Ora che, dopo tre anni e mezzo di regime, l’amministrazione Trump e il resto del Partito Repubblicano hanno finalmente lasciato cadere anche l’ultimo velo sulle proprie tendenze autoritarie e repressive, è opportuno chiedersi quale sarà l’occasione e in quale forma si presenterà il prossimo sopruso da perpetrare ai danni della nazione dopo quelli già messi in atto in ambito economico, giuridico, ambientale e sociale.
Considerate le circostanze, non ho dubbi che, al momento, gli occhi del presidente e dei suoi gerarchi siano tutti puntati sulle elezioni del prossimo novembre e, a questo proposito, mi piacerebbe lanciare un sondaggio informale tra i lettori invitandoli ad un pronostico; una previsione sul modo in cui la Casa Bianca e il Senato, tenteranno di boicottare, sabotare, sopprimere e manipolare i risultati delle prossime elezioni.
Che, almeno negli intenti dell’amministrazione, lo scenario che si prefigura all’orizzonte sia quello di una sorta di “golpe light” non credo che vi sia il minimo dubbio. Con una situazione economica in caduta libera, una pandemia che ha fatto centinaia di migliaia di vittime grazie alle lentezze e ai ritardi della politica trumpiana e la società americana scossa da nuovi tumulti razziali, il presidente e i suoi complici sanno che le loro poltrone iniziano a scottare, soprattutto ora che persino i vertici militari del paese si sentono in dovere di criticare pubblicamente l’operato della Casa Bianca e i suoi stessi ex collaboratori (conservatori…) ne rivelano pubblicamente l’abissale incompetenza.

Una delle cose che vanno riconosciute a questo presidente tuttavia è la sua fondamentale onestà, naturalmente non intesa nel senso classico del termine.
A dispetto delle sue nauseabonde iniziative politiche e della sua proverbiale tendenza a mentire continuamente su tutto e tutti, più che immorale Donald Trump è da considerare una persona fondamentalmente “amorale”. La turpitudine patologica della sua personalità lo rende incapace persino di nascondere i suoi misfatti (come nel caso delle pressioni sull’Ucraina per screditare Joe Biden) o di occultare i veri motivi che si celano dietro le sue decisioni politiche. In questo, come in molti altri casi, è lui stesso a rivelare, candidamente e pubblicamente, le sue nefandezze perché è totalmente incapace di percepirle come tali.
L’ultimo esempio a proposito, si è verificato di recente nel corso di un intervento del presidente sulle precauzioni da adottare durante le elezioni di novembre per proteggere votanti e addetti ai seggi dal pericolo di un riacutizzarsi della pandemia. In caso di una nuova diffusione del contagio in autunno infatti, i seggi elettorali potrebbero trasformarsi in pericolosi focolai di infezione soprattutto per gli scrutatori che tradizionalmente in America sono, per lo più, persone anziane.
Il rimedio più semplice per minimizzare i rischi è quello di votare per posta, un’opzione già disponibile in molti stati e che potrebbe essere estesa, con uno sforzo minimo, all’intero territorio nazionale.
Il problema è che questa soluzione, in quanto logica, etica ed efficace, ovviamente non piace ai repubblicani poiché, come messo in risalto senza alcun ritegno dal nostro schietto presidente, potrebbe aumentare l’affluenza alle urne e danneggiare così, le prospettive dei conservatori.

In un paese diverso, un aumento della partecipazione al voto sarebbe visto positivamente come il sintomo di una democrazia matura e responsabile. Ma questo è il mondo alla rovescia dell’America trumpiana dove le virtù sono considerate vizi e viceversa. Un mondo in cui da decenni ormai, il Partito Repubblicano, consapevole del fatto che i suoi successi elettorali sono inversamente proporzionali al numero dei votanti, è apertamente impegnato in una strategia di manipolazione e soppressione del voto su base etnica e sociale. Una strategia che si avvale di molteplici stratagemmi adottati a livello locale e nazionale (una panoramica in italiano è disponibile qui mentre, per chi preferisca maggiori dettagli in inglese, qui) sullo sfondo di un sistema che, grazie al collegio elettorale, già distorce di suo la rappresentatività da uno stato all’altro.

