Ho condotto una vita lussuosa perché mi sono permessa il lusso di inventarla ogni giorno. Avendo però una guida interiore: la mia coscienza, che mi diceva se ero nel giusto, ma mai mi permetteva di ostentare quanto giusta, onesta, brava fossi. Oggi la coscienza non abita più l’anima di un individuo ma la sua immagine, come egli riesce ad apparire agli altri. Il migliore è chi sa vendersi meglio, è una questione di marketing. Ma le regole del mercato non sono i valori morali di una civiltà che grazie ad essi ha conquistato la democrazia attraverso la libertà di pensiero, esercitando lo spirito critico.
Se non diamo valore ai principi morali, significa che non sappiamo rispettare e nemmeno rispettarci. Significa che non conosciamo il senso del limite e non sappiamo imporlo, non sappiamo valutare la rettezza, la competenza, l’onestà nostra o altrui, non sappiamo incutere fiducia né affidarci a qualcuno. Abbiamo fatto della nostra vita un mercato dove ci importa solo comprare e venderci al miglior offerente. Sia esso un amante o un partito.
Trovare un buon partito è più facile in amore o in politica?
Si scelgono – purtroppo – i candidati o il partito come si sceglie un fidanzato o un marito. Per innamoramento o per interesse. Un candidato piace perché parla bene, è bello o è ben vestito. Oppure perché mi risolverà un problema o mi darà un lavoro. Per attrazione o per convenienza. Anche chi sceglie un partito per appartenenza ideologica, sovente lo fa per convenienza. E quel partito, per ottenere consenso, cavalca l’ideologia comune, facendo promesse che non ha intenzione di realizzare. Perché, finché non le realizzerà, quelle persone saranno suoi fedeli elettori. Le terrà in ostaggio. Richiamerà costantemente il vincolo di appartenenza a un’ideologia, alle sofferenze subite. Il politico che fa leva sul sentimento è un sadico. Che, come nell’amore, opera una sorta di incantamento, rapimento. L’elettore vuole essere conquistato, rapito, credendo al miraggio della salvezza. Ma non è vero che chi ti rapisce, ti salva. Ci si salva solo da soli, imparando a nuotare nella propria esistenza.
Quando, a fine gennaio, mi è stato proposto di candidarmi al Senato con una nuova lista, Civica Popolare Lorenzin, il primo istinto è stato di rifiutare: la politica era un mondo che non mi interessava abitare. Prendere una parte, per me, è sempre stato l’esito di una divisione, di una scelta, di dover effettuare uno scarto a priori. Mentre come essere umano sono sempre stata aperta al mondo e come giornalista ho sempre enunciato di volta in volta cosa mi piaceva o cosa no di una persona, di un partito, di un governo.
Mi è sembrato corretto però recarmi l’indomani di persona a ringraziare della stima che mi era stata accordata. Parlando tuttavia con Paolo Rovis, il coordinatore della lista nella mia regione, ho compreso il coraggio della ministra Beatrice Lorenzin di non cavalcare le demagogie populiste per andare a occupare nuove terre spirituali da colonizzare a destra o a sinistra del Paese. Lei voleva ricostruire un centro, come cuore della società italiana, dove riaffermare il valore della persona, ricostruire il patto tra le generazioni, perseguire la qualità della vita attraverso un miglioramento del sistema scolastico e assistenziale che permettesse a più donne di lavorare e agli anziani di sentirsi ancora parte di una comunità. Ho compreso subito che lo sforzo non sarebbe stato premiato perché il messaggio era troppo pacato, positivo e scevro di mirabolanti promesse, ma mi sono detta che era giusto candidarmi. Inoltre la mia lista, insieme ad altre tre, avrebbe sostenuto l’industriale indipendente Riccardo Illy, che stimo per l’onesta intellettuale essendosi dedicato in Friuli Venezia Giulia alla cosa pubblica per 15 anni. Non siamo stati eletti, perché una parte del Paese ha votato per paura e frustrazione, un’altra per ideologia, senza guardare la competenza di chi votava.
Penso che si è liberi sino a che si pensa con la propria testa, anche se si è gli unici a pensarla in quel modo. E devo ringraziare i mei professori del liceo classico che me l’hanno insegnato. Ho imparato molte cose da questa esperienza: chi ti è davvero amico, ti vota per stima pur non condividendo la tua scelta politica, ma soprattutto che esistono delle persone che ti sostengono non per vincolo di appartenenza a un partito, bensì per senso di appartenenza a un codice etico di valori condivisi. Come ha scritto nel suo libello per gli amici, “Appunti politici”, un mio compagno di liceo, Roberto Antonione, che è stato sottosegretario nel governo Berlusconi.