“Simili eccessi comunicativi traggono spesso origine dal desiderio di acquisire titoli utili per fare carriera”.
Lo ha scritto un paio di giorni fa, l’ex Procuratore di Milano e di Torino (e molto altro), Armando Spataro.
Quali potessero essere gli “eccessi comunicativi” a cui si riferiva, è agevole intenderlo, solo che si guardi alla recente cronaca: l’operazione “Rinascita-Scott”, ideata e diretta dal Procuratore di Catanzaro, dott. Nicola Gratteri, e da Egli presentata come “il più grande blitz dopo maxi processo di Palermo”.
D’altra parte, Spataro ha detto espressamente: “Non è apprezzabile la pratica di certe teatrali conferenze stampa”, in cui “alcuni pubblici ministeri…sognano di rivoltare le regioni in cui operano”. Sicché, considerato il clamoroso riferimento di Gratteri proprio a questa immagine, non c’è rischio di equivoco.
Si può inoltre supporre l’abbia soprattutto colpito il risentito disappunto, manifestato dallo stesso Procuratore di Catanzaro, verso l’insieme dei media nazionali, per la ritenuta assenza di un’adeguata risonanza alla suddetta operazione. In un tweet, infatti, Gratteri ha scritto: “I giornali nazionali hanno boicottato la notizia”, articolando quindi una precisa e nominativa disamina delle scelte editoriali, e di quale fosse la collocazione della notizia fra le pagine, rilevando anche come non fosse stata riproposta nei giorni successivi.
L’eccesso è nell’effetto, certamente; e una così vigorosa censura a quelle che dovrebbero essere considerate scelte di una stampa libera, ad opera di un potente soggetto istituzionale, dovrebbe indurre più di una perplessità, fra gli assertori di equilibri democratici e tradizioni liberali. Ma gli assertori delle libertà, spesso lo sono retoricamente, se non falsamente. Storia vecchia. Pertanto, nessuno stupore che, nei social come pour case anche sui giornali (Il Fatto Quotidiano ha rilanciato questa pretesa carenza ) sia stato diffusamente sostenuto il singolare assunto del dott. Gratteri.
Tuttavia, prima ancora che nell’effetto, l’eccesso è stato ed è nel presupposto, diciamo pure nella causa: cioè, nella “lettura” socio-storica della vicenda italiana, che si completa e mette capo ad una “struttura”, normativa, istituzionale. E ad un assiduo, e assiduamente propagandato, “bisogno di penale”, che la peccaminosa società italiana senz’altro giustificherebbe. Corruzione, Mafia, Evasione, il Cerbero contemporaneo.
Spataro critica l’effetto, ma tace sul presupposto: il Sistema Antimafia, dove la parola “mafia”, in realtà si è tramutata in una interpretazione sacralizzata, sempre più eterea e immateriale, di qualsiasi “prodromo peccaminoso di vita”, individuale o comunitaria. E sugli strumenti probatori (intercettazioni, collaborazioni), collaterali (misure di prevenzione), ordinamentali (carriere uniche, di cui Egli è strenuo assertore), clanico-associativi (il granitico condizionamento dell’Inquirente sul Giudicante, nel Who Is Who togato), che lo animano e lo innervano.
Vale a dire, critica la veste, il portamento personale di Gratteri, non il fondamento istituzionale del suo potere: quasi fosse questione di bon ton, e quasi che le “carriere” dipendessero da una tribuna, e non invece la tribuna da quanti, collettivamente, associativamente, una certa carriera incarnano.
E quasi che simile evocazione millenaristico-pedagogica fosse una screziatura sull’epidermide della Repubblica, e non invece un bubbone, profondamente politico, culturale, costituzionale, affiorato, dalle nascoste e durature profondità di quel presupposto, al piano dell’effetto, più o meno effimero o vistoso. E lungamente, tenacemente, sostenuta da un ampio tribunato togato (questo sì, complesso inscindibile dalle sue parti, ma con la seconda prevalente sulla prima) di cui il dott. Spataro non è stato certo minima parte (ormai assurti a dignità antologica i suoi duelli con Cossiga, quando l’uno era Presidente della Repubblica, e l’altro Sostituto Procuratore).
Nè, dato che certe intenzioni si dice di voler criticare, possiamo sottacere o scordare quelli che sognarono, infine riuscendovi, di “rivoltare” non semplicemente “le regioni in cui operano”, ma l’Italia intera: e non come un Lego, ma come un calzino: che, probabilmente, è metafora di persino più inarrestabile dominio e di più radicale attitudine manipolatoria. Senza suscitare critiche di sorta.
Dunque, si è criticato ciò che, in un’interpretazione effimera, può essere ritenuto a carico del solo Gratteri; non ció che riguarda, per lo meno, l’intero Sistema delle Procure Distrettuali Antimafia, se non l’intero Ordine Giudiziario. La “carriera” di uno, non “le carriere” di molti.
Perciò, il punto qui è, davvero, un altro. Ed è che su dieci pronti a sbandierare il loro dissenso da Gratteri, nove (compreso il dott. Spataro) sono simultaneamente convinti assertori (e torna) della “riduzione penalistica della Repubblica”, della sua vicenda sociale, culturale, storica e politica. E della Difesa in giudizio come fastidio, come obliquo excamotage, che fra pochi giorni sarà formalmente (e, così, finalmente) abrogato.
“Adesso è assolutamente necessario che il Parlamento approvi una legge che interrompa il decorso della prescrizione almeno dopo la sentenza di primo grado, anche se sarebbe meglio che ciò avvenisse dopo il rinvio a giudizio“, affermava il dott. Spataro nel Febbraio 2016. Ma già all’inizio del 2000, contribuiva (con uno scritto sulla ineludibilità delle collaborazioni di giustizia) ad un numero speciale di Micromega, “Dei delitti e delle Pene”, in cui, in altra sezione (“Giustizia e Prescrizione”), figuravano ben cinque robusti articoli intesi al “superamento” della prescrizione, di altrettanti suoi autorevoli Colleghi (Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, Marcello Maddalena, Mario Almerighi, Giovanni Tamburino). Gratteri, però, non c’era.
Criticarne uno, per favorirne cento. Ecco il punto.