:00, la Corte di Cassazione fissi l’udienza per il giorno 30 luglio, innanzi alla “Sezione Feriale”, e non alla Terza Sezione competente, che aveva già statuito la legittimità delle operazioni contestate, nel gemello Processo cd Mediatrade?
“Caso isolato”, che la sentenza, emessa il giorno 1 Agosto, presentasse l’assai anomala sottoscrizione di tutti e cinque i componenti del Collegio, e che nonostante già a quella data fosse pertanto trapelato, quale causa di simile anomalia, il totale dissenso del relatore (il predetto dott. Franco: l’unico a saperne, in materia tributaria), tutti a fischiettare, giro-giro-tondo-la-Costituzione-più-bella-del-mondo?
“Caso isolato”, che, dopo una serie nutrita di rinvii, il procedimento disciplinare a carico del Presidente Esposito (peraltro, avviato solo per la vicenda laterale dell’intervista a Il Mattino, concessa sul caso deciso ma prima che venissero depositate le motivazioni “di legittimità”), sia stato chiuso da un’archiviazione conforme ad una serie di silenzi e reticenze sull’assenza di turbamenti nel giudizio di cassazione, tutti malamente sconfessati dalle attuali e documentate “conversazioni”?
“Caso isolato”, che il calcolo sui termini di “incombente” prescrizione fosse errato, poichè non il 1^ Agosto sarebbe maturata, ma tra il 17 e il 24 Settembre: così che la “pericolosa competenza” della III Sez. ne risultó letteralmente “scippata”?
“Caso isolato”, che il 10 Luglio, dunque, dopo la formale fissazione per il 30 di quel mese (fatta il giorno prima), il Primo Presidente della Suprema Corte del tempo, Giorgio Santacroce, a margine di un Plenum del CSM potesse affermare, constatata l’evidente compromissione della Difesa, che “nulla vieta” -alla Sez. Feriale- “di disporre un rinvio della discussione”? E, nonostante fosse impensabile che il più alto magistrato nelle funzioni in Italia avesse escluso a vanvera “l’incombente prescrizione”, tutto rimase com’era?
“Caso isolato”, che nel corso dello stesso Plenum, il Consigliere laico del PD, Prof. Glauco Giostra, avesse chiesto e ottenuto la lettura di una nota della Cassazione, attestante a) il calcolo della prescrizione, come autonomamente compiuto dalla Cassazione, e b) la fissazione dell’udienza, ad opera esclusiva della predetta Sez. Feriale: scomparendo però, “a verbale”, ogni pur precedentemente documentata “segnalazione” degli uffici milanesi?
È stata un’ampia “convergenza del molteplice”, per mimare uno slang caro a Vostro Onore: altro che “Caso Isolato”.
Ora, tutto questo non è “storia”, nel senso di un “chi ha avuto, ha avuto; chi ha dato, ha dato; scurdammuce ‘o passato” ecc.: che, già così, sarebbe un’esortazione immorale di suo; ma peggio, è una didattica della “furbata”, un compiacimento del “fottere” qualcuno ritenuto un Nemico (politico, religioso, razziale, poco importa: è sempre lo stesso metodo infame) in nome della “giustizia”, che comunica a chiunque, ma specialmente ai più giovani, una sozza idea di società: violenta, ipocrita, primitiva.
Non sono i social ad avere dato la parola a “legioni di imbecilli”, come facilisticamente è stato tramandato da Umberto Eco. È il ben più irresponsabile abuso del diritto, della giursidizione; è lo sbeffeggiare il principio di uguaglianza di fronte alla Legge, ad avere animato tristissime legioni: ma non solo di imbecilli. Soprattutto, di farabutti: sciamanti ormai ad ogni altezza (e bassezza) di espressione parlamentare, governativa, amministrativa, umana e sociale. Povera Italia.