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June 5, 2020
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Via D’Amelio e quei giudici che non c’erano e se c’erano, dormivano

Per le non-indagini sulla strage di Via D’Amelio, “uno dei maggiori depistaggi della storia repubblicana”, chiesta l'archiviazione dei pm. Borsellino è servito

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Paolo Borsellino, l’uomo e quel mestiere “scottante” di giudice

Palermo, 19 luglio, 1992: Via d'Amelio a Palermo pochi minuti dopo l'esplosione che uccide Paolo Borsellino e la sua scorta

Time: 4 mins read

Va bene così. I Pubblici Ministeri potevano non sapere. Ce lo dice un altro Pubblico Ministero. E non se ne parli più.

Anche se le non-indagni sulla strage di Via D’Amelio costituiscono “uno dei maggiori depistaggi della storia repubblicana” (secondo la sentenza che ha concluso il Processo Borsellino quater), nè il Capo, nè i Sostituti della Procura di Caltanissetta del tempo, videro, seppero, vollero alcunché. Di ingiusto, di illecito, s’intende. Solo giustizia. Al più, qualche “anomalia”. Lo dice, anzi, lo scrive, la “Collega” Procura di Messina. Notizia fresca fresca. È tutto chiarito.

E che volete? Mica erano Ministri? O, generalmente, “politici”? Magistrati erano; addetti alla direzione e al coordinamento delle indagini con al centro il collaborante Scarantino; e chi ne sa niente, di una fonte di prova? Quale magistrato assegnatario delle indagini, può mai sapere nulla di una fonte di prova? Ma qui si vuole forse scherzare?

La Polizia, odorosa di “politica”: lei sí, che sa. Ma i magistrati, possono mai entrarci qualcosa, con un’indagine preliminare? Perciò: si archivi.

Che poi, a parte Fiammetta Borsellino, la quale, diciamocelo, pare che non voglia capire come si sta al mondo, con tutte le sue domande, a chi interessa, di suo padre Paolo, e dei giovani agenti fatti a pezzi? Sono cose vecchie.

Ancora, a cercare “verità”? 28 anni sono passati, Fiammetta: non lo capisci? Sicilia, Italia? Non tira più. Basta.

Peraltro, tutto quello che dovevano fruttare, le stragi, lo hanno fruttato.

Si deve distruggere un uomo? E che ci vuole? Abbiamo pure un Codice Antimafia. Basta la parola “mafia” e comincia il divertimento. Gli sequestrano tutto: due lire, se ha due lire, mille, se ne ha mille; non occorre nemmeno mandarlo in galera. Basta far sapere che il suo nome è “iscritto”, ed è già un paria. L’ebreo in un ripristinato III Reich. Nessuno lo guarda come un uomo; ma ciascuno è in diritto, anzi, “in dovere”, di scansarlo come un rognoso, un infetto. Perché, “è” un rognoso, un infetto. È “un iscritto”.

La P.A. lo esclude da ogni contatto. I vicini, i conoscenti, se non vogliono finire pure loro male, si girano dall’altra parte. Le banche? Non ne parliamo nemmeno. Già hanno ricevuto la notificazione dei sequestri, e chi si ci mette, a “distinguere”?

Qui si parla di “soldi”. E, se si parla di “soldi”, schiere di decenni, legioni di “pubblicazioni”, eserciti di “pensieri critici” e di “elaborazioni consapevoli”, si ergono a scovare il maligno Capitale, la sentina di ogni nequizia, il germe della “disuguaglianza”. Ci esercitiamo da un secolo, “noi”, con simili schifezze: hai voglia a “mascherarti”, sporco capitale, “noi” ti riconosceremo sempre.

falcone borsellino

L’Armata della Retorica Palingenetica, del “levati di qua, che mi ci metto io”, ha sostituito “ricco” (qualsiasi cosa s’intenda: anche un auto, due smart-phone e un appartamento incolore in comunione dei beni), con “mafioso”; e “l’accumulazione primitiva” col “denaro di provenienza illecita”.

