Qualche giorno fa, Diego Fusaro, noto saggista, docente di Filosofia nell’Istituto Alti Studi Strategici e Politici (IASSP) di Milano (si presenta, con ineffabile dismisura, anche come “allievo indipendente di Hegel e di Marx”), nel corso della trasmissione “L’aria che tira”, ha affermato: “Mani Pulite fu un colpo di Stato”. Era presente Antonio Di Pietro, che è andato in escandescenze, senza tuttavia spiegare perché quell’affermazione sarebbe stata infondata. L’ex magistrato si è limitato a registrare il puro fatto che esistevano i reati perseguiti. Offrendo, però, una risposta solo apparente.
In primo luogo, perché molte accuse mosse dal “Pool” di Milano condussero ad assoluzioni in dibattimento: su 4.520 persone sottoposte ad indagine, 3.200 furono rinviate a giudizio; 1.281, condannate -965 per patteggiamento- e 1.111, assolte. 1320 casi furono trasmessi ad altre Autorità Giudiziarie. A Milano, circa 1 su due era non colpevole.
In secondo luogo, perchè quando si dubita (non solo da oggi, e non solo da Fusaro, come vedremo) che l’Operazione Mani Pulite abbia avuto una portata, e un significato, extragiudiziari, non si nega il teorico sostrato giuridico-penale del suo oggetto (i reati). Si nega che un tale sostrato possa essere inteso solo in termini atomistici. Cioè, considerando i reati, veri o presunti, ad uno ad uno; e non invece, nel complesso degli effetti determinati dalle indagini e dai processi.
Gli effetti complessivi, a ben vedere, non furono negati nemmeno dagli stessi protagonisti della vicenda. Il dott. Giulio Catelani, al tempo Procuratore Generale di Milano, il 9 Maggio 1993, al quotidiano Il Giorno, dichiarò: “La nostra è una rivoluzione legale e saggia, che dura da poco più di un anno. Ricordatevi che quella francese è iniziata nel 1789 ma è finita solo nel 1794”.
Già saggezza e legittimità, riferite ad una “rivoluzione dei giudici”, apparivano qualità imbonitrici; ma nel giro di un “Ricordatevi”, la loro ambiguità si risolveva nel fanatismo e nella nequizia del “Terrore” parigino, evocato a conferire decisiva sostanza a quell’irrefrenato compiacimento. Il paradigma rivoluzionario, anzi, connesso alla “robe” (toga, in francese), finiva col suggellare l’assenza di ogni moto democratico e socio-economico: crudamente inneggiando al precedente del boia, viatico solo di approdi cruenti ed elitari.
Perciò, Di Pietro, per entrambe queste ragioni, nel suo opporsi ad interpretazioni che colgono il profilo extracostituzionale di Mani Pulite, non può fondatamente invocare l’argomento giuridico-penale.
Si tratta di vedere se, a partire dal dato pacifico che non fu scolastica “scoperta di reati”, sia plausibile, nei termini proposti da Fusaro, quella urticante espressione: “Colpo di Stato”.
Egli afferma di aver già chiarito la sua critica ne “Il Futuro è nostro” (Bompiani 2014); e, comunque, ancora nell’Aprile del 2015, precisava: “…fu un vero e proprio colpo di Stato, che rese possibile l’abbandono del welfare State e di quelle forme politiche che, pur corrottissime, ancora ponevano in primo piano la comunità umana e i suoi bisogni concreti…”; “Occorreva attuare la cosiddetta “rivoluzione liberista”, per consentire l’avvento del “…capitalismo selvaggio americano senza diritti e garanzie”. Ponendo, in questo modo, una spiegazione di matrice marxistica (“marxiana”, tiene, anzi, a precisare): grandi movimenti di capitale, piccole pedine. Matrice, peraltro, nemmeno originale.
Nel 1995, il Prof. Gianfranco La Grassa, docente di Economia Politica a Pisa e a Venezia, che, pur attraverso successive evoluzioni, non ha mai disconosciuto il suo “marxismo critico”, contribuì ad un volume collettaneo (“Il teatro dell’assurdo. Cronaca e storia dei recenti avvenimenti italiani.”), e scrisse: “Questi uomini (e partiti) non sono stati perseguiti per fini di giustizia, ma solo per motivi politici di trapasso d’epoca, di distruzione del Welfare State all’italiana…”.