Sulla base di tutto ciò dunque, la mia personale previsione prende in considerazione un paio di scenari diversi.
Con i casi di Coronavirus già in aumento dopo le riaperture in atto in quasi tutti gli stati e il pericolo di una seconda, sostanziale ondata di infezioni in autunno, non c’è dubbio che la destra tenterà di utilizzare il pretesto della pandemia per influenzare a suo vantaggio l’esito elettorale e lo farà grazie ad una doppia strategia basata su uno spudorato dietrofront sulla gravità della crisi e sul sabotaggio del servizio postale.
Per chi non ne fosse al corrente, al momento le Poste americane si trovano sull’orlo della bancarotta finanziaria a causa di una folle legge attuata nel 2006 dal Congresso (c’è da chiederlo?…) a guida repubblicana e chiamata “Postal Accountability and Enhancement Act”. La legge obbliga le poste a metter da parte un fondo per pre-pagare i contributi sanitari dei suoi pensionati per un periodo di cinquant’anni! Un onere finanziario impensabile per qualsiasi impresa. Come se questo non bastasse, la stessa legge stabilisce un tetto massimo per le tariffe dei servizi di prima classe creando, in questo modo, le condizioni per un inevitabile crac finanziario. Grazie a questa scellerata iniziativa legislativa, le Poste americane sono passate da un attivo di bilancio di circa 900 milioni di dollari nel 2006 ad un passivo di 3,8 miliardi nel 2009.
Donald Trump ha già fatto sapere come la pensa in proposito dichiarando che “il servizio postale americano è una pagliacciata“, una frase significativa considerando che la sua sopravvivenza economica dipende da una sostanziale iniezione di capitale senza la quale potrebbe andare in bancarotta all’inizio dell’autunno. Giusto in tempo per le elezioni.
Scongiurato il pericolo del voto postale, i repubblicani con la complicità di corti statali compiacenti pronte ad assecondarli, non avrebbero alcuno scrupolo a sopprimere l’affluenza alle urne forzando gli elettori ad assumersi il rischio di recarsi di persona a votare spesso affrontando code di ore e ore proprio come avvenuto di recente in Wisconsin e Georgia con disastrose conseguenze sul numero dei contagi.

Un secondo scenario invece prevede un approccio più attivamente “putiniano”: conferire una parvenza di legittimità legale ai suoi soprusi neo-autoritari. Dopo il succitato sabotaggio del servizio postale infatti, Trump potrebbe decidere di rispolverare il Public Health Service Act, una legge del 1944 che consente al presidente di istituire una quarantena sul territorio nazionale per prevenire la trasmissione di malattie contagiose da uno stato all’altro e posticipare, a tempi per lui più favorevoli, le consultazioni.
A prescindere da quale situazione potrebbe materializzarsi a novembre, è chiaro che i due scenari che ho appena citato si basano entrambi su una centralizzazione da Washington della gestione crisi; un drastico e ipocrita voltafaccia rispetto alle posizioni prese finora dal momento che l’inverno scorso Trump e i repubblicani hanno fatto di tutto per sminuire la gravità del contagio e per spingere la riapertura degli esercizi commerciali scaricando sugli stati la responsabilità della risposta governativa.
Con l’opportunità di usare a proprio vantaggio un possibile riacutizzarsi della pandemia invece, l’amministrazione non esiterà un istante a dichiarare l’esatto contrario di quanto fatto finora consapevole che i suoi seguaci, intellettualmente incapaci di scorgere alcun paradosso, lo seguiranno ciecamente continuando ad applaudirlo con quell’ottusa obbedienza che, da sempre, caratterizza gli adepti di tutti gli autoritarismi susseguitisi nel corso della storia.