La Fondazione Pietro Nenni assieme alla Fondazione Bruno Buozzi ha organizzato per il prossimo 22 dicembre, a Roma, alle ore 9,00 nell’Aula del Parlamentino del Cnel, un incontro di studio sull’attuazione della Costituzione, con particolare riferimento alla giurisprudenza della Corte Costituzionale. Verrà concentrata l’attenzione su quattro casi esemplari: Cinthia Pinotti: “La certezza del diritto tra pluralità delle fonti, giurisprudenza creativa e inflazione legislativa”; Cesare Salvi: “Il diritto del cittadino al voto personale, libero ed eguale e il controllo di costituzionalità delle leggi elettorali”; Paolo Ridola: “I rapporti tra stato e regioni dopo la riforma del titolo V”; Stefano Bellomo: “La tutela costituzionale dei diritti previdenziali e retributivi dopo la riforma dell’art. 81 della Costituzione”. Qui il programma completo della conferenza: NataleCostituzioneInvito
Il seminario sarà introdotto dal Prof. Tiziano Treu, Presidente del Cnel, e verrà svolta, in apertura dei lavori, una relazione del Prof. Roger Pilon, vice presidente del prestigioso Cato Institute di Washington, direttore del Centro per gli Studi Costituzionali, sul tema: “American Constitutional Theory and History: Implications for European Constitutionalism”.
L’obiettivo della Fondazione Pietro Nenni, intitolata a uno dei padri della Repubblica e della Costituzione, è quello di rivolgere un appello agli Italiani per l’istituzione di una giornata dedicata al “Natale della Costituzione”. L’iniziativa è sponsorizzata dal Cnel.
Collegandosi dalle ore 09.00 del mattino (ora di Roma) di venerdì 22 dicembre e cliccando qui, sarà possibile seguire in streaming l’evento dedicato al Natale della Costituzione che si terrà al CNEL.
Qui trovate il verbale del 22 dicembre, 1947, subito dopo il voto della Costituente che approvava la Costituzione. NataleCostituzione471222Verbale
In occasione del settantesimo anniversario della Costituzione italiana, Giorgio Benvenuto, Presidente della Fondazione Pietro Nenni e della Fondazione Bruno Buozzi, e Roger Pilon, Vice Presidente del Cato Institute, Washington D.C., esprimono il loro punto di vista in materia di lavoro, ambiente, autonomie locali e servizi pubblici essenziali. Ne emergono due visioni molto diverse, anzi antitetiche.
In base alla Dichiarazione di Indipendenza, il perseguimento della felicità è un diritto inalienabile. Secondo la Costituzione italiana, la Repubblica riconosce il diritto di tutti i cittadini al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo tale diritto. In tempi di elevato tasso di disoccupazione, quale nesso è possibile stabilire, ammesso che sia possibile stabilire un nesso, tra il perseguimento della felicità e la possibilità di avere un lavoro dignitoso, stabile e adeguatamente remunerato?

BENVENUTO: “Il lavoro è fondamentale poiché nel lavoro la persona si realizza. Ma il lavoro deve essere qualcosa di ben diverso dalla schiavitù, come pure qualcosa di ben diverso dalla deriva del precariato. Quando ero giovane, nelle piazze del meridione – e ricordo, in particolare, la piazza di Sulmona e quella di Cerignola – i giovani venivano riuniti e il caporale sceglieva quelli che poi sarebbero andati a lavorare come braccianti. Venivano scelti, non avevano la possibilità di scegliere. Oggi la piazza è il web al quale giovani anche preparati e qualificati affidano centinaia di CV nell’attesa disperata che qualcuno risponda. I valori, invece, vanno coniugati perché si arrivi ad un’idea di felicità nel lavoro, che è ciò che permette la realizzazione della persona. Non si può essere costretti ad andarsene dal proprio paese per poter lavorare, è necessario poter scegliere se andare o rimanere. Il lavoro e la felicità sono le due gambe su cui si regge una Costituzione che esprima valori sociali e consideri la retribuzione non solo il mezzo che consente di poter vivere, ma anche la misura del valore della persona. In Europa, purtroppo, questi valori sono in declino, travolti dalla logica della concorrenza e del mercato, come se quella finanziaria fosse ormai l’unica possibile chiave di lettura della realtà”.