Il filosofo Costanzo Preve (amico e maestro di Fusaro), in passato, anche coautore di un saggio con lo stesso La Grassa (oggi, sono invece in dissidio teorico), nel 2011 dichiarò: “Alcuni anni fa mi trovai a Milano in un dibattito pubblico con Gherardo Colombo… In sua presenza esposi… la mia tesi storico-politica… a mio avviso Mani Pulite… di fatto, era stato un colpo di Stato giudiziario extraparlamentare, che aveva distrutto una prima repubblica italiana, certamente corrotta, ma anche assistenziale e proporzionalistica… Avrei anche potuto parlare turco. Il cortese Colombo non contrappose una sua lettura storica alternativa alla mia, ma parlò di “obbligatorietà dell’azione penale”… Ora, io non mettevo assolutamente in discussione che i reati di corruzione e di concussione richiedono l’obbligatorietà dell’azione penale… desideravo che il tema non venisse soltanto discusso in modo giudiziario, ma storico. Ma fu come passare dal turco al mongolo parlato e stretto”. Secondo Preve, Mani Pulite avrebbe preparato il terreno ad un “personale politico” al servizio del “…capitale finanziario e dell’impero militare americano”.
Tutto questo, per dire che la locuzione “Colpo di stato”, riferita a Mani Pulite, nel campo variamente marxista, non è inedita, e nemmeno recente. Il limite di queste analisi è che procedono per categorie causali così vaste (“Il capitale finanziario americano”, Preve; “il capitalismo selvaggio americano”, Fusaro), da lasciare erroneamente in sottotraccia il centro della questione: l’uomo, uno per volta, e la sua libertà.
Peraltro, anche considerando “il capitale finanziario” un fattore primario nelle cose del mondo, non sarebbe stato inevitabile accantonare l’individuo e l’avvento di un Potere Neoinquisitorio: che è, e rimane, “l’effetto fondamentale” di Mani Pulite.
Nel 1999, infatti, Luther Blisset Project, pseudonimo collettivo di un gruppo di intellettuali underground, (Der Spiegel, nel 1997, scrisse che ne era parte essenziale Umberto Eco, ma l’ipotesi non è mai stata riconosciuta, o dimostrata), divenuto molto famoso con il romanzo “Q”, in un ricco saggio, intitolato “Nemici dello Stato, Criminali, ‘mostri’ e leggi speciali nella società del controllo” (Derive Approdi, 1999), a proposito di Mani Pulite, osservavano: “Personalmente, noi ci accorgiamo che le cose non sono come sembrano quando Sergio Cusani e Bettino Craxi nominano come difensori due noti ‘avvocati compagni’, entrambi veterani dei processi politici anni ‘70-‘80, rispettivamente Giuliano Spazzali ed Enzo Lo Giudice.”. E pur riproponendo una filigrana di tipo “capitalistico” (“…regolamento di conti… tra diverse sezioni di capitale… vedi l’esempio di Mani Pulite…”), però, aggiungevano: “Mani Pulite è l’apice del giustizialismo, dello strapotere dei Pm, della praesumptio culpae, dell’abuso della carcerazione preventiva, della trasformazione dei magistrati in eroi-giustizieri popolari, immacolati e impavidi.” Che è, ragionevolmente, un riportare l’analisi dal cielo alla terra. Qui, alla fine, prevalse una “forza logica di gravità”: a dispetto del pur citato criterio “categoriale” e universalistico.
Indefesso difensore, “da sinistra”, della libertà dell’uomo in carne ed ossa, è Frank Cimini: storico giornalista critico de Il Mattino, oggi anima del blog giustiziami.it., declina un giudizio più circoscritto e comprensibile: “Mani Pulite fu un regolamento di conti all’interno della classe dirigente di un paese, con la scusa della “lotta alla corruzione”. E, con tragica ironia, la mette riassuntivamente così: “Beato chi cerca giustizia, perchè sarà giustiziato”.
Ed è proprio questo il guasto da cui non si dovrebbe mai distogliere lo sguardo; quello di uno stabile e incontrollabile abuso sulle libertà delle persona. Come pare faccia invece anche Fusaro: proprio laddove intenderebbe rilanciare, e giustamente, la questione della “natura giuridico-politica” di Mani Pulite.
Sguardo che non hanno distolto altri e autorevoli critici. Mauro Mellini, avvocato di esemplare dirittura, già Deputato radicale e componente laico del CSM, con un’opera di indiscutibile nerbo critico (“Il golpe dei giudici”, 1994, Spirali-Viel); o, negli Stati Uniti, Stanton H. Burnett e Luca Mantovani, con “The Italian Guillotine. Operation Clean Hands and the overthrow of Italy’s First Republic” (Rowman&Littlefield, 1998; che, sin dal titolo, riconobbe giusto risalto al “modello originario”).
Distogliendo lo sguardo si rischia di dimenticare questo: “Se si creano situazioni di emergenza nelle quali diviene indispensabile comprimere i diritti individuali, per ripristinare l’ordinamento giuridico, allora, nell’interesse comune, sono favorevole alle restrizioni di diritti individuali” (Francesco Saverio Borrelli, Micromega 4/1995). Diritti individuali. Di ciascuno. Restrizioni.
Si rischia di dimenticare il lascito di Mani Pulite: regressivo nelle parole e nelle persone. I suoi eredi. Il suo futuro.