Nuova legge elettorale. Evito di riproporre certe riduzioni latineggianti che, nella loro ridicolaggine, sembra si riferiscano ad una bocciofila, e non al Parlamento della Repubblica. E il segno della disistima (diffusa, ma non quanto taluni amano far intendere) verso le istituzioni democratiche, e si può prenderne atto: ma non è il caso di favorirlo. Perciò, qui diremo, legge elettorale (altrove la troverete chiamata Rosatellum bis).
Quella su cui si sta votando e su cui il governo ha posto la fiducia, assegnerebbe 1/3 dei seggi, 232 alla Camera, 102 al Senato, secondo un criterio uninominale; collegi più ampi. Tutti gli altri, 386 alla Camera e 207 al Senato, in liste bloccate: cioè, senza voti di preferenza fra i candidati presenti in lista (circa 7 o 8), e secondo un criterio proporzionale; collegi più piccoli. La mancata previsione di un voto di preferenza è l’unico reale, grave, limite di questa legge.
E’ poi ammessa la presentazione di una singola lista, ma il sistema favorisce le coalizioni, anche con uno sbarramento (3%, per la singola lista, 10% per le coalizioni). Si prevede pure un collegamento necessario: fra gli eletti con il criterio maggioritario e quelli eletti con quello proporzionale; perché i primi dovranno esprimere un apparentamento con le liste che, singolarmente o in coalizione, si presentano per il voto proporzionale; e non c’è voto disgiunto; sicché, non si potrà votare, per es., con il criterio uninominale, il candidato di Destra e con quello proporzionale, la lista, o la coalizione di liste di Sinistra, o viceversa. Scheda unica, e voto “di parte”. O di partito.
Si affaccia, pertanto, una nuova legge elettorale, a struttura prevalentemente proporzionale. Scelta obbligata, dopo le ripetute pronunce della Corte Costituzionale, che hanno segnato la via. Malumori, proteste. As usual: c’è sempre qualcuno che protesta.
Ma quale sistema sembra preferibile? Maggioritario, o proporzionale? Vediamo.
E’ ovvio che nemmeno in materia elettorale sia esistita un’età dell’oro. Ma se si fosse appena appena onesti, proprio perché si tratta di comparare due sistemi, cioè due complessi di regole che hanno definito la politica di intere fasi della storia repubblicana, bisognerebbe riconoscere ciò che è accaduto sotto l’imperio dell’uno e dell’altro. Cosa ne è stato della vita di una Nazione, durante gli anni in cui la rappresentanza politica e, a cascata, la vicenda comunitaria e individuale di ciascuno si sono svolte entro il sentiero tracciato con certe regole e non con altre.
C’è bisogno di chiedersi cosa è accaduto dal 1946 al 1992? Se siamo cresciuti, sotto il profilo economico, sociale, culturale e, perciò, politico? E di chiedersi cosa è accaduto dal 1993 ad oggi? Se siamo cresciuti, sotto il profilo economico, sociale, culturale e, perciò, politico? Non dovrebbe essere necessario.
Dal 1946 al 1993 siamo diventati, da compagine ex statuale disfatta socio-economicamente, sconfitta in guerra, stato: in cui quattro generazioni di fila hanno acquisito più della precedente in termini di istruzione, tutela sanitaria, occupazione, trasporti, reddito pro capite, libertà personale e patrimoniale, partecipazione politica, sovranità democratica e monetaria. Non senza limiti; non senza disfunzioni; non senza prezzi di sangue; non senza iniquità.
Ma, a chiudere gli occhi nel 1946, appena entrati sotto il cielo proporzionale, e a riaprirli nel 1992, quando ne stavamo uscendo per effetto dei Referendum Segni, veda chi può se eravamo o no progrediti. E quanto. Rifare l’esercizio per il tempo maggioritario, dal 1993 ad oggi? Accomodatevi.
Eppure, si diceva, si protesta. Per il modo, si dice; perché si è posta la fiducia. E questo renderebbe asfittica la discussione, su una legge di fondamentale importanza. Astrazioni. In primo luogo, perché il perimetro fondamentale, proporzionale, è stato segnato dalla Consulta, si diceva; pertanto, c’è poco da accapigliarsi. In secondo luogo, e soprattutto, perché l’asfissia parlamentare non è mai stata rilevata in nessuno degli ultimi venticinque anni, nel corso dei quali il Parlamento ha vissuto (tuttora vivendo) in perenne stato d’assedio, per via dei noti squilibri costituzionali: fra i Poteri dello Stato elettivi, e l’Ordine Giudiziario. Perciò, il “vulnus” è argomento di dubbia consistenza, e di intrinseca, scarsa credibilità: come tanti se ne sentono.
Se poi si volesse obiettare, quanto al confronto fra sistemi elettorali, che non tutti i meriti di un sistema sociale, economico e politico vengono dalle regole elettorali, si potrebbe replicare che nemmeno ne discendono tutti i demeriti. Ma questo sarebbe un paragone fra ovvietà. Ciò che conta, è lo spazio della vita comune: come definito dai varchi di accesso e di ricambio politico, cioè decisorio, e quale società ne scaturisce.
Il fatto è che la catena di comando, riguardata come ossatura di un intero sistema statale, cambia molto se vige un sistema elettorale proporzionale, oppure uno maggioritario. Il primo è più frastagliato, più “lungo”, ma pure più difficilmente controllabile; il secondo, più compatto, più “corto”, ma certo più facilmente controllabile. Nel caso del proporzionale, bisogna penetrare in un sistema con centri di comando presenti a più livelli, sia geografici che istituzionali; nel secondo, la decisione è di tipo verticistico, sicché, grosso modo, controllando la testa, si controlla tutto.
E questo lo sanno sia i leader di partito, come pure i titolari del potere coercitivo generale. Vedremo.