
Il sottotesto della vicenda del sottosegretario Armando Siri, neanche troppo riposto o criptico, è una risposta alla domanda: “Chi comanda?”. Risposta facile, verrebbe da dire: ma anche le verità più risapute, ogni tanto hanno necessità di essere riaffermate, ripassate, riproposte.
Chi comanda in Italia, e chi comanda in un senso essenziale, sfrondato da ogni scoria, da ogni accessorio: questi, forse, solo utili ad alimentare il sottofondo della “doxa”, dell’opinione tutta tweet e e “pezzi a caldo”, e dell’editoria collaterale.
Da quando c’è il Governo Lega-M5S, infatti, è potuto sembrare che La Regola Fondamentale, per cui la vita politica nasce o muore per la decisiva azione del cd “Controllo di Legalità”, che olimpicamente eleva o abbatte questo o quel suo primario (?) interprete, fosse venuta meno; e che, d’improvviso, l’agire politico avesse riacquisito una sua autonomia, un qual ritrovato vigore. Illusione tapina o speranza maldestra: comunque, è stato uno sguardo finito fuori campo.
Per orientarci, o riorientarci, sarà bene, intanto, ricordare, che dalla nostra presente “Marcia su Roma”, vale a dire il 17 Febbraio 1992, l’arresto di Mario Chiesa, e l’avvio dell’Era Mani Pulite (giunta al suo XXVII Anno), secondo Costituzione Formale, si sono succedute otto Legislature e sedici Governi, compresi i presenti.
Ma, secondo Costituzione Materiale, nessuna Legislatura è stata anticipatamente sciolta o, quando scaduta naturalmente, nessun passaggio alla successiva si è svolto, senza che il loro reale contenuto fosse ridotto al “rilievo penale”, attuale o potenziale, di una qualche condotta, riferita ad un qualche più o meno effimero candidato alla rappresentanza politica.
Quanto ai singoli Governi, l’impegno mnemonico per l’osservatore è unicamente quello di scegliere quale Procura della Repubblica, fra Milano o Palermo, Roma o Napoli, abbia, volta a volta, fatto “il lavoro di squadra”: e si tace, per brevità, delle “minori”, che se non delle persone, si sono “occupate” dei “temi”: dal “Big-Pharma” al “Rating Finanziario” alla “Società Imperialista degli Oleodotti” o a quella “dei Tumori”, sostenendone una “implementazione investigativa” consentanea alle più correnti “pedagogie politiche di massa”.
La Magistratura come Tutore della Repubblica, nella presente Era, ha assunto varie epigrafi: ma tutte programmaticamente incarnate nell’Indagine-a-prescindere-dal-Processo, nella conseguente Difesa-a-babbo-morto, nell’obliqua duplicazione terminologica di “effetti penali” ed “effetti extrapenali”, con cui si maschera l’azione giudiziaria mentre si fa deliberatamente politica.
Ora, nonostante tale pacifica condizione di menomata libertà democratica, in questo ultimo anno è stata creata un’illusione ottica. Quasi che ci fosse stata una spontanea dimissione da ogni “supplenza”, da ogni funzione di “orientamento culturale”, costantemente rivendicate e cementate, nel loro preteso valore morale ed istituzionale.
D’altra parte, oggi gli Avvocati Italiani possono licenziare un Direttore del giornale di cui sono editori, perchè ostile al Governo in carica. Perciò, un minimo di confusione, indubbiamente, si è venuta creando.
Essa è dipesa dalla circostanza che la sottomissione della Libertà Personale ad uno Scopo Fondamentale, scolpito dalla ridetta Superiore Coscienza Tutoria, e fin qui consumata in forme strettamente giudiziarie, ha conosciuto uno spin-off: il Ministro di Polizia Salvini.
La derivazione, e la dipendenza giudiziaria, in termini sottoculturali, “narrativi” e persino programmatici, del Soggetto Politico M5S/Fatto Quotidiano, è così geneticamente perfetta, che sarebbe offensivo per l’intelligenza di chi legge soffermarvisi: anche solo rapsodicamente.
Ma Salvini richiede due parole di precisazione.
Useremo un semplice paragone.
Quando il Tribunale di Ministri di Catania ha posto la questione del suo rinvio a giudizio per la gestione della “Diciotti” (e indipendentemente dalla condivisibilità o meno del titolo di reato ipotizzato: sequestro di persona; quello che conta, è che ce ne potesse essere uno, per es. Abuso d’Ufficio, consumato attraverso l’indebita compressione della Libertà Personale), aveva esattamente rilevato il “punto di congiunzione”, fra questi “concorrenti” modi di sottomissione programmatica, e “politica”, della Libertà Personale.
E lo aveva fatto assumendo il ruolo della “stecca nel coro”, non della voce nel coro (sia la Procura di Palermo che quella di Catania, invece, hanno variamente ritenuto di “non agire”; analogamente, la rateizzazione pluridecennale della restituzione dei 49 milioni di euro non dovuti, ammessa dalla Procura di Genova, si è risolta in una “dissolvenza esecutivo-sanzionatoria”).
Allora, si era affermato che “il preminente interesse pubblico” non potesse coincidere con una strumentale e non strettamente necessaria limitazione della Libertà Personale: e, quando questo risultato fosse perseguito quale diretta espressione di una decisione politica, si doveva, appunto, porre la questione della collisione fra legittimità dell’azione politica, e il carattere fondamentale della Libertà Personale: paradigma di valutazione incompatibile con ogni impropria “Prevalenza d’Apparato” (nè, in alcun modo, si dovrebbe sottovalutare la circostanza che si sia trattato di un Collegio decidente, e non di un singolo inquirente; come pure che non abbia notificato un avviso-ciclostile, ma un ampio e motivato provvedimento).
Questa “Emulazione Metodologica” del “nuovo” Ministro di Polizia, rispetto al “vecchio” Tutore della Repubblica, ha potuto provocare l’apparente percezione che ci sia stato un ritorno di “autonomia della politica”. “Io lo posso fare, perchè mi votano”. Ma è proprio il “comune linguaggio” sulla Libertà Personale, proprio quell’identico “lo posso fare”, che svela l’arcano.
Infatti, il M5S, che pareva aver “salvato” Salvini in nome della “autonomia della politica”, ha invece legittimato quel “comune linguaggio”, volto ad umiliare il Bene Fondamentale, la Libertà Personale, e a negare la Libertà Politica: che solo sulla rigorosissima preservazione della prima si può fondare. E oggi, nella sua indiscussa qualità di Servo Fedele, nel restituire all’Indagine-a-prescindere-dal-Processo la sua antica (ma mai accantonata) centralità, non ha fatto altro che ribadire il linguaggio, e l’inattingibile forza del suo “Titolare”.
Salvini e la Lega, non solo non hanno interrotto quel predominio: ma lo hanno, se possibile, ulteriormente consolidato, animando questo Governo-Fanteria, e rilanciando la “grammatica” di “chi comanda”.
S’intende che, sotto, sempre più sotto, restiamo solo noi.
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