Qualche ora prima che l’unico dibattito tra il governatore attuale dello stato di New York Andrew Cuomo e la sua sfidante alle primarie democratiche Cynthia Nixon avesse inizio, i giornali americani si sono dilettati a raccontare il gustoso siparietto avvenuto (a distanza) tra i due, ribattezzato prontamente “pre-debate”, sulla temperatura dello studio televisivo che li avrebbe ospitati di lì a poco. Il governatore Cuomo – si sa – ama il freddo, e, secondo quanto pubblicato dal New York Times, lo staff della Nixon avrebbe scritto all’emittente WCBS-TV per assicurarsi che l’aria condizionata non rinfrescasse al di sotto dei 76 gradi Fahrenheit, 24 gradi Celsius, notando quanto le condizioni lavorative imposte normalmente siano, persino in tema di termometri, “sessiste”.
Un aneddoto che registrava già, a qualche ora dal faccia a faccia, la “temperatura” – passateci il gioco di parole – dello scontro tra i due candidati che si contendono la nomination democratica per le elezioni dello stato di New York. Non che ci fosse qualche dubbio: da quando Cynthia Nixon, nota al grande pubblico come la “Miranda” di Sex and the City, è scesa in campo, è subito stato chiaro che lo scontro sarebbe stato a dir poco acceso. In effetti, oggi più che mai, è in corso un confronto, nel partito democratico americano, tra chi – in gran parte seguace del “socialista” Bernie Sanders – sta cercando di attuare un riposizionamento a sinistra (ad oggi una seppur dignitosa minoranza), e la “vecchia guardia” rappresentante, per utilizzare una categoria sociopolitica dei nostri tempi, dell’“establishment”.
Un paradigma che il dibattito tra i due candidati ha evidenziato chiaramente. In effetti, la strategia “madre” della Nixon è stata quella (come nel corso di tutta la campagna) di descrivere Cuomo come un “Albany insider”, di ricordare gli scandali di corruzione che hanno riguardato la sua amministrazione e in particolare Joseph Percoco, il suo ex principale assistente, già manager della sua campagna e amico stretto, e di dipingere l’attuale Governatore come amico delle corporation e del mondo del real estate (per la candidata, suo “principale finanziatore”). Al contrario, il suo contendente ha puntato sulla sua esperienza (nonostante Nixon abbia prontamente notato che “non serve a molto se non sei capace di governare”), sull’idea, a tratti il leit motiv del suo intervento, che il vero nemico da combattere sia Donald Trump, e che lui sia la persona giusta per respingere le politiche della Casa Bianca. Come a dire che, se la nomination democratica fosse vinta dalla sua sfidante, lo stato di New York rischierebbe seriamente di finire nelle mani dei repubblicani, magari pure trumpisti.
Intendiamoci: non che per Nixon Trump non rappresenti un “nemico”; ma il suo primo avversario da fronteggiare, ad oggi, è l’establishment democratica, rappresentata dal Governatore, che a suo avviso su tanti temi (Health Care e immigrazione in primis) si è opposto troppo timidamente alla linea presidenziale. La sfida, per lei, è tra uno “stato progressista” ma solo a livello retorico, e un vero “faro del progressismo” nel Paese.
Lo scontro è andato in scena pressoché in tutte le questioni toccate, anche su quelle in merito alle quali, formalmente, i due candidati hanno idee simili: come la legalizzazione della marjuana, la questione degli homeless o il blocco dell’aumento delle tariffe MTA (Metropolitan Transportation Authority) per il 2019. In più casi, i due si sono interrotti e si sono reciprocamente accusati di mentire; Cuomo ha più di una volta opposto i “fatti” da lui riportati alle “fantasie” predilette, a suo dire, dalla sua rivale. E l’ha accusata di ipocrisia quando ha ricordato che Nixon gestisce i suoi guadagni come attrice tramite una corporation, che gode dunque di alcuni benefici fiscali.
Difficile dire chi abbia vinto tra i due. Entrambi i candidati sono stati efficaci; nessuno dei due è riuscito a mettere davvero a KO il rivale, anche se, a tratti, Nixon è sembrata esitante giusto per qualche frazione di secondo. Ma al di là dell’efficacia dei singoli contendenti, al di là dei temi toccati e delle singole posizioni (facilmente rintracciabili sulla stampa in queste ore), ciò che preme sottolineare è che, a scontrarsi, sono state due visioni del partito, e, in definitiva, due visioni della politica e del mondo. Quelle due visioni della politica e del mondo che si contendono sempre più il sostegno dell’opinione pubblica in America e in Europa: una relativamente conservatrice, e un’altra di rottura, anti-establishment, in alcuni casi tacciata di populismo, e che promuove un cambiamento netto e una nuova fiducia, fondata sulla trasparenza e sulla non-mediazione, tra cittadini e istituzioni. Entrambe queste due visioni hanno declinazioni di destra e di sinistra, che si sarebbero scontrate direttamente nella battaglia per la conquista della Casa Bianca se, nel 2016, Bernie Sanders avesse vinto le primarie.
Il confronto tra Andrew Cuomo e Cynthia Nixon rappresenta proprio questo: entrambi formalmente “a sinistra” dello scacchiere politico, lo scarto è tuttavia sostanziale. L’attuale Governatore sembra attualmente favorito dai sondaggi, ma la performance della Nixon merita attenzione. Come meritava attenzione quella di Sanders, per tanto tempo troppo frettolosamente liquidata dai media mainstream. Allora, il Partito Democratico fece una scelta, quella di puntare sulla candidata dell’establishment Hillary Clinton: e con il senno di poi, c’è chi si chiede che cosa sarebbe successo se il favorito alle primarie fosse stato Sanders. Più in piccolo, Cuomo è convinto di essere l’unico argine al dilagare del trumpismo anche nello stato di New York (perché, ha ribadito, non correrà per le presidenziali del 2020). Nixon, invece, si sente legittimata da quella richiesta di cambiamento che avverte dalla base che la sostiene, ed è fiduciosa che, se non l’America intera, perlomeno New York sia pronta ad abbracciare la novità, da sinistra. Il tempo ci dirà chi ha ragione.