Tutto si può fare. Volendo. Ma andrebbe comunque sempre considerato che, dal 1547 (Ivan il Terribile) senza soluzione di continuo, la Russia è stata soggiogata da un Despota Assoluto.
Nel 1721, con Pietro il Grande, si instaurano i Romanov; nel corso del 1917, da Nicola II, si passa direttamente a Lenin; nel 1924, Stalin; nel 1953, Chrushev, il “distensivo”, con cui si ebbe “solo” Budapest, il Muro di Berlino e altre migliorie; nel 1964, fino al 1982, Breznev, (nella cui ortodossia il Presidente Putin, dal 1975, ricevette i gradi di Ufficiale del KGB, la nota Polizia della Lubjianka); dopo il 1991, Eltsin, che possiamo considerare una mera sospensione, di un corso dispotico giunto, a quel punto, al suo 444° Anno consecutivo.
Dal 1999, dunque, Putin. Su cui, chi volesse, può certo discutere, come su tutto. Tuttavia, tenendo presenti questi dati storici minimi. Che, ovviamente, una qualche importanza devono pur avere. Anche nel formare un giudizio su import-export da e per; sanzioni, loro “effetti sulla società civile”: magari includendo gli oltre 150 giornalisti uccisi dal 2000 ad oggi (Aleksandr Litvinenko, Anna Politkovskaja, Boris Nemcov, Stanislav Markelov, Sergej Magnitskij e Boris Berezovskij, i più noti).
Nei 471 anni della sua Età Moderna e Contemporanea, dunque, la Russia ne ha vissuti 444, di formale Dispotismo Assoluto; 9 di parademocrazia; e gli ultimi 19, di autocrazia incontrollata (e, peraltro, rivendicata).
Inoltre, per pacifica notizia (ma, repetita iuvant) la dittatura comunista, (anche in Russia: perché poi c’è e, parzialmente riadattata, c’è ancora, quella cinese) è stata la più disumana e feroce a memoria d’uomo: compreso, non superiore nè inferiore, il Terzo Reich. E, questa, invece, è un’esperienza di cui, entro quel generale andamento, è impossibile sopravvalutare la specifica pregnanza conformativa; anche per il suo situarsi a ridosso delle nostre giornate.
Non per nulla, dice Diego Fusaro (la settimana scorsa), noto docente e saggista, nonché titolare di una rubrica su Il Fatto Quotidiano, sostenitore del Governo, e in generale delle forze politiche che lo esprimono: “Io sto con la Russia di Putin, come prima stavo con la Russia di Lenin e di Stalin”. E aggiunge: “Putin resta la continuazione di Lenin, nel mutato contesto storico”.
È, per lo meno, una chiave interpretativa di un certo rilievo. Anche perché non constano, nè da parte del M5S, nè dalla Lega, formali disconoscimenti di simili relazioni. Nè di quella Fusaro-Maggioranza, nè di quella storico-politica; e della prima, magari, proprio in ragione della seconda.
Allo stato, risulta un “adoro la filosofia di Fusaro”, scandito da Salvini il 3 Novembre 2016, dopo una esposizione di questo studioso su “migranti e mondialismo”. A parte gli ultimi aggiornamenti, programmaticamente ribaditi anche dal Presidente Conte.
Il neo Ministro del Lavoro e Vice-presidente del Consiglio, On. Di Maio, piuttosto orecchiante, ha affermato: “L’Italia, storicamente, ha avuto una funzione di dialogare con Paesi dell’est, come la Russia, ma anche quelli del Mediterraneo e del Nordafrica”.
Ma quelle nostre esperienze democratiche, pur agendo in un contesto in cui il nostro territorio nazionale era frontiera, sia verso l’est nemico, che verso il sud mediterraneo (e vicino e mediorientale), esplosivo (con Israele) e petrolifero (un pò dappertutto), non vennero mai meno ad una grande capacità di equilibrio geopolitico.
Le nostre prudenti relazioni, de facto e limitate, con l’U.R.S.S., furono l’espressione di questa capacità. Avendo, com’è noto, da governare anche la fattiva e vasta presenza del maggior partito comunista d’occidente: la cui (tollerata) rete commerciale costituiva la maggior quota dei rapporti economici italiani col Patto di Varsavia, oltre a un “fee” monopolistico sulle attività di qualsiasi impresa non comunista.

Tuttavia, mai furono assunte posizioni che impegnavano la Repubblica in quanto tale: e, per di più, nei termini cosí unilaterali e pretenziosi oggi proposti.
Eteredossi, peraltro, rispetto all’intera tradizione di politica estera italiana: sempre ostile alla Russia, sin dalla Guerra di Crimea (1853-1856).
Per poi proseguire con la Triplice Alleanza, stretta sin dal 1882, contro la Triplice Intesa (comprensiva della Russia), con la sola eccezione del 1915-1917 (quando l’Italia passò all’Intesa, ma con la Russia che ne sarebbe uscita proprio nel 1917, perché divenuta sovietica).
L’unico periodo di buona cordialità fra i due Governi, seguí proprio durante il Fascismo: già nel Novembre del 1923, il Duce annunciava il riconoscimento dell’U.R.S.S., primo stato europeo a farlo (pur in un contesto generalmente concessivo verso “Il Grande Esperimento”); quello de iuresarebbe arrivato il 7 Febbraio 1924; ) quindi, il ritorno all’antico, con la tragedia dell’Armir e la Seconda Guerra Mondiale; e, col 1945, siamo all’oggi.
Peraltro, lo “storicamente” di Di Maio, che (fortunatamente, anche per gli storici) non si spinge oltre il periodo repubblicano, si riferisce ad una, per così dire, “tradizione di pensiero politico” (e di cui la presente maggioranza di governo è epigona) che, pur a fronte di quelle complessità geopolitiche, qualificava la DC, puramente e semplicemente, come una riedizione del Fascismo (niente meno), e ritraeva Craxi con gli stivali del Duce. Improbabile, pertanto, bon ton diplomatico a parte, esserne realmente creduti i legittimi eredi.
Si può, allora, confidare che la più efficace garanzia, contro simili ed impervie improvvisazioni, consista nel non essere presi sul serio da nessuno: per lo meno, oltrefrontiera.
Come oggi si vede a luce meridiana, quelle qualificazioni erano scempiaggini velenose; meno male che gli italiani sono un Popolo che si dá a periodici svaccamenti, ma rimanendo pronto al caffè caldo dopo ogni sbornia.