
“Una volta c’era l’Homo sapiens, oggi c’è l’Homo doroteo” scrive Giuliano Ramazzina, giornalista professionista, scrittore e creativo della comunicazione, attualmente lavora come freelance per il quotidiano Il Resto del Carlino. Ma chi è l’homo doroteo? Difficile spiegarlo a chi non mastica di politica italiana, anzi di “psicopolitica all’italiana”, come ci suggerisce il titolo di un libro dello stesso giornalista. Si tratta di una illuminante conversazione con lo psichiatra e psicoterapeuta Alessandro Meluzzi, perché la politica italiana è una malattia e c’è bisogno di chi si occupa di disturbi mentali.
Abbiamo incontrato Giuliano Ramazzina perché ci spiegasse se quanto sta avvenendo in Italia sia nuovo o alla fine la spunta sempre Tommasi da Lampedusa, al motto “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.” Ne è venuta fuori un’intervista di grande interesse, pensata soprattutto a chi vuol comprendere meglio la politica italiana o a chi la vede come un mostro indomabile e sfuggente.
Tutto, o quasi, ha inizio nel 1957 nel convento di Santa Dorotea a Roma…
Innanzitutto, come nasce questo libro? Quale la sua ratio e la sua gestazione intellettuale?
“Che cosa rappresenta un movimento che alle elezioni politiche del 2013 prende il 25,5% dei voti e contende poi al Pd il primato dei consensi tra il 28 e il 30%? E’ giusto continuare a vedere nella ‘creatura’ nata da un’intuizione di Casaleggio senior e Beppe Grillo ancora un corpo separato che non fa accordi con nessuno e vive di luce propria, un soggetto politico ‘inutile’ ? Con lo psichiatra Alessandro Meluzzi, sono partito da questi due interrogativi, convinto che il dibattito politico, al netto dei sondaggi, alla vigilia delle elezioni del 2018 , sottovalutasse il ruolo e la forza dei 5 Stelle che la legge elettorale mista tra maggioritario e proporzionale favorisse in qualche maniera il ‘colpo di scena’, vale a dire l’ascesa al potere di Di Maio e dei pentastellati. Due le convinzioni che sostenevano questa tesi: i 5 Stelle nello scenario tripolare italiano erano ormai maturi per diventare un movimento di lotta e di governo, avvalorando l’inciso del politologo Carlo Galli secondo il quale si tratta non di un movimento anti-sistema bensì anti-casta, due cose diverse. Secondo punto: la democrazia favoriva la svolta italiana, perché come sostiene il giurista Hans Kelsen la democrazia è il regime del compromesso e da tempo c’erano segnali che i seguaci di Grillo stavano cambiando pelle per conquistare il potere a suon di consensi. Come poi è avvenuto: i 5 Stelle col voto del 4 marzo 2018 sono diventati il primo partito italiano col 32,7% dei voti popolari. Un boom che il libro ha previsto”.

Tu sei un appassionato di politica. Prima di addentrarci nelle varie argomentazioni del libro puoi descriverci questa tua passione e provare a raccontarci come oggi si possa esserne appassionati; penso soprattutto ai giovani. Te lo chiedo anche in relazione a quanto emerge nel testo, cioè la scissione, descritta anche dal sociologo Bauman e non solo, tra potere e politica. In altre parole perché appassionarsi di politica oltre le chiacchiere da bar e alla possibilità di avere privilegi importanti?
“La politica italiana è malata di potere ma non in maniera terminale come gli antipolitici vogliono far credere. E’ vero che la politica, intesa come governo della polis, anziché dedicarsi al bene comune è diventata sempre più un pratica di potere, e il doroteismo trasversale e affaristico incentrato sugli interessi personali lo dimostra. Ma partendo da questa diagnosi senza prognosi mi appassiona la cura. Avendo vissuto varie stagioni politiche grazie al mio lavoro di giornalista ho potuto conoscere tanti politici che hanno fatto politica, nel bene e soprattutto nel male. La reazione ponderata è stata quella non di criminalizzare la politica italiana malata di potere e quindi corrotta, ‘sangue e merda’ come l’ha definita l’ex ministro socialista Rino Formica, bensì di capirla e analizzarla. Scartando i giudizi sommari emotivi e acritici, con la passione che può avere un curioso o un idealista. Da qui la scelta di raccontarla con l’obiettivo soprattutto di sentirmi utile e costruttivo, anche svelando il marcio di un sistema, pensando che sia riformabile. Insomma, interessarsi della politica per raccontala con passione in modo da risvegliare nella gente la voglia di interessarsi della politica. Pensando ad una massima di Platone: ‘Il prezzo pagato dalla brava gente che non si interessa di politica è di essere governata da persone peggiori di loro’.”
