Aaah….sembra incredibile!… Siamo di nuovo a dicembre! Il mese che segna la fine di un altro anno, l’arrivo di un altro Natale e l’imminente approssimarsi… delle elezioni presidenziali americane.
Si, avete capito bene: le elezioni americane sono fissate per oggi, lunedì 19 dicembre.
Ma come?! – direte voi – le elezioni non si sono finalmente concluse l’8 novembre scorso dopo mesi e mesi di estenuante campagna elettorale e la vittoria di Donald Trump?
Si e no…
Nel senso che è vero che i cittadini si sono recati alle urne martedì 8 novembre per eleggere il loro presidente ma, come ho spiegato in un articolo precedente, il sistema elettorale degli Stati Uniti è strutturato in un modo particolare secondo il quale gli elettori, invece di votare direttamente per il loro candidato favorito, con la loro preferenza, delegano ad un gruppo di rappresentanti statali (“grandi elettori”) nominati dai partiti, il compito di esprimere queste preferenze a livello nazionale.
Dopo la consultazione elettorale alle urne di novembre, ogni stato, a seconda della propria popolosità, invia a Washington un numero diverso di questi grandi elettori per l’elezione collegiale vera e propria che, tecnicamente, deciderà chi sarà l’inquilino della Casa Bianca per i prossimi quattro anni.
Questa assemblea dei grandi elettori, programmata per il 19 dicembre, si svolge regolarmente circa un mese dopo ogni tornata elettorale. Malgrado ciò, la maggior parte delle persone, soprattutto all’estero, non ne sa nulla a dispetto del fatto che è l’elezione che sancisce in maniera ufficiale e definitiva la nomina del presidente.
Il motivo per il “basso profilo” di questa prassi elettorale pre-natalizia è dovuto al fatto che, malgrado la sua importanza e rarissime eccezioni, essa ha sempre rappresentato poco più di una formalità dove i grandi elettori dei singoli stati si limitano semplicemente a replicare le preferenze espresse dai propri cittadini l’8 novembre apponendo così un sigillo finale sul verdetto delle urne.
L’eccezionalità dell’elezione di quest’anno tuttavia, culminata con la nomina di Donald Trump, un candidato estremamente controverso e privo di ogni esperienza di governo, rischia di trasformare una formalità in un evento straordinario e, potenzialmente, di portare a compimento un clamoroso capovolgimento di fronte che potrebbe assegnare la vittoria finale ad Hillary Clinton.
Immediatamente dopo la nomina di Trump, una petizione originata in California ha iniziato a circolare in Internet chiedendo ai grandi elettori di votare secondo coscienza, senza replicare necessariamente il voto del loro stato di provenienza. A prima vista questa è un’iniziativa che potrebbe apparire del tutto antidemocratica perché corrisponde ad un invito a questi stessi grandi elettori ad andare contro il volere popolare del proprio stato. Una valutazione più oggettiva della proposta tuttavia, dovrebbe anche tener conto del fatto che, se parliamo di voto popolare, Hillary Clinton ha perso le elezioni pur avendo ottenuto quasi tre milioni di preferenze più del suo rivale repubblicano: un margine più ampio di quello raggiunto dai vincitori delle ultime 49 consultazioni presidenziali dal 1824 in poi.
Per cambiare l’esito delle elezioni di novembre, 37 dei 538 grandi elettori dovrebbero andare contro il risultato dei propri stati di provenienza e votare per Clinton, un atto che, in molti stati nei quali Trump ha vinto, è legalmente possibile. L’impeto di andare controcorrente e di negare a Trump l’accesso alla Casa Bianca inoltre, potrebbe essere ancora più pronunciato dopo la recente scoperta delle interferenze russe nel processo elettorale americano finalizzate, a quanto pare, a spostare l’ago della bilancia in favore del magnate newyorchese.
Il fatto che la Clinton abbia perso il confronto con Trump pur avendo ottenuto quasi tre milioni di voti in più, è dovuto alle stranezze del sistema collegiale in vigore negli Stati Uniti e visto, da più parti, come un ostacolo piuttosto che una garanzia del processo democratico.
Ad essere messo sotto accusa, in particolare, è il carattere maggioritario del collegio elettorale che, in classico stile americano, assegna l’interezza dei voti in palio in ogni stato al vincitore della maggioranza vanificando del tutto le preferenze di tutti coloro che hanno votato per il candidato perdente, anche nei casi in cui questa minoranza ammonta al 50% meno uno dei voti totali.
Proprio questa struttura maggioritaria dell’assegnazione dei voti, ha convinto due grandi elettori del Colorado, Polly Baca e Robert Nemonic, a presentare una querela alle autorità federali che mira ad abolire la struttura maggioritaria del sistema collegiale e a sostituirla con un’assegnazione proporzionale dei voti. La causa sostiene che un sistema maggioritario come quello attuale viola la Costituzione in quanto riduce il “peso specifico” delle preferenze espresse dai cittadini degli stati più popolosi rispetto a quello degli stati più piccoli.
Ad esempio, lo stato del Wyoming, con i suoi 573,767 abitanti ha inviato a Washington per la votazione di oggi, 3 grandi elettori mentre la California, con una popolazione di 37,254,503 dispone di 55 grandi elettori. Questo significa che, mentre il voto di ognuno di questi “grandi elettori” del Wyoming rappresenta 187,923 abitanti, il valore di voto di un grande elettore californiano è “diluito” al punto da rappresentare le preferenze di 677,355 residenti rendendo i voti del Wyoming 3,6 volte più “pesanti” di quelli della California.
Naturalmente, visti i tempi processuali, l’esito legale della querela non avrà alcuna influenza sul voto di oggi ma, nel caso dovesse andare in porto, potrebbe cambiare radicalmente le regole del gioco per le prossime elezioni del 2020.
Nel frattempo, a meno di clamorose sorprese da parte di 37 di questi 378 grandi elettori riuniti oggi a Washington, l’America e il mondo attendono con nervosa trepidazione l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.