Fico fa “la storia”. Salvini pronto a scaricare Forza Italia? “5stelle come Hitler”. Riuscirà Di Maio a coronare il suo sogno di varcare le porte di Palazzo Chigi? E il Pd, che cosa farà il Pd? Se non state rimuginando su nessuno degli interrogativi o delle dichiarazioni di cui sopra, forse non dovreste leggere quanto segue. A tutti gli altri, cercheremo di rendere la lettura quanto più rapida e indolore possibile. Perché, anche questa settimana, oltre le parole non si è andati.
Italia senza governo: 54esimo giorno dal voto.
Cominciamo dalla fine. E sì, perché gli ultimi retroscena danno Matteo Salvini pronto ad abbandonare Forza Italia. Sebbene ufficialmente Luigi Di Maio abbia dichiarato che il “forno” con la Lega è chiuso, il leader del Carroccio potrebbe – colpo di scena – scaricare la zavorra Berlusconi, scrive la Stampa. Uno scenario che potrebbe concretizzarsi dopo il voto in Friuli Venezia Giulia, che certificherebbe il netto sorpasso della Lega su Fi.

L’ex cavaliere ultimamente non è andato per il sottile con i pentastellati, arrivando a dire: “La gente davanti ai 5stelle si sente come gli ebrei davanti a Hitler”. “Meglio tacere”, il commento di Salvini. Che però smentisce di voler disfarsi di Berlusconi: “Non è vero che accadrà, non vedo perché dovrei cambiare idea ogni quarto d’ora: non faccio come Renzi o Di Maio. Mi presento alle elezioni con una squadra e vado avanti con quella squadra”. E dal Friuli rilancia: “Se le cose vanno come stanno andando, mi impegno ad andare al governo il più in fretta possibile”.
Se dietro le quinte, secondo molti, il dialogo Lega-Movimento 5 Stelle andrebbe avanti, apparentemente, però, le cose vanno in maniera diversa.
Ufficialmente, la notizia è l’apertura di un dialogo tra pentastellati e Partito Democratico: tutti aspettano la riunione della direzione dem, fissata per giovedì 3 maggio. Il Movimento 5 stelle, nel frattempo, continua a mostrare ottimismo e toni trionfali. “In tutta la storia della seconda Repubblica un mandato esplorativo non è mai andato a buon fine. Il primo è quello di Roberto Fico”, esulta Luigi di Maio con i suoi, al termine delle 48 ore affidate al presidente della Camera, per verificare se ci fossero i presupposti per un asse Pd-M5s. E dice di credere in un “esito positivo nella direzione” fissata per la settimana prossima.

Difficile, tuttavia, riuscire a trovare la quadra con questa formazione: Matteo Renzi, che controlla gran parte del suo partito e dei gruppi parlamentari, rimane contrario all’accordo con i 5S, fermo sulla linea dell’opposizione, mentre dal Partito Democratico trapelano alcune condizioni preliminari a una possibile intesa con il M5s: da un passo indietro chiesto a Di Maio in favore di un premier terzo, al mantenimento del Jobs Act e alla rinuncia al reddito di cittadinanza. Punti non di poco conto questi ultimi due, perché l’abolizione dell’uno e l’introduzione dell’altro sono stati cavalli di battaglia della campagna elettorale dei pentastellati. Ma sui quali il leader del M5s potrebbe ammorbidirsi. Semmai dovesse nascere, però, un governo Pd-M5s non avrebbe certo vita facile, dato che si reggerebbe su una manciata di voti.

“Le percentuali di un governo tra Pd e M5s sono pari a zero: è un accordo contro natura e soprattutto una presa in giro agli italiani”, commenta Salvini. A molti, intanto, non sfuggono le dichiarazioni di Luigi Di Maio che, dopo il colloquio con Roberto Fico, ha speso parole per difendere il leader della Lega dalle minacce mosse contro di lui da Berlusconi attraverso le reti Mediaset: “Sull’informazione, io credo che tutti la vogliamo libera. Quindi qualcosa va fatto sulla Rai e anche su Mediaset. Non è accettabile che la Lega come ho letto su alcuni giornali non possa scegliere liberamente, per paura che la tv di Berlusconi possa attaccarli. Un politico non può essere proprietario di Tv”.
Che le sue parole preludano a un accordo? C’è chi lo sostiene. Se nulla di tutto ciò che ci siamo detti dovesse andare in porto, tornare al voto in estate, con questa legge elettorale, sarebbe impensabile. L’ipotesi elezioni slitterebbe probabilmente a fine settembre, o alla prossima primavera. Piuttosto improbabile si vada a un governo di emergenza nazionale o di tregua. Sergio Mattarella si troverebbe così a riempire la vacatio, che col passare dei giorni rischia di diventare un’enorme voragine e di trascinare con sé il resto del Paese. Da un lato, ci sarebbe l’opzione “Gentiloni pro-tempore”, dall’altro, infine, un “governo del presidente”, attraverso l’espressione di un nome terzo da parte del capo dello Stato.