PILON: “Il diritto al perseguimento della felicità, così come si rinviene nella Dichiarazione di Indipendenza, deve essere inteso secondo la tradizione del diritto naturale, per come essa si è evoluta durante l’Illuminismo, divenendo la tradizione dei diritti naturali. In tal senso, è semplicemente un altro modo di descrivere il diritto universale, di cui tutti saremmo titolari in uno stato di natura, di essere liberi dall’altrui intromissione allorché perseguiamo qualsiasi finalità idonea a renderci felici. In quanto diritto universale, il diritto al perseguimento della felicità spetta ugualmente a tutti e nei confronti di tutti, quindi anche nei confronti di ogni forma di governo che si venga a realizzare quando si abbandona lo stato di natura. Tale diritto esiste in maniera diversa dai diritti specifici che emergono soltanto nel tempo, come risultato di vicende che, a loro volta, nel tempo si verificano, quali gli illeciti, i reati o i contratti, ovvero il tipo di vicende che generano appunto diritti specifici e obblighi fra le parti che nelle stesse risultano coinvolte. In assenza di tali vicende, gli individui sono liberi di vivere le loro vite come meglio credono, alla sola condizione che rispettino l’eguale diritto degli altri di fare altrettanto.
Nel diritto alla felicità, è implicita una distinzione fra diritti e valori. Non è questa la sede per approfondire i fondamenti epistemologici di tale distinzione. Basti tuttavia dire che, ove interamente spiegati, essi indicherebbero i fondamenti giustificativi di un diritto oggettivo, radicato nella ragione, di perseguire qualsivoglia valore soggettivo si possa avere, radicato nel nostro essere cognitivo, quindi un sentiero fra due tradizioni epistemologiche entrambe poco attraenti, che abbiamo ereditato dall’antichità, ovvero lo scetticismo e il dogmatismo.
Fatta tale premessa oltremodo sintetica, il diritto di perseguire la felicità non implica alcun obbligo positivo o diritto all’assistenza da parte degli altri, per altri intendendosi anche qualsivoglia governo cui si possa dar vita. Implica soltanto il diritto di essere liberi dall’altrui intromissione allorché perseguiamo la felicità – ovvero l’obbligo degli altri di non impossessarsi di quanto appartiene liberamente e chiaramente a noi, cioè le nostre “Vite, libertà o proprietà,” come John Locke, notoriamente, ha sostenuto. Ovviamente, il governo potrebbe creare tali obblighi mediante il diritto positivo. Ma ciò darebbe la stura a un ampio ventaglio di problemi giustificativi. In assenza di consenso unanime, ad esempio, ciò equivarrebbe a sottrarre ad alcuni per dare ad altri – risultando in diritti ineguali. Se gli individui in uno stato di natura non avevano il diritto di fare ciò, c’è da chiedersi da dove prenda il governo un diritto siffatto, considerato che i governi derivano il proprio potere dal popolo, il quale dovrebbe innanzitutto avere tali poteri per cederli a sua volta a un governo. Potrei proseguire con problemi di tipo pratico, ma questo è uno dei più importanti fra i molti problemi giustificativi inerenti le politiche redistributive”.
Lo sviluppo sostenibile è stato descritto come lo sviluppo che consente di soddisfare i bisogni della generazione presente senza inficiare la possibilità, per le generazioni future, di soddisfare i propri. Fino a che punto, è legittimo imporre oneri, costi e limitazioni alla generazione presente a beneficio di generazioni di cittadini che devono ancora nascere?
