Cominciamo, se possibile, col riordinare le idee: sul provvedimento con cui il Tribunale dei Ministri di Catania, in relazione alla nota vicenda “Diciotti” ha chiesto, tramite la locale Procura della Repubblica, che si proceda contro il Ministro Salvini, per sequestro di persona pluriaggravato.
Intanto, non parliamo di persecuzione, o “accanimento” e simili. Basterà un rapidissimo paragone.
Ve lo immaginate, il “Pool Mani Pulite”, quello degli “scheletri nell’armadio” e dell’invito “a non candidarsi”, che archivia un procedimento a carico di Berlusconi e, con unilaterale raccomandata, afferma il carattere “politico” di un atto amministrativo? (qui, la decisione di bloccare lo sbarco dalla nave “Diciotti”); rinunciando, così, a sottoporlo allo “scrutinio giudiziario”?
Ve lo immaginate, per dire, uno qualsiasi dei vari Superprocuratori d’annata che, dopo aver riconosciuto l’incompetenza territoriale del suo Ufficio, nel giro di un paio di mesi, si fosse ritrovato, con un qualsivoglia “illustre indagato”, in civile e mondano convivio, addirittura intestato al “garantismo”?
Nessuna contesa per l’illustre indagato; non una preda ambita (ricordate cosa accadde, con “lo scippo” del Processo al Generale Cerciello? Da Milano a Brescia, parve il Ratto di Elena); ma un fascicolo come un altro, da cui sgombrare la scrivania (e ancora, per completezza: la “guerra” Milano-Roma, per la “cattura” di Squillante-Previti, e il Bar Mandara e via rivendicando “giustizia fuori del territorio” perché c’era “una rivoluzione da fare”, per caso, ce le siamo scordate?)
Ve li immaginate i 500 milioni che Mediaset, per “perdita di chanches”, dovette scucire pronto cassa, invece versate in comode rate cinquantennali?
Ve la immaginate, l’ANM del bel tempo antico, che, udite le parole: “Voglio vedere se si può processare un ministro perché fa quello che deve”, con cui Salvini ha accompagnato il suo “Processatemi”, copie della Costituzione alla mano, non avesse impugnato la “Democrazia minacciata”, paventato “la deriva autoritaria”, stringendosi a coorte, pronta alla morte, perché l’Italia chiamò?
E che, invece, si fosse limitata, come ha fatto oggi, ad un comunicato-minuetto, in cui le parole del Ministro fossero qualificate come “irrispettose verso i colleghi, nei toni di derisione utilizzati e nei contenuti”, tuttavia, seguite da un paludato “auspichiamo un corretto rapporto tra le istituzioni, cui devono concorrere tutti, in primo luogo i membri del Governo“?
Ve lo immaginate, il Fatto Quotidiano, che solfeggia in terza pagina, anziché dare di trombone e grancassa, al cospetto di “Sua santità l’Imputazione”?
Perciò, non è proprio aria di “ giudici alla carica”. Non diciamo fesserie.
La Magistratura, nel suo complesso, è troppo politicamente navigata per non saper agire su più terreni in simultanea. Accusa, e ammette i ratei. Rispetta la competenza e non esclude l’amabile conversazione. Vede che Salvini è “l’uomo nuovo”. Per lo più, non dispiace la sua “Certezza della Pena”, né la rivendicata violenza ministerial-istituzionale, con il corredo di “Spazzacorotti” e annesso plauso al Governo-Lega-5S, per i “segnali positivi che vanno nella direzione che avevamo auspicato”.
Tutte posizioni politiche che insieme costituiscono pegno sufficientemente univoco, e sufficientemente affidabile, per la “direzione politica” di Vostro Onore.
Tanto da potersi inscenare persino laterali ed effimere “critiche” per i travestimenti ministeriali in divisa.
Chiarito che, rispetto alla “Rivoluzione Italiana”, ai processi “Politico-mafiosi” (così ci capiamo), quanto a “guerra politica-magistratura”, siamo su un altro pianeta, veniamo, brevemente, al provvedimento del Tribunale.
E’ un provvedimento scritto e pensato secondo diritto. E non secondo chiacchiera: per intenderci, secondo il “non poteva non sapere”, o l’ “oggettivo rafforzamento dell’associazione”, e simili preclari esempi di pernicioso abusivismo giuridico.
L’unico punto discutibile riguarda il titolo di reato; sommessamente, si potrebbe trattare di abuso d’ufficio, con il “danno ingiusto” consistente nell’avere impedito ai naufraghi di fruire tempestivamente della “procedura”, cioè dello sbarco e delle connesse attività di sostegno e ricovero, più che di sequestro di persona.
Perché il Tribunale deduce la prova della “costrizione” dal disagio psico-fisico, per un verso; ma la costrizione può darsi anche in presenza di una compiuta integrità psico-fisica, e, perciò, traduce un argomento di prova (nemmeno una prova), in elemento della tipicità (il “cosa” è un sequestro di persona); e perché deduce la specifica qualificazione di sequestro di persona, anche dall’esposto del Garante Nazionale dei detenuti: secondo cui la condizione dei passeggeri della “Diciotti” era “equiparabile” a quella dei reclusi in un carcere; che è, ci pare, un voler intendere quel giudizio-parere, pur molto autorevole, come fosse un accertamento in fatto: che non è.