Si vuole “difendere”, “il sudicio mercante/mafioso”? Faccia pure: sempre che facciano entrare il suo avvocato in Tribunale (con il Covid è richiesto il passaporto e il visto all’ingresso, a parte la play-legal-station, così carina da usare come narcotico collettivo verso l’ingombrante presenza della sofferenza in carne ed ossa), in ogni caso deve provare lui di “non essere”.

Non di non aver fatto, detto, agito; ma di “non essere mafioso”: giacché, ogni parola, azione, non valgono per sè, ma solo quale “sintomo” di uno status, di una “condizione”; anche se l’azione è lecita o, addirittura, evidentemente imposta, come il prezzo di un’estorsione, o la rata di un “prestito” usurario. Non importa. La “condizione” qualifica l’atto e, da bianco, lo rende nero. E la condizione si stabilisce “per contatto”.

Non è magnifico? Non è un sistema perfetto? E sapete perché? Perché “la mafia” ha fatto le stragi, e ognuno che sia “sospettato”, porta in sè tutto il carico di quell’abominio. Il “contatto rende complici”. Una moltitudine di “non possono non sapere” è posta, suo malgrado, ad alimentare un Apparato votato alla perennità, che si bea, lui solo e alla faccia vostra, della opposta “regola”: non potevano sapere. E chi lo smonta?

Ciascun buono a nulla, ciascun frustrato e parassita, ciascun imbecille che abbia imparato a memoria il suo piccolo Mein Kampf Antimafia, può aspirare ad ogni sorta di carriera, togato-dirigenziale, avvocatesco-ministeriale, giudiziario-narrativa, sceneggiatrice, fictional, prodiga di lubríco appagamento materiale e morale.

Può definire “società giusta” un sistema che non chiede mai scusa, che afferma immoralmente di non sbagliare mai; perché se rovina, “c’era il sospetto”, e se il sospetto risulterà farneticante o anche solo inconsistente, “c’è l’assoluzione, che vuole ancora?”; che pone “una regola” e la divide in due, come una mela; e di qua, staranno quelli della “metà sbagliata”, e di là, quelli della “metà giusta”. Che ha capito come fottere il prossimo alla grande: in nome della Legge.

Perciò, a chi interessa, sapere “la verità”, questa sopravvalutata? A cialtroni finiti a fare i petrolieri? A mestatori che per trent’anni, in prime time, hanno lanciato ogni specie di avventuriero togato? Che hanno chiesto a folle di fanatici se erano pubblicamente entusiaste di un omicidio? A saltafossi che hanno sputato sul cadavere di Falcone, “a futura memoria”, e poi passando il resto della vita ad illustrarsi del suo sangue, come fosse un cosmetico cannibalesco? Ai “fustigatori della casta”, 5000 Euro a pezzo, capaci di fare le pulci a tutto quello che sa “di politica”, fino al consigliere di quartiere, ma mai, mai, leggere la busta-paga di un magistrato (e non parliamo delle sue “progressioni in carriera”)?

Sulle “stragi” si sa tutto. Sappiamo anche che chi le ha fatte finire, incastrando i colpevoli, è stato messo sulla graticola, e ve lo hanno fatto rimanere senza sosta da oltre vent’anni, nonostante la catasta delle assoluzioni e delle archiviazioni ormai sia venuta raggiungendo altezze himalayane.

E si deve capire, insomma; il Generale Mori e i suoi collaboratori rischiavano di rompere l’Apparato/Giocattolo.

E come avrebbero fatto, allora, tutti quei “decenni”, di “pubblicazioni”, di “elaborazioni” condotte sin dai tempi della “partitocrazia”, a farsi mestiere, rendita, sopraffazione sistemica, culturale, istituzionale, politica? Come avrebbero fatto, a sostituire ai partiti democratici, il Partito Unico, immune dal “peccato del voto”, dalla turpitudine del consenso democratico? Come avrebbero fatto, poverini? È stata legittima difesa. D’altra parte, “la difesa è sempre legittima”, sappiamo.

E sappiamo anche che la menzogna rende forti: alla stessa maniera di come “il lavoro rende liberi”.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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