BENVENUTO: “Personalmente, ho fiducia nell’innovazione e nella ricerca per affrontare il problema, di cui sento parlare sin da quando ero ragazzo, dell’imminente esaurimento delle risorse energetiche. Innovazione e ricerca troveranno nuove fonti di energia. In ogni caso, tra presente e futuro, bisogna trovare un equilibrio. Di certo, non si può continuare a sfruttare l’ambiente in maniera bulimica. Ed è necessario mettere la globalizzazione al servizio della persona, non viceversa. L’equilibrio va trovato anche ponendo attenzione alla demografia e investendo nei paesi in via di sviluppo. Bisogna però andare oltre la logica dell’emergenza e della solidarietà intesa come mera reazione alla singola emergenza. E’ infatti preferibile insegnare a pescare che donare un pesce a chi ha fame. Sarebbe necessario un nuovo Piano Marshall come quello al quale dobbiamo la rinascita dell’Europa, all’epoca devastata e prostrata dalla guerra. Fu un’intuizione assolutamente geniale. Oggi, sarebbe necessario un Piano Marshall per i paesi in via di sviluppo”.
PILON: “La giustizia inter-generazionale ipotizzata da questa domanda è eccezionalmente speculativa – e rimanda a una imponente programmazione pubblica senza che vi siano parametri ed obiettivi chiari. Inoltre, coloro che la promuovono, nella maggior parte dei casi, ignorano l’ingiustizia intra-generazionale che sta dinanzi ai loro occhi – in America, programmi ben meno astratti come Social Security, Medicare, Medicaid e Obamacare non potranno mai essere garantiti per le generazioni che verranno, anche se queste dovessero pagare per i benefici di cui le generazioni del presente fruiscono.
Nella misura in cui la domanda si riferisce invece al degrado ambientale, la disciplina in materia di immissioni regola il problema a livello di rapporti tra privati, proponendosi anche come modello e fondamento giustificativo di una disciplina pubblicistica, come quella che riguarda l’ampia casistica di inquinamento da veicoli a motore.
Nella misura in cui la domanda attiene al cd. cambiamento climatico – il clima cambia sempre – si torna ad un ambito più speculativo, nonostante le affermazioni in termini di “scienza verificata”. (Nessuno scienziato serio, però, si esprimerebbe in tali termini). Le preoccupazioni in merito a tale questione inducono, a loro volta, tre domande: (1) quanto precisi e predittivi sono i modelli sul “riscaldamento globale”? Ci sono scienziati seri che sostengono tesi opposte al riguardo. (2) Se c’è un problema di riscaldamento globale, in che misura è antropogenico? (3) Ove le domande (1) e (2) trovino risposta affermativa, è più conveniente perseguire la via dell’adattamento o della mitigazione?
Il dibattito sulle tre domande continua ma, intanto, coloro che dovrebbero fare programmazione a livello governativo brancolano nel buio”.

da sinistra, il Prof. Luigi Troiani, il giudice costituzionale Giulio Prosperetti, Roger Pilon e Giorgio Benvenuto
In tempi di globalizzazione da un lato e frammentazione culturale dall’altro, valori condivisi e obiettivi comuni possono essere meglio percepiti a livello di comunità locali. Devolvere potere a livelli locali di governo può avere un impatto positivo sul coinvolgimento civico e migliorare l’impegno in termini di partecipazione politica?
BENVENUTO: “L’età della globalizzazione è anche quella degli individualismi esasperati che vede le singole persone assolutamente sole con se stesse e in perenne competizione le une con le altre. Solitudine e frammentazione non si risolvono a livello di Stati o di entità addirittura superiori. La valorizzazione delle comunità locali e la devoluzione dei poteri a livelli locali di governo sono ormai una necessità e rappresentano la strada da seguire come antidoto alla solitudine, all’esclusione e alla frammentazione. Infatti, soltanto agendo a livello locale, i problemi che affliggono le persone possono essere messi a fuoco nella loro specificità e trovare una risposta mirata, quindi efficace. Soprattutto, è a livello locale che è possibile affermare la solidarietà, che è poi la conquista dei tempi moderni, esprimendo una logica che va oltre quella della mera carità. La solidarietà porta all’inclusione e ha quindi ha valore fondante dell’idea di comunità. Il disincanto e la scarsa partecipazione alla politica sono invece frutto del rancore che la solitudine, il senso di impotenza e di esclusione inevitabilmente generano”.
