“L’idea che un governo possa cadere sulla prescrizione (materia da legulei, con tutto il rispetto) fa ridere i polli…” Michele Serra, in queste ore.
Nessuno stupore, francamente. Il disprezzo, nella posa ulteriormente negligèe del sarcasmo, del distacco supercilioso, specie verso quella cosa misteriosa e infìda che è la libertà (“borghese”, s’intende), è nelle corde vanesie e inconcludenti di certo parassitismo presente nel discorso pubblico: alimento di chiacchierini a gettone, di cui i poteri costituiti sono sempre stati contornati.
Tuttavia, costui si dice “uomo di sinistra”: e poiché la Sinistra costituisce una parte cospicua della vicenda storica e politica italiana, andrebbero svolte molte considerazioni: sul Novecento, sul Nuovo Millennio, su chi e cosa oggi sostiene, o concorre a sostenere, in solo apparente “moto dialettico”, il noto rigoglio illiberale, nazionalistico, autoritario.
Considerazioni, dunque, sul rapporto fra i Serra e i Salvini, mediante i Bonafede. Sulla fissità sclerotica con cui un tale tipo sociologico, un tale tipo di “uomo di sinistra”, maledice da sempre qualsiasi espressione di riformismo, di rottura di “sacri recinti”, fosse anche la più annacquata e la più incerta e tenue: magari nella rancorosa speranza che i “sacri recinti” si traducano in altrettante “recinzioni”, “reclusioni”: da Treves e Bissolati, a Saragat, a Craxi, a Renzi, persino. Tutti “nemici e traditori”, “socialfascisti” e altre similari, replicanti, e variamente ammodernate scempiaggini. Così che ogni malapianta antidemocratica, mancando ogni spazio di mediazione, di empirica ragionevolezza, possa avere tutti l’agio di farneticare e opprimere, di opprimere e farneticare.
Andrebbero svolte meste considerazioni sul metodico, profondo, disconoscimento della libertà individuale, come centro di una Costituzione scritta, dal ‘46 al ’48, volgendo le spalle ad una Dittatura: che proprio sulla negazione di quella centralità si era eretta e imposta. E che mise le carte in tavola nei suoi primi 28 articoli: “Principi Fondamentali”, e, a ruota, “Rapporti Civili”, il cui esordio, all’art. 13, è sulla “libertà personale”. Disposizione (va pur notato) per nulla casuale, casomai fosse sfuggito.
Si potrebbe ricordare la funzione di grimaldello, che la negazione della libertà individuale assolve metodologicamente nella negazione della libertà politica:
Salvemini: “Le istituzioni che hanno origine dalla dottrina liberale, non sono qualcosa di divisibile…Quindi, istituti rappresentativi, libertà politiche, diritti personali, formano una catena i cui anelli sono inseparabilmente legati insieme” (Le Origini del fascismo in Italia, Lezioni di Harvard)
Si potrebbe ricordare che ogni altra manifestazione di oppressione è poca cosa, al cospetto del “nucleo duro” costituito dalla persecuzione della “persona”, dell’uomo: e che quando una Tirannìa vuol fare sul serio, è lì che batte:
Nicola Chiaromonte: “Che cos’è il fascismo? ho domandato un giorno a un contadino della Mancha: E’ una cosa per quelli che alla libertà non ci tengono” (Fascismo e Antifascismo, ne Il Tarlo della Coscienza).
Si potrebbe rilevare che mettersi agli ordini delle menzogne travagliesche su “difesa dei ricchi”, con il 60% delle prescrizioni maturate durante le indagini preliminari (quando, cioè, ricchi o poveri, gli accusati non possono fare un bel nulla), che sono, guarda un po’, menzogne complementari a quelle sul “taglio dei parlamentari” (“le istituzioni rappresentative”), è un’impostura reazionaria: volta, com’è, a nutrire una paura irrazionale di una qualche incombente e invisibile “presenza maligna”, e a giustificare, sempre e comunque, “Le Ragioni dell’Autorità”, tutta protesa a scovarla.
Né, di fronte a tanto pensiero (a tanto poco, in effetti) sarebbero accettabili scorciatoie o esorcismi, fondati su riduzioni fisiologico-intellettive; ancora Salvemini: “…i cervelli dei marxisti di stretta osservanza sono come le uova sode: più bollono, più diventano dure”. Sarebbe divertente per un attimo, forse anche per i polli di Serra: ma, a misura di uomo, troppo comodo, e troppo facile, anche.
Si potrebbero svolgere queste e altre considerazioni. Ma forse risulterebbe impegno eccessivamente gravoso, per un cultore della battutina a culo di gallina, della idiozia rapsodica, della passione democratica sale e pepe.
Accontentiamoci, allora, di una sintesi, traendo da tale “uomo di sinistra” solo quello che si può trarre, cioè, uno spunto: perché se fosse a sua misura, la questione, si risolverebbe nel patetico-grottesco: ed è invece questione impietosamente tragica.
La sintesi è quella compiuta da Victor Smirnov: “Il comunismo è un fascismo estremista. Il fascismo è un comunismo moderato”. In mezzo, anche al prezzo indicibile della “caduta” di un Governo Conte II, la libertà.