Parlare della politica italiana è tema complesso, soprattutto a chi italiano non è. Il libro racconta un elemento distintivo della nostra politica e non solo, nel senso di un carattere tipico italico, il doroteismo. Ci spieghi cosa è e come nasce?
“I dorotei sono una corrente della Democrazia Cristina nata nel 1957 nel convento di Santa Dorotea a Roma, riconosciuta anche dal famoso manuale Cencelli , così chiamato dal politico Dc che lo inventò per spartire gli incarichi tra le varie correnti del partito in base alle tessere agevolando così l’esercizio del potere. Il doroteismo è un comportamento in politica che deriva una forma mentis particolarmente pragmatica e anche cinica nel mettere al centro dell’azione gli affari. E quindi la centralità dell’affarismo come motore della vita pubblica, esponendosi anche a possibili illegalità e scandali considerati come effetti collaterali fisiologici del sistema capitalistico. Il doroteismo, nato e cresciuto con ispirazione cristiana, trovando a volte difficoltà di applicazione nel contrasto col rispetto dei valori del Vangelo (vedi soprattutto non rubare) , si è poi dilatato anche ai partiti e ai movimenti laici, un’estensione pervasiva sempre mettendo al centro affari e affarismo. Le caratteristiche principali dei dorotei sono la duttilità, la trasversalità e la flessibilità perché il doroteo è l’espressione matura, compiuta e accettata dell’uomo di potere e sta sempre in maggioranza. Quindi è trasformista, camaleonte e consociativo”.
Doroteismo, trasformismo, camaleontismo o, in altri termini la furbizia italica di cui ci parlava Prezzolini è qualcosa che secondo te esiste anche in altri ambiti politici non italiani oppure è solamente nostrano? Cosa ne pensi della politica americana, è più “pura” da questo punto di vista?
“Il leader comunista russo Krusciov una volta disse al leader Dc, Amintore Fanfani, “anch’io ho i miei dorotei”. E’ la prova che la furbizia, incarnata dai dorotei di matrice democristiana, non è solo italiana bensì globale, senza frontiere. Analogamente quindi anche l’America credo abbia i suoi dorotei, frutto di una ‘casta’ , chiamiamola all’italiana, diversa però da quella nostrana perché si rapporta ad un contesto sociale e politico made in Usa. Difficile dire quanto la furbizia italica abbia contaminato l’affarismo americano. L’alternanza di governo negli Usa tra Repubblicani e Democratici e il potere a termine dei presidenti sempre a rischio di impeachment, la stessa forza dei media americani più indipendenti di quelli italiani, mi sembra una garanzia di anti-doroteismo se rapportata al sistema italiano caratterizzato da leggi elettorali gattopardesche e quindi mancato ricambio della classe politica, condiviso da una stampa asservita e da un mondo imprenditoriale assistito, con leader intramontabili che si esaltano nel trasformismo e nel consociativismo affaristico”.
La psicopolitica italiana crea un continuum culturale tra dorotei e M5S. Come accade tutto questo e come lo scorgi nei primi mesi di governo giallo verde?
“Il sociologo Ilvo Diamanti, analizzando il voto del 2013 sul quotidiano La Repubblica l’11 marzo di quell’anno, fu il primo a parlare di un Movimento 5 Stelle simile alla Democrazia Cristiana. ‘Un partito di massa all’italiana interclassista’ lo definì. A sostegno della sua tesi portò lo scorporo dei consensi tra categorie professionali: i 5 Stelle erano primi tra gli imprenditori ed i lavoratori autonomi, fra gli operai e anche tra i disoccupati. Lo votarono anche i liberi professionisti e gli studenti. Il dorostellatismo – chiamiamolo così – è una realtà politica che nasce su queste basi sociologiche da ‘nuova democrazia cristiana’ con sviluppi che arrivano all’attuale contratto di governo con la Lega dovuto ad una legge elettorale che obbliga a governare in coabitazione. Giuseppe Prezzolini in Cristo e/o Machiavelli un libro del 1971 distingueva gli italiani tra furbi e fessi. I fessi sono gli onesti. I primi sanno muoversi nella società e fanno carriera, i secondi pagano le tasse. I furbi sono dorotei. Tenendo per buono questo parametro, i 5 Stelle si sono proposti, nella loro azione etica anticasta, come vessilliferi degli onesti e portabandiera dell’onestà. Nel contratto di governo firmato con la Lega, alla base dell’attuale intesa gialloverde, il problema è vedere fino a che punto i 5 Stelle si mostreranno dorotei e quindi riusciranno a trovare un compromesso valido tra furbizia e onestà, indispensabile per governare in coabitazione, in un sistema anormale come quello italiano. Fa testo, in questo senso, il caso della ministra della Sanità, la pentastellata Giulia Grillo. La sua trovata delle vaccinazioni flessibili e non obbligatorie, un modo evidente di accontentare vax e no vax, rappresenta un primo segnale che i dorostellati sono tra noi”.
