Ma che bella notizia: il nostro caro vice presidente del Consiglio e ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro Luigi Di Maio ha fatto il muratore! Finalmente sappiamo che anche Giggino è stato un lavoratore. Non si capisce come finora non l’avesse dichiarato, preferendo farsi accusare di non aver mai lavorato in vita sua. Per modestia o per vergogna? Gli sarà sembrato più chic dichiarare di aver fatto lo steward allo stadio. Poi si scrisse che in verità faceva il venditore di merendine; questo peraltro era un lavoro saltuario, un modo per arrotondare. Quindi il caro Di Maio la mattina si spaccava la schiena come manovale dell’impresa paterna e il pomeriggio andava pure sulle scalinate dello stadio a spaccarsi le gambe per arrivare a fine mese. Che bravo, encomiabile! Esempio più unico che raro. Eppure tutti a dargli addosso, a dire che era un fannullone. Ora scopriamo che era piuttosto un bamboccione. Per carità, non per colpa sua, ma del padre Antonio che l’ha cresciuto nella bambagia.
Il bamboccione in questione si iscrisse ad ingegneria, che abbandonò, poi a giurisprudenza, che abbandonò, infine ottenne un tessera di giornalista pubblicista, che non si nega a nessuno. Tanto scrivono cani e porci, anche senza tessera. La quale ti permette di sfoggiare il titolo di “giornalista”: basta trovare un giornale o un ufficio stampa compiacenti che attestino che hai scritto tot articoli in due anni a pagamento. E chi avrà pagato chi? Dubbio malizioso. Purtroppo le opere di Di Maio sono andate perdute perché la prestigiosa testata campana, laprovinciaonline.info, per cui scriveva non le ha conservate. Sigh! Stranamente non c’è traccia dei suoi articoli sul web. Giggino non passerà alla storia come un Hemingway nostrano ma nemmeno come statista, se continua così. Passerà alla storia come un imbroglione, vestito e calzato. Che ha fatto ogni lavoro per finta: senza studiare e sudare.
Nel 2010 il sedicente giornalista si è dato alla politica e ha lavorato sodo sino a che è arrivato alle stelle. Certo aveva strillato che doveva essere il presidente del Consiglio, forte degli 11 milioni di voti ottenuti, ma alla fine si è accontentato. Peccato che non gli sia stato dato credito: a quest’ora sarebbe già nel fango, vista la sua impreparazione. Invece eccoci qua a cercare di tirarlo fuori dalle sabbie mobili ovvero farle diventare immobili, cercando di insabbiare tutto, meno lui. Perché se anche le colpe dei padri non ricadono sui figli, quando uno da muratore edile del padre diventa socio della sua azienda per meriti acquisiti sul campo, dovrebbe prendersi le responsabilità del ruolo che assume e sapere a cosa va incontro. Qualsiasi commercialista, che siamo tutti obbligati a prezzolare, ti avvisa dei rischi. Quindi l’uomo era avvisato e mezzo salvato. Non poteva non sapere. Eppure non ha resistito ad essere al contempo giornalista ed imprenditore ed ha accettato il dono dei genitori dell’azienda di famiglia Ardima s.r.l., società a responsabilità limitata. Forse pensava che il termine significasse: posso farla franca. Come del resto l’aveva fatta il padre finora, assumendo lavoratori in nero e costruendo nei propri terreni senza permessi edilizi.
Vorremmo poi sapere perché mamma Paolina, professoressa di italiano e latino, si sia accollata l’incarico di amministratore delegato dell’impresa. Perché la responsabilità amministrativa non è rimasta a capo del padre? Si intesta l’attività alla moglie quando si ha problemi con il fisco o con la giustizia o comunque si deve nascondere qualcosa. La signora era laureata, eppure non sapeva né che sarebbe stata responsabile giuridicamente dell’azienda, condotta dal marito come gli pareva, né che non poteva ricoprire il ruolo di amministratore delegato essendo una dipendente pubblica. Del resto se non ha saputo nemmeno insegnare a parlare al figlio in modo corretto, c’è da chiedersi quale sia la sua preparazione professionale.
Cinque anni fa in Germania si dimise il ministro dell’Istruzione accusato di aver copiato la tesi di laurea. Questo a Di Maio non accadrà, perché ha la faccia come il c…o. Di Maio potrebbe trovare con agio un posto come scribacchino in qualche giornale italiano, basta essere bravi nel virtuale: smanettare nel web, copiare e poi incollare come fosse farina del proprio sacco. E lui è un asso a fare il mano-vale e a saperla raccontare, già parla come un web stampato. Gli consigliamo di non tagliare i fondi all’editoria come ha paventato, anzi diventarne il paladino, ché domani qualche editore gliene renderà merito.