PILON: Il coinvolgimento civico e la partecipazione alla politica (per es. nella incarnazione degli organizzatori di comunità) sono esattamente le condotte che portano ai problemi individuati dalla domanda. Qualsivoglia la loro manifestazione, tali attività si risolvono in una cosa: la pretesa che si faccia sempre di più attraverso il settore pubblico anziché in quello privato – attraverso il libero mercato, laddove gli individui sono liberi di perseguire qualsiasi cosa il mercato, nel rispetto della legge, possa sostenere. Quando porzioni sempre più ampie della vita vengono gestite attraverso il monopolio che chiamiamo governo, la conseguenza è che i valori non vengono condivisi e gli obiettivi non sono comuni nella misura in cui i sostenitori delle iniziative governative suppongono. Gli individui vogliono vivere le loro vite, non quelle che i governanti pianificano per loro. Ciò premesso, la devoluzione del potere è in genere auspicabile perché mette di più le persone in condizione di votare con la loro testa (benché la tirannide locale spesso necessiti di essere controllata attraverso regole poste altrove proprio ai fini del controllo, come è accaduto dopo la guerra civile americana). Ma la questione principale è se al governo, di qualsivoglia livello, si richieda di fare ciò che non dovrebbe affatto riguardarlo, non potendo trattarsi di una funzione di governo dato il suo carattere monopolistico”.
La privatizzazione di servizi finora pubblici come la sanità e l’istruzione può comportare vantaggi in termini di efficienza. Tuttavia, se i beni da erogare non sono più oggetto di una responsabilità collettiva e vengono forniti dal privato alla stregua di qualsiasi bene di consumo, come si può garantire che vengano erogati a tutti i cittadini in maniera equa?
BENVENUTO: “La funzione sociale dello Stato rimane imprescindibile anche se un modello basato interamente sul welfare non basterebbe. Il settore privato può e deve svolgere un’importante funzione integrativa nella produzione dei servizi essenziali. Il privato, cioè, deve aggiungersi al pubblico arricchendone l’offerta e ampliandone le possibilità, non sostituirlo. E il pubblico, anche mediante appositi incentivi, dovrebbe indirizzare il settore privato verso la spesa sociale. Se, in nome di una maggiore efficienza nell’erogazione dei servizi finora pubblici, il privato soppiantasse completamente lo Stato e quest’ultimo divenisse mero spettatore del mercato, verrebbero colpite le fasce più deboli della popolazione e aumenterebbero ulteriormente le diseguaglianze, a detrimento di tutti. Bisogna sempre tenere presente che se molto, anzi moltissimo può la ricchezza, ancora di più può la disperazione”.
PILON: “Non può esservi garanzia alcuna, sia che i servizi vengano erogati dal settore privato sia che vengano erogati dal settore pubblico. Ma è possibile confrontare empiricamente i risultati di entrambi gli approcci e, in tal senso, riscontrare che non sono neanche lontanamente equivalenti. Basta chiedere a coloro che sono vissuti dietro la Cortina di ferro, che hanno votato con la loro testa e spesso pagato con la vita. O basta chiedere al capo del servizio sanitario canadese, che è andato negli Stati Uniti quando si è dovuto sottoporre a un intervento chirurgico. Se, in circostanze eccezionali, qualcosa che dovrebbe essere fatto dai privati, come ad esempio il sostegno agli indigenti, deve essere fatto dal settore pubblico, allora l’intervento pubblico dovrebbe essere limitato a dette circostanze e parimenti circoscritto. Sarebbe ben peggio se, nell’intento di risolvere un singolo problema, tutti venissero risucchiati nella gestione pubblica, perché ciò porterebbe alle inefficienze che inevitabilmente tale gestione genera. Ciò che non solo non creerebbe eguaglianza ma esacerberebbe il problema dell’ineguaglianza, che è un problema soltanto nelle menti di coloro che ignorano l’ampio spettro di evidenza empirica esistente in tema di erogazione – settore privato contro settore pubblico –di quelli che sono, in fin dei conti, nient’altro che beni privati”.
Collegandosi dalle ore 09.00 del mattino (ora di Roma) di venerdì 22 dicembre e cliccando qui, sarà possibile seguire in streaming l’evento dedicato al Natale della Costituzione che si terrà al CNEL.
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