Esiste un doroteismo fuori dalla politica? Come lo si riconosce?
“Esiste. Cito un episodio che mi ha coinvolto in prima persona. Un collega giornalista figlio di un comunista e quindi cresciuto a pane e Togliatti, è riuscito a fare carriera nel giornale sposando la figlia di un ricco industriale. Il doroteo è riconoscibile ad esempio perché prende l’ascensore sociale usando il matrimonio di interesse, perché in effetti un matrimonio per lui è un affare. Fuori dalla politica quindi il doroteismo a mio avviso esiste giocato soprattutto sul passaggio di classe sociale, un interclassismo che permette di cancellare in questo caso lo scontro ideologico tra comunismo e capitalismo, anzi dimostrando la subalternità della sinistra italiana al capitalismo. Nel dualismo ricchi – poveri il doroteo si dimostra individualista, opportunista e scalatore sociale, mettendo in campo pragmatismo e cinismo pur di centrare l’obiettivo”.
La sfida del futuro sarà sempre più tra uomo e intelligenza artificiale. Dal tuo punto di vista la relazione tra le nuove tecnologie informatiche e comunicative e questo modo di pensare la politica come sarà? Saranno le tecnologie a piegarsi ai dorotei o viceversa?
“Il collante del doroteo è l’amicizia che in politica si trasforma in cooptazione gerarchica, infatti l’accesso al potere segue liste di pretendenti e quindi si procede per turni. L’amicizia dorotea si consolida nelle cene e nei raduno conviviali, con la stretta di mano e il piatto di spaghetti condiviso. Così alle origini, durante l’egemonia democristiana durata 40 anni e anche dopo con la dilatazione del doroteismo, addirittura come scuola, all’interno dell’immutabile tessuto affaristico della politica italiana, con i governi Prodi, Berlusconi, Letta e Renzi fino all’avvento del contratto Lega-5 Stelle. Oggi con l’imporsi del digitale, quello che una volta derivava dal contatto umano diretto rimane col formarsi del cerchio magico attorno ad un leader, ma si consolida con l’uso dei social. Che poi è la stessa cosa, un accesso al potere con altri mezzi. I 5 Stelle ad esempio praticano la democrazia diretta tramite la piattaforma Rousseau. E il doroteo naviga con grande destrezza e capacità di ottenere risultati concreti in quello che potremmo definire ‘affarismo 2.0’. Quindi le tecnologie si sono già piegate al doroteismo. C’è una ragione psicologica ed antropologica che spiega perché il doroteismo si è salvato dalla liquefazione dei partiti, riuscendo a resistere all’antipolitica e quindi mostrandosi idoneo a cavalcare da dentro l’avanzata dei 5 Stelle”.
Raccontaci un episodio che più di tutti ci fa capire perché la nostra non è politica ma psicopolitica.
“Lo scrittore Ennio Flaiano diceva che ‘la situazione della politica italiana è grave, ma non è seria’. Tenendo conto di questo filtro e assodato che l’Italia non è un Paese normale, rispondo, più che citando un episodio, rilevando un inquietante quanto emblematico dato di fatto tutto italiano. Quattro deputati e dieci senatori sono nel palazzo del potere da oltre vent’anni e il più longevo, colui che guida la classifica, è il senatore Pier Ferdinando Casini con 36 anni e 26 giorni. Solo la psicologia applicata alla politica può indagare su questo ‘desiderio eterno di potenza’, per cui la spiegazione di tanta ossessione si può trovare a mio avviso più nelle pagine dei saggi di Freud che in quelle di Machiavelli”.