Le previsioni si sono realizzate: il Senato è rimasto in mano ai Repubblicani di Donald Trump, che però hanno perso la Camera dei Rappresentanti, conquistata dai Democratici. Vittoria parziale per questi ultimi, in qualche modo annunciata, non sufficiente, però, per parlare di quella “onda blu” che qualcuno prefigurava nelle scorse ore. È vero: i Democratici hanno ripreso molti distretti considerati “toss up”, fondamentali per il controllo della Camera, ma il Senato resta saldamente nelle mani del Presidente degli Stati Uniti che, in questo modo, potrà probabilmente pararsi dallo spettro dell’impeachment. Dal canto suo, intorno alle 11.30 pm Trump twitta un primo commento a caldo, parlando di “enorme successo”.
Tremendous success tonight. Thank you to all!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) November 7, 2018
Nancy Pelosi, simbolo della “vecchia guardia” dem e probabilmente prossima ad essere rieletta a speaker della Camera, commenta invece così la vittoria alla Camera: «Grazie a voi elettori, domani sarà un nuovo giorno in America».
Da rilevare come il voto popolare per la Camera premi ad ampio margine i Democratici: secondo le proiezioni del New York Times, siamo intorno all’8%. Un risultato importante, che rafforza indubbiamente i dem ma non indebolisce più di tanto il Commander-in-Chief: non solo perché è accaduto a quasi tutti i Presidenti di perdersi per strada il ramo più popoloso del Congresso, ma anche perché, dalla perdita della Camera, potrebbe ricavare qualche vantaggio: a tale situazione, potrà infatti addossare la responsabilità degli eventuali prossimi insuccessi.
I Repubblicani si aggiudicano però le due competizioni più significative: dopo un estenuante testa a testa, che ha fatto a lungo ben sperare i Democratici, in Texas viene confermato il senatore Ted Cruz – ex “nemico” di Trump alle primarie e ora bonariamente sostenuto dal Presidente – contro il carismatico Beto O’Rourke, considerato stella nascente dei Democratici. In Florida, il “nuovo Obama” Andrew Gillum, di posizioni particolarmente spostate a sinistra, manca per un soffio la poltrona da governatore, superato dal repubblicano Ron De Santis. Bill Nelson, candidato democratico per il Senato nello stesso stato, viene dato perdente nei confronti del repubblicano Rick Scott, ma non riconosce la sconfitta e chiede un riconteggio dei voti.
Tra le sconfitte “eccellenti” in campo democratico, si ricorda anche quella della senatrice Claire McCaskill del Missouri (al secondo mandato), che ha perso contro il repubblicano Josh Hawley, fortemente sostenuto da Donald Trump.
Queste Midterm sono state però anche le elezioni dei record, dei volti nuovi e delle prime volte: Alexandria Ocasio-Cortez, 29 anni del Bronx, diventa la più giovane deputata; Ayanna Pressley la prima afroamericana per il Massachusetts in Congresso; Jared Polis (Colorado) il primo governatore esplicitamente omosessuale nella storia degli Stati Uniti; e, sempre al Congresso, Rashida Tlaib (Michigan) e Ilhan Omar (Minnesota) le prime donne musulmane e Deb Haaland (New Mexico) e Sharice Davids (Kansas) la prime native-americane.
In generale, nonostante la perdita della Camera, il Partito repubblicano è sembrato strategicamente più abile di quello democratico nel compattarsi intorno al presidente Donald Trump, pur figura divisiva nello stesso GOP. Il Partito democratico, invece, dopo la batosta del 2016, è arrivato alle Midterm senza una guida e una leadership spendibile: il risultato è che l’establishment dem appare ancora oggi inadeguato a raccogliere la sfida di spostare sufficienti voti per rendere innocuo il Presidente, soprattutto in vista del 2020, mentre si segnalano i buoni risultati di candidati più giovani e di sinistra – rappresentati dalla capofila newyorkese Ocasio-Cortez –, difensori di un concetto di welfare state altrimenti abbandonato dai Democratici.