Ma, detto questo, il Tribunale scrive tutto quello che va scritto. E compiutamente argomenta che il Ministro Salvini si è condotto in termini gravemente illegittimi. Se il titolo sia uno, o possa essere un altro, francamente, per la valutazione dell’osservatore, è questione secondaria.
Se Salvini, già dalla notte fra il 16 e il 17 Agosto 2018, una volta che il Dipartimento per le Libertà Civili e le Immigrazioni, organico al Ministero dell’Interno, ricevette la richiesta di POS (Place of security), vale a dire, di assegnare un “luogo sicuro” per la “Diciotti”, invece impedì che vi si desse corso (e lo attestano i Prefetti Gerarda Maria Pantalone, Capo del Dipartimento, e Bruno Corda, suo Vice), seguitando a bloccare la procedura tramite il suo Capo di Gabinetto, Prefetto Matteo Piantedosi (che pure conferma la circostanza), dov’è la questione di liceità giuridica?
Se l’obbligo di soccorrere e condurre in porto i naufraghi, sussiste anche se il naufragio ha luogo in altra area SAR, una volta che sia stato preso un “primo contatto”; e che, per l’effetto, una motonave italiana fu designata dal Comando Operativo della Capitaneria di porto “Coordinatrice SAR” (due, in realtà: prima la “CP 324”, una delle navi soccorritrici e poi la “Diciotti” dopo il trasbordo dei naufraghi), dov’è la questione di liceità giuridica?.
Se, per “luogo sicuro”, non può intendersi una nave, eccettuato il tempo strettamente necessario ad intraprendere “soluzioni alternative” (paragrafo 6.13 della Risoluzione MSC –Comitato Marittimo per la Sicurezza- 167-78), poiché lo scopo ultimo dell’approdo a “luogo sicuro”, non è un generico e temporaneo approntamento verso le “necessità umane primarie”, ma la compiuta e definitiva conclusione delle “operazioni di soccorso”, dov’è la questione di liceità giuridica?
C’è, allora, di diritto in diritto, un’aggressione di un potere ad un altro? Nemmeno questo, a ben vedere.
Il Tribunale qualifica l’indicazione (omessa) del POS (Place of security), come atto amministrativo, e non politico: e lo fa, perché questo è il quadro normativo, nazionale ed internazionale; ed essendo, semmai, solo la “ragione politica” dell’atto amministrativo, sottratta al sindacato del Tribunale, e rimessa al giudizio del Parlamento. Che significa?
Significa che una condotta illecita può venire “giustificata” in sede politica, considerando prevalenti il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”. Come si vede, formula ampia. E che potrà essere riproposta anche in sede processuale. Implicante, però, un’assunzione di responsabilità politica.
Sembra anzi di cogliere quasi un auspicio, in questo senso, a leggere fra le righe del Tribunale.
Ma, nonostante questo, si è voluto riaffermare, ed è quello che più conta per le valutazioni di ogni uomo libero, che il discrimine, fra atto amministrativo e atto politico, è posto e risiede nella libertà personale: bene di rango fondamentale, immediatamente inciso, nel caso di specie, dalle reiterate decisioni “impeditive” di Salvini.
Ed è proprio questa recisa affermazione, a munire di valore giuridico e civile il provvedimento del Tribunale.
Insomma, se noi abbiano un Ministro dell’Interno in carica che ha mimato “Il Pubblico Ministero che va al sodo”, tutto “tutela della comunità e mezzi che giustificano lo scopo”, e che (considerando l’essenza della faccenda: l’uomo) fa venire in mente le parole di Gabriele Cagliari: “siamo come cani in un canile”, buoni per ogni sorta di “esercitazione”, utile solo a mostrare “che uno è più bravo dell’altro”, non c’è molto altro da aggiungere, su “Salvini imputato”.
Giacché, una volta ridotta la dignità della persona a mero strumento per assecondare fini impropri, “la trattativa a muso duro in sede UE” (ma col muso degli altri), a stare al diritto, l’autonomia della politica cessa.
Siamo, cioè, in una condizione opposta a quelle “storiche”: allora, il potere giudiziario impose un predominio eversivo in danno della “politica”, facendo strame della libertà personale; ora, il potere politico fa strame della libertà personale, per imporre una condotta autoritaria, ed è una “voce giudiziaria” a reclamare.
D’altra parte, quanto poco lo stesso Salvini e, con lui, il Governo, stimi un “torto” la prospettiva processuale, risulta in modo fin troppo evidente dalla posizione assunta dagli interessati. Di Maio ha fatto trapelare che il M5S voterà l’autorizzazione a procedere; e Salvini afferma, perentorio: “Processatemi”.
Ne sarà in ogni caso (autorizzazione negata, o Processo, saranno entrambi comizi di successo) irrobustita la forza politica di Salvini.
Ma nessuna scappatoia sarà esperibile. Nell’uno come nell’altro caso, la bussola è, e rimarrà, la persona umana; nella sua irriducibile dignità di “luogo fondamentale” della comunità civile.
E ci si dovrà dividere, come sempre, fra chi la libertà la prende per mano, e chi la prende calci. Tutta qui, la storia.